Dopo essere stato presentato Fuori Concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e aver ricevuto, a pochi giorni dal battesimo in sala, un inspiegabile divieto ai minori di diciotto anni, arriva finalmente al cinema La scuola cattolica, ultima fatica di Stefano Mordini (regista, tra gli altri, di Pericle il nero e Il testimone invisibile), tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, pubblicato nel 2016 e vincitore del Premio Strega.
Il film, esattamente come il romanzo da cui è tratto, ricostruisce uno dei casi di rapimento e omicidio più efferati della storia italiana, il delitto del Circeo, avvenuto tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Le vittime del massacro furono due giovani amiche, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, attirate con l’inganno da tre ragazzi della Roma bene, Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, in una villa di proprietà della famiglia di quest’ultimo, situata a San Felice Circeo, nella provincia di Latina. Col pretesto di una festa, Gianni, Angelo e Andrea torturano e violentarono le due ragazze fino a provocare la morte di Rosa, mentre Donatella riuscì a salvarsi fingendosi morta.
Quei fatti, che all’epoca scossero profondamente l’opinione pubblica, aprirono un dibattito all’interno dell’ordinamento giuridico italiano che, purtroppo, si sarebbe concluso soltanto vent’anni dopo, precisamente nel 1996, quando lo stupro passò dall’essere considerato un reato contro la morale a un crimine contro la persona. Nel gigantesco romanzo originale, composto da più di mille pagine, Albinati approfondisce il contesto in cui ebbe modo di proliferare la radicale trasformazione politica e sociale che caratterizzò l’Italia degli anni ’70, attraversata da una ventata di follia, violenza e sangue senza precedenti.
Nello specifico, Albinati si interroga sul senso e sul ruolo della religione, imputando al cattolicesimo la nascita di un clima perbenista di facciata, teatro macabro in cui permettere ad una borghesia malsana di crescere i propri figli all’ombra di un’ideale di mascolinità tossica, seguendo gli inquietanti precetti di un’educazione antiquata, votata alla repressione, alla discriminazione e, soprattutto, alla sopraffazione. Allo stesso modo, il film di Mordini non si pone l’obiettivo di raccontare nel dettaglio cosa successe davvero in quella “villa degli orrori”, quanto piuttosto i motivi che portarono ad una tale esplosione di ferocia, provando a riconnettere il clima di insurrezioni e tumulti di quegli anni con gli aberranti comportamenti dei protagonisti della storia, alunni di una scuola d’élite secondo cui il raggiungimento di un futuro luminoso deve necessariamente passare attraverso una rigida educazione, e al tempo stesso figli di una rispettabilità soltanto apparente, subordinati a nuclei familiari cechi e sordi, abituati a nascondere “la polvere sotto al tappeto”.
Sfortunatamente, il risultato finale è ben lontano dal potersi definire pienamente riuscito. Probabilmente, il più grande difetto de La scuola cattolica è quello di essere un film molto approssimativo sul piano della costruzione narrativa, quindi dell’approfondimento di situazioni e dinamiche, perdendo di vista quello che quasi sicuramente era il suo obiettivo principale: sondare le radici del male e prova a spiegare i possibili fattori scatenanti della crudeltà e dell’insensibilità alla base di uno dei più clamorosi delitti della nostra storia. Il film, costruito attraverso vari salti temporali che donano poca armonia e compattezza al racconto, mostra il suo più grande limite nell’incapacità di fornire un reale contesto (tanto sociale quanto politico) e, soprattutto, di collegarlo efficacemente con le azioni che spingono i numerosi personaggi della storia ad agire in un senso piuttosto che in un altro, a scegliere l’ipocrisia al posto dell’onestà, la disparità invece dell’uguaglianza, la strada del male e non quella del bene.
Stefano Mordini, che del film ha curato anche la sceneggiatura insieme a Massimiliano Gaudioso e Luca Infascelli, mette forse in scena troppe dinamiche e troppi personaggi, aprendo parentesi che non vengono mai chiuse davvero e introducendo trame secondarie che risultano purtroppo fini a se stesse, e per questo inutili. Un’altra grande pecca fin troppo evidente del film è quella di non essere in grado di costruire davvero una tensione che risulti palpabile; al contrario, questa si stempera quasi subito non solo a causa del gioco di incastri temporali (appesantito da una voce narrante incline a intromettersi in ogni respiro della narrazione), ma anche per via di un reticolato debordante di vicende sia principali (quelle che riguardano gli alunni della scuola privata) sia parallele (relative alle loro famiglie) che vengono affrontate in maniera frettolosa, per non dire superficiale.
La mancanza di un clima di tensione accurato impedisce allo spettatore di arrivare al momento culminante del racconto – il famigerato delitto – con la giusta predisposizione d’animo, tant’è che ormai siamo già fuori dalla storia, spettatori passivi e non sentitamente coinvolti. Eppure, è proprio in quegli ultimi 20-30 minuti di film che forse si annida, a fronte di una caterva di difetti, il vero pregio de La scuola cattolica: senza rinunciare a nudità, violenza e sangue, lo sguardo di Mordini nella ricostruzione di quelle ore agghiaccianti non è mai intriso di morbosità. Al contrario, il regista rinuncia alla proverbiale e irritante “spettacolarizzazione del dolore”, optando scientemente di tenere fuori dall’inquadratura i dettagli più ripugnanti, lasciando che siano le suggestioni di chi osserva a partorire le dovute riflessioni.
È innegabile che La scuola cattolica fallisca l’obiettivo che si era prefisso e, per questo, risulti, alla fine della fiera, come un’occasione sprecata. È vero anche che lo sguardo tumefatto di una bravissima Benedetta Porcaroli in quei minuti finali del film è un’immagine che difficilmente abbandonerà la nostra mente una volta che le luci della sala si saranno riaccese, quando ritorneremo fuori, alla realtà, costretti a fare i conti con le impunità di ieri e le responsabilità di oggi, con la rabbia e con lo sgomento. Tutti sentimenti che La scuola cattolica, giustamente, è comunque in grado di smuovere, al di là del suo effettivo valore artistico.