Gli occhi sono lo specchio dell’anima. È questo il pensiero che rimbalza nella mente dello spettatore di Goodnight Mommy, lungometraggio diretto da Matt Sobel e disponibile su Prime Video dal 16 settembre. Il film, remake statunitense dell’opera (2014) diretta dalla coppia di austriaci Veronika Franz e Severin Fiala, ruota infatti attorno al tema dell’identità e della (im)possibilità di slegarla dai tratti somatici e distintivi del singolo.
Lucas (Nicholas Crovetti) ed Elias (Cameron Crovetti) sono fratelli gemelli e quindi per loro natura identici, tanto nel fisico quanto nelle interazioni reciproche e con il mondo esterno. Quest’ultimo è rappresentato dalla madre (Naomi Watts), la cui identità appare invece annullata da una maschera di bende chirurgiche. I due ragazzini, durante un teso soggiorno nella casa di campagna della mamma, saranno infine costretti a fare i conti con i cambiamenti fisici ed emotivi della donna, inspiegabilmente e gradualmente sempre più ostile nei loro confronti.
Goodnight Mommy si presenta immediatamente come film di genere, con tutti gli stereotipi del caso. Ci troviamo infatti in uno dei territori privilegiati dalle piattaforme streaming, quello del thriller psicologico, dove lo spettatore è chiamato a mettere costantemente in dubbio ciò che vede, alla ricerca ossessiva delle implicazioni metaforiche e morali del racconto. Queste sono, in gran parte, chiare fin da subito: il tema dell’identità del singolo, sottolineato dal ricorso al topos del doppio, evolve in una riflessione più ampia sull’identità materna e sulla difficoltà di scindere l’immagine che una donna ha di sé stessa da quella condivisa con i figli.
Non può essere un caso che il titolo originale del film di Franz e Fiala fosse Ich seh, Ich seh, io vedo io vedo, a ribadire la precisa volontà di concentrarsi, a livello quasi programmatico, sul tema del doppio. L’opera dei due registi austriaci – e questo è quantomeno insolito – appare meno criptica di quella dell’americano Sobel: in quel caso, infatti, l’attenzione non era posta tanto sul mistero da risolvere, quanto sull’esplorazione di una situazione e sulla conseguente escalation, la cui violenza era costruita ad arte per sconvolgere lo spettatore.
Un remake pervaso da una perturbante ambiguità
In Goodnight Mommy, più che ad una catarsi in senso stretto, assistiamo ad una preparazione lenta e quasi scientifica del colpo di scena finale. Il rovesciamento cui assistiamo nel terzo atto risulta piuttosto prevedibile (e non solo da chi è avvezzo al genere) ma comunque funzionale al ritmo e alla riuscita del racconto. Lo spettatore di Goodnight Mommy non viene messo più di tanto in discussione, poiché l’interesse di chi sta dietro la macchina da presa non è certo quello di smuovere coscienze ma piuttosto di raggiungere un livello accettabile di tensione.
Obiettivo che viene pienamente centrato e gran parte del merito va ai tre interpreti principali. Tuttavia, se è vero che ai bravi Nicholas e Cameron Crovetti il ruolo calza a pennello, è comunque la performance di Naomi Watts a garantire al racconto il giusto grado di pathos, dato che è il suo personaggio ad incarnare in primis quel sentimento di perturbante ambiguità che infine pervaderà tutto il film.
I detrattori di Goodnight Mommy potrebbero contestargli la scelta di aver palesemente edulcorato e in un certo qual modo banalizzato (per non dire americanizzato) il materiale di partenza, interrogandosi poi sulla reale necessità di un remake fatto a così breve distanza dall’opera originale. Se non fosse che anche quest’ultima, va detto, aveva dei difetti, specialmente se confrontata con il più maturo The Lodge, che si configura come una sorta di “prova del nove”, dove i due registi ripropongono con più mestiere e consapevolezza i vari stratagemmi narrativi sperimentati nel 2014.
Matt Sobel ha l’indubbio merito di aver reso più accattivante (quantomeno per il pubblico “generalista” di Amazon) un prodotto ostico, senza comunque tradirne lo spirito di fondo, che oltretutto viene arricchito di nuove sfumature. Certo, sarebbe ingenuo pensare che dietro ad operazioni di questo tipo non vi sia anche un calcolo spudoratamente economico; questo film, d’altronde, non si nasconde dietro ad un dito e si presenta esattamente per ciò che è, un prodotto di consumo, volutamente privo di quell’allure di autorialità che caratterizzava il gemello austriaco, assai più sofisticato tanto in termini di scrittura quanto in termini di regia.
E tuttavia Goodnight Mommy appare, con buona pace dei puristi del cinema d’autore, inaspettatamente più efficace del suo corrispettivo europeo. La precisa scelta di affrontare il medesimo tema con un atteggiamento più “terra-terra” ma non meno onesto intellettualmente infine paga e permette al film di raggiungere un obiettivo non banale: intrattenere gli spettatori più pigri e, allo stesso tempo, spingere quelli più volenterosi a riscoprire il lavoro di Franz e Fiala, una coppia di registi che vale la pena tenere d’occhio.