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La Luce sugli Oceani, recensione del film con Michael Fassbender

La Luce sugli Oceani è il nuovo film firmato dal cineasta americano Derek Cianfrance (Blue Valentine, Come un Tuono) che riunisce, sul grande schermo, la coppia formata da Michael Fassbender e Alicia Vikander, preziosi protagonisti pronti a prestare anima, corpo, voce e tormento ai personaggi di Tom Sherbourne e di sua moglie, Isabel, il cui amore è minato dalla presenza di Hannah Roennfeldt, interpretata dal Premio Oscar Rachel Weisz, pronta a rivendicare ad ogni costo i propri diritti.

Siamo nel 1918. Tom è un reduce di guerra, schivo e taciturno, segnato dagli orrori vissuti e ormai destinato a condannarsi ad una vita di solitudine volontaria. Ma quando accetta di ricoprire il ruolo di guardiano del faro nell’isola sperduta di Janus, sulla terraferma, conosce Isabel: giovane, vitale, dinamica e splendida lei quanto difficile e complicato lui; si innamorano e decidono di sposarsi trasferendosi definitivamente sull’isola.

Dopo due aborti spontanei il loro puro amore sembra messo a dura prova, almeno finché l’oceano che lambisce quelle coste non restituisce dalle onde una barca a remi con a bordo il cadavere di un uomo e una bambina appena nata. Infrangendo la deontologia e mossi solo dall’amore, Tom e Isabel decidono di tenerla e di crescerla come se fosse la loro figlia naturale, ma il ritorno sulla terraferma, l’incontro con l’inconsolabile vedova Roennfeldt e i sensi di colpa spingono Tom a mettere a repentaglio la sua famiglia e il suo amore.

Partendo dal romanzo omonimo pubblicato nel 2012 da M.L. Stedman (che si è rivelato un vero e proprio bestseller internazionale), Cianfrance sceglie di dirigere e adattare questo melodramma dall’impianto retrò, incentrato sui temi immortali dell’ineluttabilità del destino, del senso di colpa e dell’impossibilità di vivere e amare.

Sia Tom che sua moglie Isabel sono dei reduci, dei sopravvissuti: lui è un pluridecorato eroe di guerra che ha visto talmente tanta morte intorno a sé da arrivare a credere che sia questa l’unica via possibile; lei, al contrario, ha perso due fratelli nella stesa guerra e cerca di trovare un modo per colmare questo senso di mancanza attraverso la vita stessa. Anche Hannah è una reduce, in quanto vedova privata di quel fragile miraggio di felicità che, con fatica, era riuscita a costruire insieme al marito tedesco Frank e alla figlioletta Grace.

Tre spettri, come nella tradizione del teatro di Ibsen, che si aggirano – incapaci di trovar pace – su questa terra idilliaca, su questa isola fiabesca che tanto ricorda da vicino una rarefatta visione pittorica degna di Edward Hopper. Il faro si trasforma in metafora della vita, dell’amore, della morte ma anche dell’elemento thrilling, che cerca di sostenere – con la propria suspense – un ritmo altrimenti zoppicante, spaccato in due con una netta differenza tra la prima metà, così lenta ed intimista, e la seconda, più incalzante ed intrigante.

Il crescendo spropositato delle emozioni e della degenerazione degli eventi, però, riconduce La Luce sugli Oceani ad un mero esperimento melodrammatico dal sapore vintage che non riesce ad adattarsi, fino in fondo, allo stile visivo moderno e frammentario di Cianfrance.

Guarda il trailer ufficiale de La Luce sugli Oceani

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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