Hirokazu Kore’eda si cimenta per la prima volta con un film girato in una lingua diversa dal giapponese e dal gusto profondamente europeo: Le Verità (Le Vérité) con Catherine Deneuve, Juliette Binoche e Ethan Hawke. Il film è stato presentato alla 76esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed verrà distribuito in Italia da Bim Distribuzione.
In una Parigi nebulosa si consuma l’ultimo atto della carriera d’attrice di Fabienne (Catherine Deneuve), dopo una vita trascorsa a dar rilievo più al suo mestiere che agli affetti. Con l’occasione dell’uscita della sua autobiografia, Lumir (Juliette Binoche), figlia di Fabienne, torna a casa con marito (Ethan Hawke) e figlia al seguito. L’occasione di redenzione che il destino porge all’attrice vincitrice di più César è proprio sul set, grazie all’incontro/scontro con la co-protagonista Manon (Manon Clavel), così bella, così brava… e così giovane.
Kore’eda offre allo spettatore un’opera che scorre su una duplice corrente. Da un lato – forse la parte dalle velature più profonde e complesse – viene data la possibilità di sbirciare nell’intimità di due donne (prima ancora che madre e figlia) il cui atteggiamento nei confronti della vita non è poi così dissimile come vuole sembrare; dall’altro – e qui arriva la sezione, se così si può dire, più sbarazzina e svolazzante – il regista giapponese sceglie di rappresentare un personaggio, quello di Fabienne, talmente chiuso in se stesso da diventare una parodia.
Catherine Deneuve gioca sulla differenza tra il fare l’attrice e l’esserlo, dividendosi tra la costruzione macchiettistica dell’attrice di successo dalle continue richieste e della donna che interrompe un momento di fragile intimità con la figlia per cercare di prenderlo e portare poi sul set, sulla scena. Il personaggio di Juliette Binoche è così costretto a rimanere sulla soglia, in costante andirivieni tra realtà e finzione, tra la Fabienne-madre e la Fabienne-interprete, cercando di scovarne i punti deboli. Gustosi quindi gli intermezzi regalati dalla Deneuve quando questa è chiamata a burlarsi proprio della sua categoria, tra eccessi e cinismo, tra egomania ed estrema ricerca dell’altro.
Le Verità gioca sul sempiterno contrasto tra apparire ed essere, con quella giostra di emozioni che deriva dalla necessità di collocarsi – anche forzatamente – in un contesto sia lavorativo che familiare. Il rischio, per un film del genere, sembra quindi essere quello di voler troppo apparire nel cercare di dare una forma e una voce all’intimità, alla familiarità, lasciando lo spettatore, per certi aspetti, un po’ a bocca asciutta.
Ciò che vuole apparire solido e univoco, nella maggior parte dei casi, ha tutte le carte in regola per dimostrare d’essere il contrario. La verità non è mai una sola e, nelle sue molteplici sfaccettature, è capace di farci sentire limitati, proprio come accade a Fabienne.