Oltre alla periferia romana, un altro luogo privilegiato dal cinema del malessere italiano è quello che attraversa il litorale laziale. È uno spicchio di terra di confine: da una parte la brutalità architettonica di palazzoni spesso incompiuti, dall’altra il mare dove però non ci si bagna perché la maggior parte delle volte o fa freddo oppure è sporco. Pensiamo ovviamente a Dogman di Matteo Garrone, ma anche al recente Denti da squalo di Davide Gentile. In questo immaginario gramo, ma traslato stavolta sulla costa romagnola, si piazza anche Io e il secco, film presentato alla 21esima edizione di Alice nella Città e in uscita nelle sale il 23 maggio.
Lo dirige Gianluca Santoni, all’esordio cinematografico, scrivendo la sceneggiatura assieme a Michela Straniero. Lo script del film getta qui l’ancora e intercetta al suo interno anche il tema principe attorno al quale vortica una tipologia di cinema oramai ben riconoscibile. C’è infatti di mezzo la morte dei padri. Talvolta letterale, talvolta metaforica, ma quasi sempre cruciale nella lettura di opere che soprattutto con l’emergere del lavoro dei fratelli D’Innocenzo hanno codificato tra la microcriminalità e il degrado una nuova tipologia di insofferenza nei confronti della mascolinità.
Uno sguardo ad altezza di bambino
Gli uomini adulti rappresentano una perenna assenza, anche quando sono in scena. Emerge la loro fragilità, il loro essere patetici, il loro riconoscersi parziali nei confronti del mondo che li circonda. Quindi aggressivi, violenti nel disperato tentativo di compensazione. Ad osservare la messa in crisi del modello maschiocentrico ci sono i più giovani, adolescenti e bambini. Io e il secco di tutto questo ha fatto tesoro, e infatti dallo sguardo di un bambino parte. Il film di Santoni si mette subito all’altezza di Denni (Francesco Lombardo), che ha circa dieci anni ed è costretto a fissare il volto della madre Maria (Barbara Ronchi) tumefatto dai colpi di un padre violento (Andrea Sartoretti).
Anche dove abita Denni c’è vicino un mare grigio e in lontananza, sullo sfondo, una torre alta che svetta come una cattedrale in mezzo al deserto. Il bambino di guardare la dolcezza di Maria incrinata dai lividi però non ha più voglia. Decide che deve fare qualcosa, e quel qualcosa è ingaggiare un qualcuno che possa mettere un freno al padre. Possibilmente ammazzandolo. Allora quando sente parlare del Secco (Andrea Lattanzi), un “superkiller” della zona, ruba i soldi proprio a quel padre che vuole togliersi di torno e prova a rintracciare il criminale. Solo che Secco non è esattamente un superkiller. Tutt’altro: Secco è un fanfarone, un ragazzetto squattrinato che si dà più arie di quelle che potrebbe e nutre il malinconico sogno di scappare via dal postaccio in cui vive – dove ha pure un’ex ragazza (Swamy Rotolo) e già un figlio non riconosciuto.
Tra commovente disillusione e glaciale cinismo
Da qui emerge l’anima sbilenca di Io e il secco, costruita tutta sull’ironia di una coppia che oscilla tra una commovente disillusione e un glaciale cinismo. Il rapporto che si instaura tra Denni e Secco è l’architrave dell’accusa mossa ad un mondo in caduta libera. È anche il motore di una comicità dettata dal solo fatto di costruire l’unica forma di prossimità tra un fanciullo serissimo e un ragazzo trascinato come tanti suoi coetanei si trascinano in luoghi del genere. In apparenza è un dialogo impossibile, insensato. E invece si rivela il solo dialogo possibile, declinato nelle uniche due facce autentiche di una moneta che quando la si addenta suona falsa e guasta.
Il film di Santoni non può prescindere dal passare dentro le linee direttrici di riferimento, come l’onnipresenza di una piccola criminalità intessuta nel mantello sociale, l’edilizia diroccata, lo sporco, il bullismo. Però gestisce il tutto con armonia e lucidità quando lo legge attraverso Denni, che ha sì gli occhi ricolmi di un sogno infranto, ma è pur sempre un bambino e quindi i parametri di gioia e dolore sono quelli tarati sugli estremi propri di un bambino. Io e il Secco è un buon esordio che rinverdisce il punto di vista. Allo stesso tempo, ha la capacità di continuare ad esplorare un’analisi sempre più cardine nel nostro cinema e della nostra società.