L’ipersonnia è una sindrome che identifica numerosi disturbi caratterizzati spesso da un’eccessiva sonnolenza diurna e dalla difficoltà nel rimanere vigili per tutto l’arco della giornata. E quando si parla di disturbi legati al sonno, spesso distinguere realtà e allucinazione, immaginario e quotidiano, si rivela una sfida capace di sfumare i contorni di ciò che ci circonda, trasformando ben presto il sogno in un lungo incubo perturbante in grado di generare veri e propri mostri.
La scienza, la filosofia, la letteratura e l’arte pittorica – ma non solo – non hanno mai celato la loro attrazione per il concetto stesso di sonno e per tutti gli aspetti ad esso correlati: come dimenticare, ad esempio, gli spettrali quadri di Henry Fuseli (Johann Heinrich Füssli) nei quali succubi di ogni foggia vegliano il tormentato riposo di una fanciulla (ne L’incubo) o le acqueforti di Francisco Goya, nelle quali gli incubi assumono le sembianze di creature notturne alate?
E il fascino (in)discreto del sonno – e delle sue implicazioni poetico-filosofiche – continua a sedurre, esattamente come una musa sfuggente e ritrosa, anche la settima arte, come dimostra l’affascinante opera prima di Alberto Mascia intitolata proprio Ipersonnia e pronta ad approdare su Prime Video dal 30 gennaio: un film stratificato e ambizioso che utilizza i richiami ai generi per raccontare “altro”, inducendo lo spettatore a riflettere sulla complessa realtà che lo circonda ma senza dimenticare l’intrattenimento e il piacere retinico ricavato dalla scrittura della suspense.
Thriller con atmosfere sci-fi ambientato in un futuro prossimo dove le vecchie carceri sono solo un ricordo, i detenuti di Ipersonnia ora scontano la pena in uno stato di sonno profondo, l’ipersonno (appunto), che si rivela un sistema efficiente, economico e affidabile. Almeno fino al giorno in cui David Damiani (Stefano Accorsi, visto di recente in qualità di guesta star nella serie Call My Agent – Italia), psicologo incaricato di monitorare lo stato psichico dei carcerati, si trova di fronte a un detenuto di cui sono andati persi tutti i dati. Un imprevisto inedito, che innescherà una catena di eventi imprevedibili e costringerà lo stesso David a confrontarsi con i fantasmi del proprio passato mentre cerca di proteggere il suo amore per Viola (Caterina Shulha, The Land of Dreams).
Fantascienza e thriller appunto, ma anche noir tradizionale e tocchi melò contraddistinguono tanto lo storytelling quanto l’estetica dell’opera di Mascia – sia regista che autore insieme ad Enrico Saccà –, che finisce per configurarsi come un unicum particolare e seducente collocato nel panorama del mercato audiovisivo italiano, complice uno sguardo capace di costituire un ponte tra una comprovata tradizione cinematografica tutta italiana e il futuro, che guarda sempre di più verso spazi internazionali nei quali distinguersi.
La tradizione a cui si fa riferimento è quella dei generi, nei quali gli italiani hanno eccelso fino a raggiungere un’acme negli anni ’70: sperimentazione, curiosità, maestria artigianale e perizia tecnica non solo erano le cifre stilistiche dei film di quel periodo, ma calzano perfettamente all’operazione compiuta oggi da Mascia, che ricrea letteralmente un mondo – plausibile e distopico – sul piccolo schermo (ahimè), riprendendo un filone narrativo che affonda le proprie radici tanto nella saga di Mad Max creata da George Miller quanto negli universi evocato dalle parole di J. G. Ballard e Philip K. Dick.
Un unicum particolare e seducente
E soprattutto a quest’ultimo sembrano riferirsi le premesse narrative di Ipersonnia: le atmosfere in cui è immerso il film ricordano da vicino il Minority Report di spielberghiana memoria, contaminate dall’annosa domanda che l’autore americano si poneva in uno dei suoi più celebri romanzi, ovvero “ma gli androidi sognano pecore elettriche (o frattali)”?
Ancora una volta ritorna il concetto di sogno, così correlato a quello di morte, di una totale forma di abbandonata incoscienza dalla quale, però, nel primo caso si può far ritorno: solo che questo viaggio non è scevro da rischi, il più pericoloso di tutti riguarda il confine sottile che separa il sogno dall’incubo. Il David di Accorsi si muove sulla scena alla disperata ricerca di una verità, di una chiave di lettura univoca per interpretare i fatti e gli eventi che lo circondano; ecco quindi che il mondo che conosceva assume lentamente dei contorni distorti e incerti, perturbanti nel senso freudiano del termine (unheimlich) mettendo in difficoltà perfino lo spettatore, che rischia di perdersi sempre di più affondando nel cuore di tenebra dei labirinti della mente umana.
Complice anche il sapiente uso della colonna sonora, Ipersonnia si colora quasi subito delle tinte fosche di un noir vecchio stile, guardando a forme e modelli di riferimento del grande cinema espressionista degli anni ’40, nel quale l’aspetto ricoperto dalla psicanalisi assurgeva ad un ruolo narrativo preponderante (come in Fritz Lang), ma anche alle sfumature del melò e al massimo rappresentante del cinema di tensione: Alfred Hitchcock.
E proprio il maestro del brivido sembra essere il punto di riferimento per lo storytelling di Ipersonnia, che a sua volta strizza l’occhio ad un thriller del 2004 come L’uomo senza sonno, considerato a tutti gli effetti come un epigono delle atmosfere hitchcockiane. Un rapido sillogismo che collega quindi i due film all’universo evocato dal regista inglese nei suoi film, tra amanti perduti, intrighi internazionali, bionde “ghiaccio bollente” e uomini che sapevano troppo; tutte pedine che si possono riconoscere sulla scacchiera costruita da Mascia, che orchestra sapientemente uomini e situazioni piegando lo spazio-tempo del racconto, fino ad adattarlo alle proprie necessità e a quelle dello sguardo meccanico della sua macchina da presa.
Il risultato, agli occhi degli spettatori, è una seducente caduta verticale in un maelstrom da incubo che li lascia incapaci di aggrapparsi a qualunque certezza pronta, in poco tempo, ad essere messa in discussione dalla domanda ricorrente del film: quello che si vede è reale, oppure è tutto un parto della propria immaginazione, di quel sonno della ragione che, appunto, genera mostri?
E l’aspetto che rende Ipersonnia un prodotto unico e ambizioso nel nostro panorama è proprio legato alla sua capacità di raccontare una storia attraverso il linguaggio dei generi, che si trasformano – come da tradizione – nelle lenti deformanti ideali per riflettere sulla realtà, mettendo bene a fuoco le idiosincrasie che aleggiano sul nostro presente: qui, nello specifico, si fa riferimento al dramma del sovraffollamento delle carceri, ai complotti, alla corruzione politica, al problema del reinserimento in società dopo aver scontato una lunga pena… temi caldi, ai quali ancora non abbiamo dato una risposta o fornito una soluzione.
Temi che è possibile rintracciare all’interno di un thriller-noir travestito da film di fantascienza, capace di ricostruire in modo accurato e mai approssimativo un mondo distopico ma plausibile, munito inoltre di un respiro epico e cervellotico à-la-Christopher Nolan proprio come Ipersonnia.