Un volto, un nome, un’opera immortale alla quale si resta indissolubilmente legati. Con Il Giovane Karl Marx il regista nominato all’Oscar Raoul Peck prova a decostruire l’immagine iconografica – e storiografica soprattutto – del Karl Marx che tutti abbiamo conosciuto sui banchi di scuola; e, per farlo, si affida alla potenza del biopic e alla forza della gioventù.
Il film, distribuito da Wanted in collaborazione con Valmyn, uscirà nelle nostre sale italiane il prossimo 5 aprile e presenta un cast totalmente europeo composto da August Diehl, Stefan Konarske, Vicky Krieps, Hannah Steele e Olivier Gourmet, volti poco conosciuti al pubblico mainstream – a parte le eccezioni di Dieh, comparso in molti film hollywoodiani come Bastardi Senza Gloria, e della Krieps, recentemente protagonista de Il Filo Nascosto – ma perfettamente a loro agio nei costumi d’epoca dei loro “avatar” cinematografici.
Karl Marx (Diehl) è giovane, appassionato, ribelle e dotato di grandi ideali che cozzano con il flusso che sta assecondando l’Europa della prima metà del 1800 nella quale vive; Friedrich Engels (Konarske) è a sua volta giovane e interessato alle cause operaie, un dandy che rifiuta i dettami paterni per studiare la condizione della classe operaia sfruttata in Inghilterra.
I due si incontrano casualmente nella Parigi del 1844, e si riconoscono subito in quanto anime affini: entrambi interessati alle condizioni degli operai, entrambi pronti a rivoluzionare il loro mondo, anche a costo di distruggerlo dalle fondamenta, lottando contro gli ideali della vecchia guardia. Loro due, così giovani, insolenti e perspicaci, si ritroveranno a guideranno un movimento che segnerà la nascita della più grande rivoluzione prima della nascita del Secolo Breve.
Il Giovane Karl Marx recensione del film di Raoul Peck
Il Giovane Karl Marx (qui il trailer italiano ufficiale) dovrebbe essere preso d’esempio come il prototipo del biopic perfetto: impegnativo e spaventoso su carta, rischioso perché lontano da appigli commerciali facili e in grado di conquistare il grande pubblico, grazie al talento di Peck riesce a sovvertire la sorte avversa creando un film affascinante e magnetico.
Parafrasando le parole dello stesso Peck, invece di prediligere un taglio più mainstream e “anglofono” da biopic tradizionale, il regista infrange le regole: Marx non è il classico uomo attempato e barbuto che i libri di filosofia e storia ci hanno tramandato, quanto un giovane uomo indomito, un tedesco ribelle e romantico perché afflitto da questo “Streben” che lo lacera costantemente.
I tormenti di Marx affondano le radici nelle ingiustizie e nelle disuguaglianze sociali, nel proprio passato tormentato e nel presente a rischio; speculare, proprio come uno specchio, è la figura di Engels, presentato come un giovane dandy capace di gettarsi con più leggerezza – ma con la stessa caparbietà – nelle stesse cause combattute da Marx.
Peck riesce a creare un setup talmente avvincente dei due personaggi che, quando si incontrano per la prima volta sul grande schermo, allo spettatore non resta che assistere con crescente meraviglia a questo incontro tra titani: ne Il Giovane Karl Marx la sospensione dell’incredulità è pressoché totale grazie a una sceneggiatura impeccabile e precisa – scritta da Pascal Bonitzer e Raoul Peck – e alle magistrali interpretazioni degli attori coinvolti.
La regia maestosa, le prove attoriali impegnate – quanto impegnative – e la sceneggiatura evocano due concetti specifici: quelli di perfezione e verosimiglianza. L’attenzione per i dettagli, come l’uso di ben tre lingue: francese, tedesco e inglese, è il cardine che permette al biopic Il Giovane Karl Marx di ricreare, sul grande schermo, quella babele in costante fermento che era l’Europa della metà dell’800.
Un modo inedito per celebrare i 200 anni della nascita di Marx, i 170 anni dalla pubblicazione de Il Manifesto del Partito Comunista ma soprattutto la forza dirompente della rivoluzione, che è sempre e comunque giovane, incapace di invecchiare nonostante lo scorrere del tempo.