La pressione che in questi anni circonda gli adattamenti cinematografici e televisivi di IP consolidate che hanno generato grandi profitti in passato è enorme. Le major continuano, per pigrizia o paura, a sfruttare saghe, personaggi e storie già utilizzati, convinti che questo sia in grado di generare perlomeno un ritorno sicuro (flop clamorosi – vedi alla voce Indiana Jones – stanno dimostrando che non è sempre così); il “lato oscuro” di questa scelta è rappresentato dal doversi confrontare con il successo talvolta epocale degli “originali” del passato, riscosso peraltro in situazioni di mercato nel 99% dei casi completamente differenti a quelle attuali. Il pubblico della sala, ad esempio, è diminuito, parzialmente sostituito da quello delle piattaforme, che a sua volta si è fatto molto esigente da un lato ed estremamente superficiale dall’altro.
Consapevoli di muoversi in un campo minato, le major producono con estrema cautela progetti di ampia portata, talmente estrema che metà vengono bloccati sul nascere e l’altra metà impiega spesso anni prima di vedere la luce – basti pensare all’attuale stallo al cinema di franchise miliardari come Star Trek, Star Wars e James Bond. All’interno di questo complesso scenario la Warner Bros ha deciso di realizzare un prequel in stile anime de Il Signore degli Anelli, un azzardo già di per sé meritevole di attenzione. Cimentarsi con l’opera tolkeniana utilizzando uno stile animato inconsueto è infatti una mossa interessante, apprezzabile e coraggiosa (fino a un certo punto, poi spiegheremo perché), una ventata d’aria fresca in un panorama che teme le innovazioni e tutto ciò che rischia di scontentare il fandom.
Héra: la protagonista che mancava
Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim, diretto da Kenji Kamiyama, presenta una storia che verte su due pilastri fondamentali: una giovane eroina e una serie di ambientazioni e situazioni speculari a quanto già visto ne Le due torri di Peter Jackson. Le vicende, ambientate 183 anni prima de Il Signore degli Anelli e introdotte dalla voce narrante di Éowyn, seguono le gesta di Héra, figlia del re di Rohan Helm Mandimartello; dopo un duello finito male, il figlio di lord Freca, Wulf, giura vendetta verso Helm, spingendo Rohan prima in una sanguinosa battaglia e poi in una dolorosa ritirata presso la fortezza di Dunharrow, dove comincerà un lunghissimo assedio. A Héra, la più intelligente e scaltra nonché la più inascoltata e sottovalutata tra i figli di Helm, toccherà ribaltare le sorti del conflitto, mettendo in salvo la sua gente.
Le vicende narrate ne La guerra dei Rohirrim hanno una buona dose di elementi degni di nota, primo fra tutti la caratterizzazione della protagonista: astuta, intelligente, ribelle, in conflitto con padre e fratelli, dotata di umanità ma anche fermezza, è una giovane Éowyn cui viene dato maggior spazio di approfondimento e le cui qualità vengono declinate in molte più situazioni. Le fa da contrappunto Wulf, suo amico di infanzia e ora temibile nemico, un bel personaggio nero mosso dalla vendetta ma soprattutto da un senso di inadeguatezza verso la donna che avrebbe voluto amare. Attorno ai due protagonisti, una serie di personaggi ben scritti, che danno spessore a una vicenda nel complesso lineare.
Si percepisce, di tanto in tanto, qualche stortura qua e là, come scelte avventate dei personaggi, inappropriate qualità supereroistiche, alcune lungaggini e momenti di smarrimento della scrittura, ma un bel duello finale fa dimenticare tutto e lascia il ricordo di una storia epica su una guerriera il cui valore ha, con i fatti, smontato la prigione patriarcale nella quale era stata rinchiusa. Per dirla in altri termini: un bel racconto di sincera emancipazione femminile senza leziosità o forzature, che può trasmettere dei valori a un pubblico anche più giovane di chi ha visto la trilogia di Jackson in sala – che comunque non resterà deluso, ritrovando tante delle atmosfere già apprezzate e qualche collegamento ai film.
Un esperimento riuscito a metà
Dicevamo di quanto sia importante, in un momento storico in cui il cinema mainstream appare un po’ avvizzito e paralizzato, cimentarsi in sfide inusuali. La guerra dei Rohirrim ha il pregio di provarci e il difetto di non riuscirci. Innanzitutto per la scelta di giocare su un terreno sicuro, con scelte come quella di utilizzare scene della trilogia di Peter Jackson nel trailer, ricorrere ad ambientazioni note e dinamiche estremamente simili a quelle de Le due torri, focalizzare la narrazione su una protagonista femminile, scelta molto al passo coi tempi. Pochissimi, dunque, i rischi e le innovazioni in fase di promozione e scrittura. Più azzardata, come detto, la scelta di ricorrere al linguaggio degli anime. Qui, probabilmente, le buone intenzioni c’erano ma è mancato tutto il resto. Il budget, sicuramente – 30 i milioni di dollari stanziati, pochi rispetto a progetti analoghi – e il tempo. Si vocifera che una delle spinte alla realizzazione di questo film sia stata il rischio per la WB di perdere i diritti di sfruttamento cinematografico de Il Signore degli Anelli, che decadono nel caso in cui la proprietà intellettuale non venga utilizzata per un tot di anni.
L’impressione è dunque che il progetto sia stato confezionato in fretta e furia, e che la qualità dell’animazione, specie negli effetti visivi, sia stata poco rifinita nonostante un ottimo character design. Questa povertà tecnica, fatta di sfondi piatti e animazioni dei personaggi poco fluide, aumenta nel corso del film la sensazione che si sia scelto lo stile più sbagliato per cimentarsi con l’epicità e la spettacolarità richiesta dalla storia. In un momento d’oro per l’animazione – si pensi a tanti gioielli recenti come Il robot selvaggio, Spider-Man: Across the Spider-Verse, Inside Out 2, i corti firmati da Tim Miller per Netflix e Amazon – raccontare il mondo di Tolkien con un’animazione un po’ posticcia e a tratti imbalsamata da sfida intrigante si trasforma in un clamoroso autogol. Pur apprezzando il lavoro svolto e la qualità della messa in scena, il risultato purtroppo fa sognare fino a un certo punto, dimostrandosi non all’altezza di prodotti d’animazione analoghi.