Il Ladro di Giorni è il primo film italiano presentato a RomaFF14; un lungometraggio che segna il ritorno del regista Guido Lombardi alle atmosfere e alle suggestioni del precedente lavoro – Là Bas – Educazione Criminale – narrando una storia di formazione al limite della legalità; un racconto coming of age, un solido film sui risvolti della vendetta che si trasforma in on the road (in)aspettato, affrontando diverse sfumature mentre sullo schermo Riccardo Scamarcio e il giovanissimo debuttante Augusto Zazzaro mettono in scena un fragile rapporto padre-figlio.
Salvo (Zazzaro), 11 anni, vive con gli zii in Trentino. Il giorno della sua prima comunione, mentre gioca a pallone con gli amici, compare inaspettatamente a bordo campo un uomo, che riconosce come il padre – Vincenzo (Scamarcio) – scomparso sette anni fa, quando due carabinieri lo avevano portato via dalla loro casa pugliese. L’uomo è ora uscito di prigione e vuole passare qualche giorno con il figlio, portandolo al sud: e proprio durante questo viaggio on the road scandito da incontri e ricordi Salvo imparerà a conoscere suo padre, ma dovrà fare i conti anche con i suoi segreti e il suo passato.
Il Ladro di Giorni gioca con i generi, lasciandosi indirettamente contaminare nelle suggestioni quanto nelle sfumature stilistiche, formali e sintattiche: si possono ritrovare echi del revenge movie, del racconto di formazione coming of age, del crime movie ma soprattutto del road movie con tanto di contaminazione western, perché la frontiera è una presenza costante nel film: e con frontiera non s’intende soltanto quella fisica – il viaggio della coppia padre-figlio è infatti verso il sud, la Puglia – quanto quella morale, quel confine labile che separa il bene dal male e i buoni dai cattivi.
Chi sono, infatti, nel film i buoni? Quali i personaggi luminosi, quali invece quelli cattivi o forse, molto più semplicemente, dolenti, afflitti da un’umanità alla deriva che li ha confinati alle corde dell’esistenza costringendoli a confrontarsi con un mondo criminale, unico codice linguistico che conoscono e nel quale si sentono a loro agio? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che solleva il film, un classico road movie dell’anima che sfrutta la metafora del viaggio fisico per raccontarne un altro, ben più complesso, condotto fin nel cuore dei sentimenti.
Attraverso un’analisi approfondita ed epesegetica, è possibile interpretare Il Ladro di Giorni come un perfetto esempio di film di viaggio: ci sono quasi tutti gli elementi, dai luoghi lungo la strada agli incontri, passando per i raccordi di sguardi, la coppia di misfits protagonisti, la ribellione e perfino il tema delicato della memoria e del ricordo. Ma Lombardi cerca di aggirare qualunque semplificazione, qualunque riduzione ai minimi termini di sterili etichette di genere spesso comode per interpretare un prodotto audiovisivo.
Rielaborando un soggetto scritto diversi anni fa e lasciando che la sceneggiatura influenzasse la versione romanzata (e viceversa), il regista riesce a realizzare un prodotto solido e ben strutturato: forse non si tratta di un film dal linguaggio innovativo, ma Il Ladro di Giorni conserva l’eco di certo cinema d’autore italiano degli anni ’90, dimostrandosi ben scritto e con degli accenni a dubbi, contraddizioni e domande morali che accompagnano lo spettatore nel corso della visione.
Riccardo Scamarcio, tornando nella “sua” Puglia, tratteggia il ritratto di questo padre fragile e “alla deriva”, incapace di conoscere un altro linguaggio se non quello del crimine: un personaggio descritto attraverso i mille chiaroscuri che lo contornano, contraddittorio e forte, motore immobile di un film che si poggia sul delicato equilibrio tra l’innocenza inviolata del giovane Salvo e lo smarrimento – privato, ma soprattutto emotivo – del “maturo” Vincenzo, che impara attraverso il figlio a conoscere qualcosa che non ha avuto il tempo di conoscere prima, accecato dal desiderio di vendetta: l’amore.