La guerra è cambiata. Dalle lotte corpo a corpo all’arma bianca passando per le trincee e poi alle bombe atomiche, la tecnologia nel corso dei secoli ha introdotto nuovi strumenti per colpire il nemico sempre più a distanza. Anche il genere di guerra, nel cinema, prova ad aggiornarsi nel raccontare storie ambientate in una realtà più contemporanea del combattimento militare. Land of Bad di William Eubank, disponibile in streaming su Prime Video, ci porta dentro questa nuova dimensione di “guerre a distanza”, nelle quali droni, cellulari e raggi infrarossi sono sempre più i protagonisti nelle lotte ai sovversivi o nei conflitti tra stati.
Russell Crowe e Liam Hemsworth (già insieme in Poker Face) interpretano così un pilota di droni della Air Force americana (Eddie “Reaper” Grimm) e una nuova recluta (Kinney) della squadra Delta impegnati a prelevare un’agente della CIA tenuta in ostaggio dai terroristi nelle Filippine. Il primo, in camicia estiva e occhialoni a goccia Ray-Ban, davanti allo schermo monitora e protegge dal grande occhio satellitare il gruppo di militari a terra; mentre il secondo si trova a fare i conti con la realtà della violenza sul campo di battaglia. Ma un imprevisto manderà all’aria la missione e costringerà Kinney a trovare un modo per sopravvivere alla trappola nemica.
Una piccola rinfrescata al genere
Land of Bad è un discreto tentativo di miscelare il genere d’azione con il thriller tipico di un film di salvataggio (rescue movie), grazie ad alcune scelte di produzione funzionali a rendere abbastanza coinvolgente una narrazione troppo incostante nel ritmo. Lo scenario esotico delle Filippine, infatti, è più circoscritto e gestibile se si considera la presenza narrativa del drone come un osservatore costante dall’alto; questo consente, da un punto di vista extradiegetico, di avere sempre sottomano la situazione.
Il limite più grande del film, tuttavia, risiede proprio nella staticità di uno dei due punti di vista sulla storia in divenire. Soltanto la voce e lo sguardo di Crowe provano a tenere in piedi la tensione nella stanza di pilotaggio a distanza a Las Vegas, quando invece il dinamismo delle sequenze d’azione di Hemsworth parlano da sole. Eubank si muove insomma in precario equilibrio tra due stili di regia: da un lato le riprese statiche e abbastanza monotone dell’operatore Crowe, dall’altra i cinetici movimenti di macchina del soldato Hemsworth.
Le sequenze d’azione sono infatti vicine al mondo dei videogiochi: in titoli come Call of Duty o The Division la posizione della telecamera appena dietro il giocatore è tanto forte quanto il senso di immersività che essa regala allo spettatore. Il 42enne regista di The Signal e Underwater, in questo senso, coglie lo streaming come un veicolo più vicino al linguaggio di uno dei medium preferiti dalle giovani generazioni. Eubank opta per uno stile meno di presa diretta alla Katryn Bigelow con camera a mano in favore di immagini più d’intrattenimento, rendendo dunque più “contemporanee” alcune sequenze d’azione, con apprezzabili soluzioni visive.
Land of (a) Bad (story): problemi di sceneggiatura
Se dunque la regia di Eubank tenta di rendere visibile e accattivante la differenza tra chi deve premere un pulsante davanti allo schermo e chi invece lo deve fare davanti ad un nemico in carne ed ossa, se la fotografia di Agustin Claramunt rende i dovuti omaggi con apprezzabili sagome nere e illuminazioni crepuscolari a Stanley Kubrick e Francis Ford Coppola, la storia risente invece di qualche svarione di troppo. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Eubank insieme a David Frigerio (The Signal), presenta notevoli lacune sia sul lato dei personaggi sia dello sviluppo narrativo.
Dopo un lento e tutto sommato valido primo atto di preparazione all’esplosione della storia, la tensione accumulata viene sì e no ripresa con espedienti già visti e poi dispersa con troppa rapidità. Pressoché inutili e senza senso, ad esempio, sono gran parte delle azioni compiute dal personaggio di Crowe: un’accozzaglia di perdite di tempo per allungare il minutaggio e creare un pretestuoso coinvolgimento nel climax finale. Il suo snodo narrativo, poi, viene cambiato senza una ragione comprensibile. Tutto questo scorrere di riprese è – come un paradosso – anti-climatico rispetto al suo ruolo ma soprattutto rispetto a quando sta avvenendo nelle foreste delle Filippine.
Sul campo di battaglia, invece, è abbastanza irreale sopravvivere ad esplosioni e granate alla Michael Bay senza seri danni e orientarsi quasi a colpo sicuro in chilometri quadrati di radura senza più l’ausilio del drone, ad un tratto incapace di ritrovare i suoi compagni. Senza contare, inoltre, il solito “cattivo” senza troppo mordente, pieno di moralismo e incapace di sparare al momento opportuno; e senza dimenticare il cronometro delle esplosioni programmate in grado di rallentare per esigenze di trama. Il risultato è un film dal ritmo troppo incostante, tra insensate pause di respiro e accelerazioni troppo veloci.