martedì, Gennaio 21, 2025
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La meravigliosa storia di Henry Sugar, recensione del mediometraggio di Wes Anderson

La recensione de La meravigliosa storia di Henry Sugar, il mediometraggio di Wes Anderson presentato Fuori Concorso a Venezia 80. Dal 27 settembre su Netflix.

E così, alla fine di un lungo vagare, Wes Anderson trovò la sua dimensione prediletta”. Se la carriera del visionario regista fosse una fiaba, questa didascalia sarebbe il suo lieto fine. A sorpresa è La meravigliosa storia di Henry Sugar a portare questo senso di sollievo. Arrivato, con grande curiosità, all’80esima edizione della  Mostra del Cinema di Venezia, questo film colpisce già a partire dalla sua dimensione temporale. Troppo lungo per essere un cortometraggio, troppo breve per essere un lungometraggio.

Il mediometraggio è, per il cinema in sala, in assoluto la forma più difficile da vendere. Come si giustifica un biglietto con soli quaranta minuti di visione? I corti possono unirsi in una rassegna, ma i mediometraggi no, a meno che non si voglia sconfinare eccessivamente nel tempo totale di permanenza in sala. 40 minuti sono invece la dimensione perfetta per le piattaforme streaming. Il tempo di un viaggio in metropolitana per andare al lavoro, o la tenuta dell’attenzione prima di addormentarsi. Sembrava scritto negli astri che Netflix, dopo l’acquisizione della Roald Dahl Story Company, si rivolgesse a Wes Anderson per provare ad entrare nello sconfinato universo nato dalla fantasia dello scrittore.

Missione compiuta per La meravigliosa storia di Henry Sugar che nella sua breve durata dà una spinta diversa al “solito” Anderson. Via la fredda precisione, ritorna la passione. Il formato imbriglia il suo straordinario talento visivo in una fruizione più compatta, e ne aumenta il coinvolgimento. Per un regista così appassionato alla forma e alla struttura del racconto, dove ogni inquadratura conta come un mondo a sé da affiancare ad altri per creare un senso narrativo, l’ordinata immaginazione di Roald Dahl è il soggetto perfetto. Si era visto già in Fantastic Mr. Fox, tratto da “Furbo, il signor Volpe”, ad oggi stabilmente tra i migliori film del regista. Henry Sugar è, per questo sodalizio, un secondo, netto, successo.

Chi è Henry Sugar?

È proprio Roald Dahl (interpretato da Ralph Fiennes) a introdurre questo esperimento narrativo costruito in scatole cinesi. I cambi di scenografia portano a livelli narrativi sempre più interni. Tutte le sequenze sono concatenate da una logica progressione, senza concludersi aprono sempre nuove parentesi. C’è un libro, con dentro altri personaggi, che a loro volta hanno una storia da raccontare, che introduce altri personaggi e così via. Come Steven Zissou ci addentriamo nelle acque della fantasia per cercare una risposta: chi è Henry Sugar?

Un’immagine de La meravigliosa storia di Henry Suger. Cr. Netflix ©2023

Si incontrano mistici capaci di leggere libri senza guardare, medici curiosi affascinati da questo prestigio. C’è uno Yogi che ha trovato il modo di “sbloccare” i poteri grazie alla meditazione e così via. Come la filastrocca per bambini “C’era una volta un re…”, il film potrebbe andare avanti all’infinito. A differenza degli ultimi suoi lavori, questo trova però un senso emotivo quando tutto ritorna al punto di partenza, quando il cerchio si completa con una conclusione. Lo stile di Anderson è sempre quello, ma è più caldo e famigliare di quanto non sia stato di recente. In fondo la sua regia trasuda una forte affinità con il teatro per bambini, nella più alta e raffinata delle accezioni. Impossibile ottenere la stessa dinamica del montaggio se eseguito dal vivo. Così, questa trasposizione di Roald Dahl diventa una scusa per portare a piena potenza il cinema nella sua unicità.

Lo spazio ideale per essere di nuovo se stessi

Benedict Cumberbatch, Dev Patel, Ralph Fiennes, Richard Ayoade e Ben Kingsley recitano a un ritmo disumano. Quasi un flow da rapper. L’umorismo viene dagli sguardi tra i personaggi e in camera. Come al solito, ma un po’ meglio. È ipnotico per un pubblico di adulti, ma andrebbe proposto anche ai più piccoli che ne rimarranno affascinati. In questo mediometraggio c’è una voglia di raccontare, un’esigenza di comprimere in un tempo troppo stretto tante idee, assente negli ultimi film e che è una gioia ritrovare.

Allora La meravigliosa storia di Henry Sugar fa pensare che il nuovo Wes Anderson (quello post Treno per il Darjeeling per intenderci) abbia trovato nella forma breve lo spazio ideale per essere di nuovo se stesso, per andare avanti con la ricerca formale. Come se, dopo avere raggiunto l’apoteosi della sua cifra estetica non si potesse fare altro che renderla sempre più minimale. In The French Dispatch l’aveva già intuito, faticando però a tracciare linee comuni tra i segmenti, a renderli film. Preso singolarmente, invece, questo progetto brilla per inventiva e respiro. Con meno materiale da gestire quello che c’è è, se possibile, ancora più curato.

È abituato, Wes Anderson, ad un’idea commerciale e breve che gli è sempre riuscita bene. È la prima volta che la si vede applicata a un prodotto sostanzialmente intergenerazionale, capace di agire su più livelli di comprensione. Certo, merito è anche della penna di Roald Dahl, ma si esce dall’incanto di La meravigliosa storia di Henry Sugar con la sensazione di avere assistito all’opera congiunta di due fantasie allenate. Quindi veramente libere da ogni costrizione, anche dalla gabbia di uno stile anticonvenzionale diventato sempre di più convenzionale.

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Allora La meravigliosa storia di Henry Sugar fa pensare che il nuovo Wes Anderson (quello post Treno per il Darjeeling per intenderci) abbia trovato nella forma breve lo spazio ideale per essere di nuovo se stesso, per andare avanti con la ricerca formale. Come se, dopo avere raggiunto l’apoteosi della sua cifra estetica non si potesse fare altro che renderla sempre più minimale. In The French Dispatch l’aveva già intuito, faticando però a tracciare linee comuni tra i segmenti, a renderli film. Preso singolarmente, invece, questo progetto brilla per inventiva e respiro. Con meno materiale da gestire quello che c’è è, se possibile, ancora più curato.

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Allora La meravigliosa storia di Henry Sugar fa pensare che il nuovo Wes Anderson (quello post Treno per il Darjeeling per intenderci) abbia trovato nella forma breve lo spazio ideale per essere di nuovo se stesso, per andare avanti con la ricerca formale. Come se, dopo avere raggiunto l’apoteosi della sua cifra estetica non si potesse fare altro che renderla sempre più minimale. In The French Dispatch l’aveva già intuito, faticando però a tracciare linee comuni tra i segmenti, a renderli film. Preso singolarmente, invece, questo progetto brilla per inventiva e respiro. Con meno materiale da gestire quello che c’è è, se possibile, ancora più curato.La meravigliosa storia di Henry Sugar, recensione del mediometraggio di Wes Anderson