La commedia romantica segue uno schema classico molto convenzionale: scavando nel cuore della tradizione, un lui incontra una lei (o viceversa); tra i due scatta la tradizionale scintilla e lo spettatore sa bene che entrambi finiranno insieme, per cui l’attenzione viene sollecitata – e la curiosità stuzzicata – dagli ostacoli che porteranno i due a separarsi con il progredire incalzante della storia, tra colpi di scena, agnizioni e fraintendimenti.
Questo modello ha, senza dubbio, resistito alla prova del tempo… almeno fino ad oggi, perché con la decostruzione del cinema post-moderno (per non parlare di quello classico), le forme viste sullo schermo fino agli anni ’90-’00 rischiano di funzionare meno e di non riscuotere le simpatie di un pubblico variegato e, via via, sempre più esigente. Con l’avvento delle piattaforme, inoltre, tanto la domanda (quanto l’offerta) di prodotti audiovisivi “pop” dal taglio leggero e scanzonato ha subito una decisiva impennata, spingendo i creativi a cercare le risposte per svariate domande: la commedia ha ancora senso oggi, se legata a forme ormai desuete? E soprattutto, come si può rinnovare il genere?
Luca Lucini, un intenditore di commedie dalle sfumature dramedy e sentimentali – nella sua filmografia può vantarne diverse di successo: dal cult Tre metri sopra il cielo, passando per L’uomo perfetto, Amore, bugie & calcetto, ma anche Solo un padre e La donna della mia vita –, è uno di quei registi che ha forse scovato una chiave di volta per uscire da quest’impasse, sfruttando l’assist creativo fornito da una piattaforma come Prime Video: il risultato, visibile dal 21 aprile e disponibile in oltre 200 paesi, è Io e mio fratello, una classica rom-com capace però di sovvertire aspettative, stereotipi e capisaldi dello stesso genere.
Ambientata nel paesino calabrese di Altomonte, la vicenda narrata vede protagonisti due fratelli in aperto conflitto tra loro: Sofia (Denise Tantucci) è una ventottenne libera, ribelle, inquieta e fuori dagli schemi che, nonostante un trasferimento a Milano per lavoro, fatica a trovare se stessa e una stabilità soprattutto sentimentale; suo fratello Mauro (Cristiano Caccamo), al contrario, è un ragazzo serio, diligente e fin troppo con la testa sulle spalle, che ha scelto di restare in Calabria per mandare avanti l’azienda vinicola di famiglia. Ma quando quest’ultimo annuncia il suo matrimonio con Michela (Greta Ferro), i rapporti già tesi tra i due si fanno ancora più aspri perché… la futura sposa è stata il primo – e unico – amore di Sofia, che cerca di riconquistarla in qualunque modo, partendo da Milano per dimostrarle che sta scegliendo la persona sbagliata.
Può sembrare un confronto ardito, ma per spiegare nel migliore dei modi l’approccio brillante di Lucini con Io e mio fratello è necessario scomodare un cult della rom-com statunitense, ovvero Il matrimonio del mio migliore amico: anche lì una donna cercava di sabotare – in tutti i modi – le nozze del suo miglior amico per dimostrargli di essere lei la scelta giusta, non la (quasi) sposa. Ma se il film del 1997 seguiva un pattern drammaturgico prevedibile senza rinunciare, in fieri, ad una serie di scelte alternative, la dramedy sentimentale di Lucini va oltre, dimostrando come sia possibile decostruire la tradizione e infrangere degli schemi secolari quanto consolidati.
Io e mio fratello non solo è perfettamente figlia dei nostri tempi, radicata nella contemporaneità e veloce quanto il forsennato presente, ricco di mutamenti repentini; ma è anche un’opera generazionale, perché immortala sul piccolo schermo una generazione (appunto) ribattezzata “perduta”, forse semplicemente priva delle certezze che hanno forgiato i propri genitori: i Millennials, ritratti in un’accurata istantanea (con tanto di musica indie in sottofondo).
La commedia generazionale espande i propri limiti
La Generazione Y è quell’abbondante forbice demografica che va dai primi anni ’80 fino alla fine dei ’90; ribattezzati anche Millennials, i nati in questo specifico lasso di tempo spesso non trovano la giusta rappresentazione audiovisiva soprattutto nel nostro mercato italiano (ma non solo), pronto piuttosto a prediligere i Boomer o la Generazione Z.
Più che perduti, quindi, dimenticati: ed è per questo motivo che una rom-com come Io e mio fratello riesce, attraverso la leggerezza tipica del genere, a raccontare molto bene le contraddizioni, le paure, le idiosincrasie e le insicurezze che attanagliano tanti trenta-quarantenni oggi, spaventati all’idea di crescere (prendendosi le proprie responsabilità, schiacciati dal peso delle aspettative) ma incapaci di restare eterni Peter Pan, bambini in corpi di adulti troppo cresciuti.
Una descrizione, quest’ultima, che calza molto bene a molti dei protagonisti, dalla coppia Sofia-Mauro passando per l’innamorata – e confusa – Michela fino al coinquilino di Sofia, Alessandro (Claudio Colica), oppure la zia in pre-crisi di mezz’età Tecla (Teresa Mannino), mettendo quindi al centro del racconto non più la classica “coppia” circondata da caratteristi di contorno, ma il punto di vista di una giovane donna alla ricerca del proprio amore perduto, la ragazza con la quale è cresciuta fino a sbocciare come donna.
Ogni carattere nella rom-com di è in cerca di se stesso o di ciò che vuole diventare “da grande”, impegnato a perdersi tra le svolte inattese dell’esistenza per scoprire finalmente chi è o, almeno, per avvicinarsi almeno un po’ a quest’idea, perché “non sempre si può ottenere ciò che si vuole”, come cantavano i Rolling Stones in una celebre canzone. Ed ecco allora che la commedia generazionale espande i propri limiti, superando i rigidi paletti dell’intrattenimento, dimostrando ancora una volta il valore terapeutico della risata, attraverso la quale non solo si può dire la verità ma anche riflettere sul mondo che ci circonda senza sacrificare mai la profondità, grazie all’ausilio della battuta brillante o dell’ironia intelligente.
Io e mio fratello è una rom-com “con sorpresa” perché capace di decostruire il genere – pur avendone acquisito forme, modelli e strategie vincenti – mettendo in scena la realtà, svelando un mondo popolato da una generazione (i Millennials) ancora alla ricerca del proprio posto, ma anche della libertà necessaria per svincolarsi dalle rigide norme sociali, dalle aspettative quanto dalle regole imposte dalla borghesia per scoprire quanto, davvero, l’unione (intesa come coesione familiare, sociale, comunitaria e collettiva) sia davvero l’arma migliore per affrontare la realtà con una ritrovata leggerezza.