venerdì, Marzo 31, 2023
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Il primo giorno della mia vita, recensione del film di Paolo Genovese

La recensione de Il primo giorno della mia vita, il nuovo film di Paolo Genovese con Toni Servillo e Valerio Mastandrea. Nelle sale dal 26 gennaio.

Nella sceneggiatura c’è una domanda fondamentale che innesca il processo creativo: è il famoso What If…?, quel Cosa succederebbe se…? che crea una profonda frattura narrativa, un periodo ipotetico dirompente pronto a spingere la narrazione ben oltre i confini della mente degli sceneggiatori.

E Paolo Genovese, apprezzato regista (Perfetti sconosciuti, The Place, Supereroi), sembra aver fatto tesoro di questa lezione fondamentale trasformandola in una potente premessa drammatica alla base della sua ultima fatica, Il primo giorno della mia vita, che arriverà nelle sale dal 26 gennaio. Adattando se stesso – il romanzo omonimo edito da Einaudi e pubblicato nel 2018 – senza però tradire tout court il suo immaginario di partenza, Genovese orchestra sullo schermo uno struggente valzer degli addii che vede protagonisti Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy e Sara Serraiocco.

Un uomo misterioso si presenta, nel cuore della notte, a quattro persone che hanno toccato il fondo e vogliono farla finita per proporre loro un patto: una settimana di tempo per farle innamorare della vita una seconda volta. Il suo intento è quello di offrire la possibilità di scoprire come potrebbe essere il mondo senza di loro e aiutarle a trovare un nuovo senso alle proprie esistenze, anche a costo di far attraversare loro il baratro cieco del dramma, del dolore e del lutto.

Il primo giorno della mia vita è una storia sulla forza di ricominciare quando tutto intorno sembra crollare, soprattutto grazie all’aiuto degli altri. Senza dubbio, Genovese ha dimostrato – nel corso della propria carriera – di saper scavare, attraverso molti dei suoi film, nelle pieghe delle contraddizioni che popolano l’animo umano; un mare magnum di idiosincrasie incomprensibili che ci rendono “umani, troppo umani”, capaci di slanci emotivi imprevedibili soprattutto se posti in particolari condizioni che spingono al limite le reazioni. E se in Perfetti Sconosciuti l’innesco drammaturgico era un innocente gioco a base di smartphone e segreti e in The Place un misterioso individuo avvezzo ai patti (diabolici? Chissà!), ne Il primo giorno della mia vita l’espediente è sempre potente e mai così concreto, nonostante la cornice da realismo magico.

Quattro aspiranti suicidi e un uomo pronto a concedere loro una seconda buona occasione: semplice, affilato, doloroso nella sua linearità, l’espediente dietro il film scuote le coscienze dei protagonisti ma anche quelle degli spettatori che, seduti nella sala buia, non possono far a meno di attuare un transfert con i personaggi, mettendosi fisicamente nei loro panni prima di accompagnarli nei rispettivi “viaggi dell’eroe”, completando una dolorosa catarsi. Un’anabasi dalla superficie (della vita, dei sentimenti) fino alle profondità più recondite nelle necessità oscure e inconfessabili, dei desideri coltivati e mai confessati, delle ultime volontà che mutano di fronte al peso del ricordo e della malinconia.

Il primo giorno della mia vita, con tono austero ma elegante (senza mai indugiare in un dolore gratuito così avvezzo al “cattivo dramma”), mette in scena la tragicità teatrale dell’esistenza, sorpresa da sprazzi di inedita bellezza e temporanee elargizioni di grazia, dando corpo – attraverso le immagini sullo schermo – al kunderiano schema di leggerezza e pesantezza che si rincorrono, trasformandosi nei due poli che calamitano le nostre vite.

La tragicità teatrale dell’esistenza

Lo stile di Genovese sfrutta non solo la potenza della parola su carta ma anche della scrittura per immagini, adattando dalle pagine allo schermo il proprio immaginario: così dalla New York avvolta da un realismo magico che rende tutto possibile (e plausibile), si passa a una Roma inedita e poco turistica, malinconica e struggente, nella quale l’impossibile si manifesta solo agli occhi di chi sa guardare nell’invisibile.

Tra un’atmosfera che occhieggia al soprannaturale del Frank Capra di La vita è meravigliosa, alla struggente nostalgia del Wim Wenders de Il cielo sopra Berlino e infine – anche se attraverso una formula completamente diversa – alle riflessioni drammaturgiche del Lubitsch de Il cielo può attendere, Il primo giorno della mia vita viaggia a velocità costante lungo la strada del dramma esistenziale, sollevando domande, sollecitando le coscienze, istigando alle riflessioni sui massimi sistemi, senza dimenticare una dimensione cinematografica mainstream che strizza l’occhio alla presenza del pubblico, complici i volti ben riconoscibili che popolano il nutrito cast.

Volti, espressioni, sguardi, gesti: nel film di Genovese ogni personaggio incarna un archetipo aggiornandolo ai nostri tempi, collocandolo in un contesto post-moderno ben definito che induce a prendere la giusta distanza per osservare il caos del nostro quotidiano, cercando di mettere ordine. Si affrontano tabù importanti dei quali si parla troppo poco (o non si parla affatto) come la morte, il lutto e la sua elaborazione, il dolore di chi resta; ma anche il suicidio, la salute mentale e la necessità di apparire piuttosto che essere, nel cui labirinto di illusioni si finisce spesso per perdersi. E la grande lezione che Il primo giorno della mia vita lascia, alla fine della visione, è che nessuno si salva mai veramente da solo, ma sempre grazie all’aiuto degli altri e alla fiducia che si impara a nutrire nei loro confronti.

Guarda il trailer de Il primo giorno della mia vita

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Il primo giorno della mia vita, con tono austero ma elegante (senza mai indugiare in un dolore gratuito così avvezzo al “cattivo dramma”), mette in scena la tragicità teatrale dell’esistenza, sorpresa da sprazzi di inedita bellezza e temporanee elargizioni di grazia, dando corpo – attraverso le immagini sullo schermo – al kunderiano schema di leggerezza e pesantezza che si rincorrono, trasformandosi nei due poli che calamitano le nostre vite. E la grande lezione che Il film lascia è che nessuno si salva mai veramente da solo, ma sempre e solo grazie all’aiuto degli altri e alla fiducia che si impara a nutrire nei loro confronti. 
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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Il primo giorno della mia vita, con tono austero ma elegante (senza mai indugiare in un dolore gratuito così avvezzo al “cattivo dramma”), mette in scena la tragicità teatrale dell’esistenza, sorpresa da sprazzi di inedita bellezza e temporanee elargizioni di grazia, dando corpo – attraverso le immagini sullo schermo – al kunderiano schema di leggerezza e pesantezza che si rincorrono, trasformandosi nei due poli che calamitano le nostre vite. E la grande lezione che Il film lascia è che nessuno si salva mai veramente da solo, ma sempre e solo grazie all’aiuto degli altri e alla fiducia che si impara a nutrire nei loro confronti. Il primo giorno della mia vita, recensione del film di Paolo Genovese