Il collezionista di carte è il nuovo film scritto e diretto da Paul Schrader (sceneggiatore di un cult come Taxi Driver di Scorsese e regista di American Gigolò con Richard Gere, ma anche del remake Il bacio della pantera) con protagonisti Oscar Isaac, Tye Sheridan, Tiffany Haddish e Willem Dafoe.
Il film, presentato in concorso alla 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (dove la presenza di Isaac ha brillato anche nel remake del bergmaniano Scene da un Matrimonio e nel nuovo blockbuster di Villeneuve Dune), è pronto ad approdare nelle sale dal 3 settembre, con la sua misteriosa storia di segreti, colpe e redenzioni: dei fantasmi del passato non ci si libera così facilmente, e lo sa molto bene William Tell (Isaac), un ex militare che vive come giocatore d’azzardo professionista e che attira l’interesse di una misteriosa finanziatrice (Haddish). La vita ordinaria di Tell viene però sconvolta dall’incontro con Kirk (Sheridan), un giovane in cerca di vendetta contro un nemico comune.
Il collezionista di carte riporta Schrader ai fasti delle origini, alle radici disturbanti della sua “poetica” delle solitudini: vendetta, rancore, perdizione ed espiazione si rincorrono tra luci a neon e anonimi motel, disegnando – ancora una volta – i confini definitivi della mappa dei luoghi dell’anima della Nuova America, così tormentata, malinconica e decadente. E il passato e il presente si trovano costretti ad affrontare un continuo dialogo puntellato da non-detti e contraddizioni, conversazioni figlie di cortocircuiti comunicativi interrotti e affrontate da personaggi che si muovono ai margini del ring dell’esistenza. Schrader torna a tutto questo, riprende le fila del nervosismo che ha sempre attraversato la sua filmografia e crea un altro cammeo, un gioiello cesellato nella pietra dura e stratificata.
In un mondo cinematografico popolato di copie conformi, film lineari e rassicuranti, storie semplici narrate attraverso un linguaggio ancor più semplice (e semplicistico), il regista riporta l’attenzione sul ruolo della sceneggiatura, sulla necessaria complessità di una struttura portante per tenere in piedi il peso della storia che altrimenti si ripiegherebbe su se stessa come un castello di carte. Per tematiche e analisi lucida del mondo raffigurato, ci aggiriamo tra i territori de Il Giocatore – Rounders di John Dahl: William Tell, anti-eroe dal nome atipico ma profetico, è un giocatore di poker esperto che ha imparato a contare le carte nel corso di otto anni di carcere. Otto lunghissimi anni in cui ha avuto modo di confrontarsi con i propri spettri, abbracciando la solitudine e una routine capace di incanalare la rabbia e la frustrazione.
La scrittura di Schrader ha creato personaggi memorabili per la storia del cinema, anime sole preda di angosce esistenziali e pesi da espiare: il Gesù de L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese (qui produttore), il Travis Bickle di Taxi Driver e l’effimero gigolò interpretato da Gere in American Gigolò: solo alcuni titoli, una manciata di cult che delineano i tratti della mascolinità che si aggira nel microcosmo del regista; una mascolinità fragile e umana, contraddittoria e affascinante, pronta a muoversi tra le luci e ombre del crepuscolo come erranti fantasmi nella notte cieca. Uomini che portano, sulle proprie spalle, il peso delle scelte del passato e l’ansia delle aspettative presenti, proiettate in un futuro indefinito e dai contorni distorti quanto perturbanti.
Nell’ottica di Schrader, ogni personaggio – soprattutto, ogni protagonista – deve fare i conti con ingombranti presenze ataviche che ne determinano (e condizionano) comportamenti e modi di pensare: e questo accade tanto nei suoi personaggi di sesso maschile quanto in quelli femminili, come la protagonista de Il bacio della pantera vittima addirittura di un’antica maledizione.
Il collezionista di carte si basa su una solida sceneggiatura noir che riprende tutti canoni del genere ma li contamina con la realtà, creando una macro-riflessione – attraverso l’occhio della macchina da presa – sul nostro fragile presente, sulle contraddizioni irrisolvibili di una società come quella americana sulla quale si focalizza l’obiettivo del regista-sceneggiatore. Ogni scelta, nel film, non è frutto del caso ma di precise scelte estetiche e stilistiche: i dialoghi quintessenziali sono sempre funzionali all’avanzamento della narrazione, allo sviluppo del dramma (inteso come azione); la suspense serpeggia tra le inquadrature anche grazie al montaggio, creando un costante parallelismo tra il tavolo verde e la vita, l’ansia della partita e quella dell’esistenza.
Ma è proprio il casting l’altra punta di diamante del film, con gli attori perfetti nei panni di personaggi complessi ben lontani da essere mere macchiette. Non c’è una scelta convenzionale negli attori de Il collezionista di carte: particolari e atipici, sembrano creature plasmate dalla penna di Schrader, frutto delle sue parole tanto quanto la drammaturgia del racconto filmico. E su tutti impressiona un Oscar Isaac protagonista e mattatore, dotato di un volto laconico e indecifrabile che lo rende tanto un perfetto giocatore di poker, quanto un uomo pronto a proteggere dolorosamente il suo passato e una nuova, perfetta, incarnazione della solitudine metropolitana secondo il regista.
La scelta di una regia asciutta e austera ricorda tanto il cinema della New Hollywood – con i bruschi tagli di montaggio, il nero che inghiotte scene e dialoghi – quanto la tradizione del neo noir moderno e post-moderno, quello definito dall’estetica di Scorsese e dal Drive di Nicolas Winding Refn; solitudini illuminate di tre quarti dalle luci a neon sintetiche, luoghi lungo la strada (nel caso de Il collezionista di carte, Casinò e motel) irreali e simbolo del presente, ma soprattutto del consumismo americano.
E con Il collezionista di carte Paul Schrader prova a raccontare, ancora una volta, le idiosincrasie drammatiche degli Stati Uniti, divisi tra peccato e redenzione, pentimento e dannazione eterna, malinconia struggente e grazia salvifica. Ed è così che il tavolo verde si rivela, di nuovo, la metafora più calzante per raccontare la vita, perché nel gioco (e, in particolare, nel Blackjack) il passato influenza le azioni del futuro, così come impara – a sue spese – il collezionista di carte William “Bill” Tell, che non dimentica mai né una carta, né un frammento di ciò che è stato.