martedì, Ottobre 8, 2024
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Il ritorno, recensione del film di Stefano Chiantini con Emma Marrone

La recensione de Il ritorno, il nuovo film di Stefano Chiantini con protagonista Emma Marrone. Prossimamente al cinema.

Il fatto che i cantanti decidano di esplorare nuovi territori e di mettere il loro talento anche al servizio della settima arte è un qualcosa che nel nostro paese si fa ancora fatica ad accettare. Come se un artista dovesse essere per forza relegato a quello che è considerato dalla massa il suo “mestiere principale”, come se non avesse quasi il diritto di esporre al giudizio altrui sfaccettature delle sue capacità diverse da quelle che conoscono tutti e normalmente apprezzano.

Ciononostante, il debutto da protagonista assoluta in un lungometraggio di Emma Marrone non rappresenta il primo caso (e di certo non sarà neanche l’ultimo!) in cui un artista sente la necessità di sbarcare verso nuovi lidi e di esprimersi a tutto tondo, rivendicando il sacrosanto diritto di essere libero da qualsiasi vincolo o pregiudizio e di poter sperimentare il più possibile laddove ritenga che la sua voglia di mettersi in gioco si poggi su fondamenta solide e su bisogni che gli appartengono intrinsecamente, che non deve giustificare a nessuno.

Dopo aver debutto nel mondo della recitazione grazie a Gabriele Muccino, abile pigmalione che l’ha voluta nel cast di ben due dei suoi progetti più recenti (il film Gli anni più belli e la serie A casa tutti bene), arriva per Emma un ruolo che, al di là della centralità che assume all’interno della storia narrata, rappresenta una vera e propria sfida per chi come lei non ha mai studiato recitazione e, soprattutto, proviene da un’esperienza – quella con Muccino – totalmente diversa dall’avventura unica offertale in regalo da Stefano Chiantini.

Il regista e sceneggiatore italiano, noto per Isole e Naufragi, affida all’amatissima cantante salentina un ruolo difficilissimo in una storia dolorosissima. Ne Il ritorno, presentato in anteprima italiana ad Alice nella Città (la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma), Emma interpreta il ruolo di Teresa, una donna che vive con Antonio (interpretato da Fabrizio Rongione) e che, con grande sacrificio, sta facendo crescere il loro figlio di un anno. Quando i comportamenti di Antonio la costringono ad un gesto estremo, Teresa finirà in carcere, dal quale uscirà soltanto dieci anni dopo, desiderosa di riprendersi la sua vita, ma costretta anche a fare i conti con le fratture insanabili del tempo che passa.

Quando è il corpo a lanciare un grido d’aiuto

Passare dal cinema urlato, strabordante di emozioni, così viscerale di Gabriele Muccino a quello più lucido e ponderato di Stefano Chiantini sarebbe un’impresa non da poco, impegnativa, anche per la più navigata delle attrici. In questo senso, Emma dimostra di sapere reggere benissimo il peso di un ruolo e di una storia che costringono l’attore a mettersi in gioco anche – e soprattutto – dal punto di vista fisico; dal momento che la sua carriera di attrice è ancora agli inizi, questo è certamente un aspetto da non sottovalutare.

Il ritorno è un film dove i dialoghi sono ridotti all’osso e diventano quintessenziali: è il corpo, non le parole, a diventare l’unica forma di difesa per cercare di contrastare quel mondo e quegli affetti che sembrano respingerci costantemente. Ed è proprio attraverso il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi sguardi, le sue lacrime, il suo peregrinare senza una meta apparente da una parte all’altra di una “periferia fantasma” (mai disposta ad accoglierti nel suo abbraccio ma sempre pronta a ricordarti ad ogni angolo quel dolore e quella disperazione che sembrano destinati a non lasciarci mai, ma soltanto ad esserci restituiti brutalmente come uno schiaffo in pieno viso), che Teresa lancia il suo personale grido d’aiuto.

Un grido d’aiuto reso soffocato nel cuore dalla vita stessa ma anche dall’indifferenza degli altri, così facile da ignorare ma difficile da nascondere e impossibile da non vedere; manifestazione di un dolore e di un disagio dal quale sembra impossibile astrarsi e che infetta, come un virus sconosciuto, tutti ciò che ci circonda, tutto ciò che vorremmo ardentemente cercare di rattoppare e proteggere, ma che alla fine arriviamo comunque a separare, allontanare e compromettere ancora di più.

Chiantini stringe lo spettatore attorno al mondo di Teresa, e lo (co)stringe inevitabilmente a vivere (e rivivere) sull’onda di una ripetitività incessante la stessa disforia emotiva da cui è affetta la protagonista (assolutamente funzionale, in tal senso, la scelta del formato 4:3). Teresa porta sulle spalle il peso non solo di una famiglia che sembra non riconoscerla e non volerla più, ma anche dell’intero mondo: quello che l’ha rifiuta, che l’ha umiliata, che non le hai mai concesso una vera occasione, che l’ha condannata e che, in ultimo, la costringerà a soccombere.

Anche il peso più gravoso, però, è destinato non a sparire, ma a stabilizzarsi: quel momento arriva quando diventiamo consapevoli di aver ormai toccato il fondo. E quando si arriva a guardare dentro il più oscuro degli abissi (ossia, dentro noi stessi), anche Teresa – come qualsiasi essere umano – avrà di fronte a sé due possibilità: arrendersi all’ineluttabile e annegare per sempre, spinta dalla disperazione a trascinare con sé ciò che ha di più caro, o provare a risalire la proverbiale china, consapevole di aver forse compiuto il più grande gesto di generosità e al tempo stesso di non poter mai risanare il più lacerante degli strappi.

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Il ritorno è un film dove i dialoghi sono ridotti all'osso e diventano quintessenziali: è il corpo, non le parole, a diventare l'unica forma di difesa per cercare di contrastare quel mondo e quegli affetti che sembrano respingerci costantemente. Ed è proprio attraverso il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi sguardi, le sue lacrime, il suo peregrinare senza una meta apparente da una parte all'altra di una "periferia fantasma", che Teresa lancia il suo personale grido d'aiuto.
Stefano Terracina
Stefano Terracina
Cresciuto a pane, latte e Il Mago di Oz | Film del cuore: Titanic | Il più grande regista: Stanley Kubrick | Attore preferito: Michael Fassbender | La citazione più bella: "Io ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia possibile." (A Beautiful Mind)

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Il ritorno è un film dove i dialoghi sono ridotti all'osso e diventano quintessenziali: è il corpo, non le parole, a diventare l'unica forma di difesa per cercare di contrastare quel mondo e quegli affetti che sembrano respingerci costantemente. Ed è proprio attraverso il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi sguardi, le sue lacrime, il suo peregrinare senza una meta apparente da una parte all'altra di una "periferia fantasma", che Teresa lancia il suo personale grido d'aiuto.Il ritorno, recensione del film di Stefano Chiantini con Emma Marrone