Hayao Miyazaki è tornato. Dieci anni dopo Si alza il vento (2013), il grande padre dell’animazione giapponese torna con un’opera che – in barba al triste ma inevitabile annuncio di pensionamento (poi sorprendentemente revocato) – rappresenta un ponte tra cultura orientale e occidentale, una sorta di summa compendiaria del suo pensiero autoriale.
Stiamo parlando de Il ragazzo e l’airone, presentato in anteprima italiana alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma – in collaborazione con Alice nella Città – e pronto ad approdare nelle sale, con grande hype, dal 1° gennaio grazie a Lucky Red. Un’opera che sciorina, davanti all’occhio della macchina da presa, una teoria di personaggi e immagini ricorrenti nell’universo dell’animatore e regista, evocando ancora una volta mondi immaginari e fantastici non troppo distanti dalla realtà, che fa capolino perfino tra le pieghe di una storia ambientata nel corso della Seconda Guerra Mondiale (fino ad echeggiare in alcuni eventi del presente).
Il ragazzo e l’airone è ambientato nel 1943, durante la Guerra del Pacifico (già nel cuore della Seconda Guerra Mondiale) e vede protagonista Mahito, un ragazzino di dodici anni che vive con il padre nella storica villa della famiglia materna, in seguito alla morte proprio di sua madre, avvenuta in seguito ad un incendio. Durante la sua permanenza nella casa di campagna – e in attesa che suo padre sposi sua zia – Mahito farà amicizia con un airone cenerino, che lo condurrà nel cuore di una vecchia torre che è un portale per una terra popolata da strane creature, sospesa fra i vivi e i morti, dove il ragazzo spera di ricongiungersi con la madre forse ancora viva.
Un coming of age atipico e surreale
Come sempre quando si tratta di un capolavoro targato Studio Ghibli, anche in questo caso leggende, folklore e fantasia sono funzionali per raccontare qualcosa di “altro”, di più profondo e complesso, trovando solo in tal modo le parole giuste per poter riflettere insieme al pubblico stesso su tematiche importanti e universali. Nel caso specifico de Il ragazzo e l’airone, la dissertazione del maestro Miyazaki si snoda intorno agli assi cartesiani dell’elaborazione del lutto, del dolore e del concetto stesso di perdita, trasformando il viaggio (fantastico) del giovane Mahito in un coming of age atipico e surreale, dipinto attraverso pennellate liriche e grottesche allo stesso tempo, come nello stile dello Studio Ghibli.
Nell’estetica, Il ragazzo e l’airone si ispira tanto alla grazia degli impressionisti francesi – nonostante l’irruzione costante della realtà, attraverso dettagli e particolari degli ambienti che ricostruiscono un’intera epoca – quanto, sul piano concettuale, al Lewis Carroll di Alice nel Paese delle Meraviglie, creando appunto un ponte tra un capolavoro della letteratura occidentale e la suggestiva immaginazione del folklore orientale, tra personaggi antropomorfi inquietanti, spiriti, animali antropizzati a loro volta e altre fantastiche presenze.
Una vita dedicata al fantastico
Il nuovo film di Miyazaki non chiuderà la carriera del maestro, come lui stesso ha dichiarato (nonostante gli 82 anni compiuti); eppure, in questo nuovo capitolo c’è un velo di malinconia nostalgica che aleggia sull’intera operazione, come se l’animatore – e cineasta – avesse cercato di tirare le somme definitive della propria visione artistica, condividendo con il “fanciullino” Mahito quel viaggio nell’elaborazione del dolore che anche lui ha compiuto in prima persona.
C’è infatti traccia dell’amarezza legata alle sorti dell’eredità dello Studio Ghibli in questa storia, come pure una macro-riflessione su un’intera carriera dedicata all’animazione, per affascinare gli occhi (e gli animi) degli spettatori attraverso incantesimi “di carta” fragili come origami, ma dotati di voci potenti e fragorose (come non ricordare, ad esempio, i temi militanti affrontati in Nausicaä della Valle del vento o Porco Rosso?).
Il ragazzo e l’airone è l’affresco fantastico – e definitivo – che unisce l’estetica di due culture: la fantasia creativa del Sol Levante e la curiosità bislacca dell’occidente di Carroll, unendo le immagini alle parole, fondendole insieme per creare un racconto unico che profuma di amarcord malinconico da parte di un maestro del genere (animato), ben lontano dal commiato ma pronto a tirare le somme di un’intera vita dedicata al fantastico.
E, come in una teoria surreale, i personaggi che sfilano sullo schermo rimandano tanto allo sconfinato universo d Miyazaki quanto, ancora una volta, al mondo occidentale, al ricco patrimonio di fiabe e favole che hanno colorato i sogni di grandi e piccini, accendendo ogni volta le luci di un immaginario inestinguibile.