Il Palazzo del Viceré (Viceroy’s House) segna il ritorno cinematografico di Gurinder Chada, già autrice di successi come Sognando Beckham (2002) e Matrimoni e pregiudizi (2004), con una storia a metà tra la necessità del racconto storico e l’esperienza personale.
Il lungometraggio si sofferma sulla Partition tra India e Pakistan avvenuta nel 1947, mostrando difficoltà e strategie delle varie personalità che hanno preso parte a questo immenso e sanguinolento evento: Lord Mountbatten nonché Vicerè Inglese (Hugh Bonneville) e sua moglie Edwina Mountbatten (Gillian Anderson), il padre fondatore del Pakistan Jinnah, il leader spirituale Ghandi e quello politico, Nehru. Il filo conduttore umano di tutta la vicenda politica è la tormentata storia d’amore tra l’induista Jeet (Manish Dayal) e la musulmana Aalia (Huma Qureshi) entrambi a servizio nel Palazzo del Vicerè prima che questo venga adibito a tutt’altra mansione.
Gurinder Chada opta per una regia asciutta e lineare lasciando trasparire, in questo modo, l’esigenza di una scrittura visiva a servizio della narrazione storica
Gurinder Chada opta per una regia asciutta e lineare lasciando trasparire, in questo modo, l’esigenza di una scrittura visiva a servizio della narrazione storica, uno stile volto a richiamare anche l’attenzione di un pubblico che della Partion ha potuto leggere solo sui libri di storia.
La regista cura anche la scrittura del film – con Paul Mayeda Berges e Moira Buffini – e questa diventa uno dei punti di forza del lungometraggio regalando dei gustosi momenti tipici dello British humor e creando personaggi molto forti e politicamente sottili.
Il Palazzo del Viceré recensione del film con Gillian Anderson
Uno di questi è Edwina Mountbatten, moglie del Viceré e interpretata da Gillian Anderson, la cui verve linguistica lascia spazio al disegno di una donna molto risoluta e ferma nelle sue decisioni, consigliera indiscussa del Vicerè britannico.
Il lungometraggio riesce a coniugare l’aspetto politico e decisionale della Partition con quello prettamente umano grazie alla “personificazione” dell’India e del Pakistan tramite i personaggi di Jeet e Aalia ai quali si uniscono tutte la maestranze del Palazzo: sintomatica la scena in cui tutto ciò che si trova nel palazzo – utensili della cucina inclusi – è suddiviso tra i due paesi appena “divisi”.
La cui verve linguistica di Gillian Anderson lascia spazio al disegno di una donna molto risoluta e ferma nelle sue decisioni, consigliera indiscussa del Vicerè britannico
Il Palazzo del Viceré (qui il trailer italiano ufficiale) non dimentica di denunciare il lato più distruttivo degli eventi del 1947, costituito dalle grandi migrazioni di induisti e musulmani nei rispettivi nuovi confini e l’ondata di barbarie e distruzione che ne è stata diretta conseguenza.
Se, come ricorda l’incipit della narrazione, “la storia è sempre scritta dai vincitori”, allora questo film tenta di riconsegnare la memoria della Storia a chi appartiene di diritto, a tutti coloro che, nel farsi e disfarsi del tempo, hanno saputo sopravvivere e ritrovarsi come Jeet e Aalia: alla gente comune, al popolo.