La continuità è stabilita già a partire dal titolo, almeno da quello italiano. Si chiama Gli Indesiderabili il nuovo film scritto (insieme a Giordano Gederlini) e diretto da Ladj Ly. Arriva a cinque anni di distanza – da noi uscì un anno dopo, in piena pandemia e comprensibilmente con poco pubblico in sala – da I Miserabili (l’affinità con il romanzo di Victor Hugo non si fermava qui), brutale e realistico affresco su violenza, ingiustizia e emarginazione nella moderna periferia francese.
Con ogni probabilità, il tentativo più riuscito e d’impatto, in una certa direzione, dai tempi del capostipite, della madre di tutte le banlieues cinematografiche, sarebbe a dire L’odio di Mathieu Kassovitz. Comprensibile, dunque, che le aspettative cinefile, per questa seconda incursione nel genere, fossero piuttosto alte. Se per I Miserabili era stata la volta della presentazione, in Concorso, al Festival di Cannes, con tanto di vittoria del Premio della Giuria, stavolta l’onore della prima è toccato a Toronto 2023. Con Anta Diaw e Alexis Manenti, ma non solo, l’uscita nelle sale italiane – distribuisce Lucky Red – è prevista per l’11 luglio. Ora, scendendo più nello specifico, va premesso che Gli Indesiderabili è molte cose diverse.
È un film claustrofobico; non si allontana mai dal perimetro (mentale e fisico) della periferia da cui origina una (brutta) storia di rinnovamento urbano e ingiustizia sociale. È una cronaca dallo sguardo largo; fotografa l’ingiustizia dal lato di chi la fa e di chi la subisce. E, ha sentenziato la critica internazionale dopo la prima canadese di quasi un anno fa, è anche un film imperfetto, macchinoso e didascalico come il predecessore non era mai stato. C’è del vero in ciascuna delle argomentazioni. In Francia ha tenuto meno bene, dal punto di vista degli incassi. Vedremo questa strana estate italiana, tra record di presenze e desertificazione della sala, che accoglienza riserverà.
La storia dell’edificio numero 5. E di chi ci vive
Il titolo originale è diverso dall’italiano Gli Indesiderabili e dall’internazionale Les Indesiderables. In Francia è uscito come Bâtiment 5, letteralmente Edificio 5, perché è lì che accadono le cose veramente importanti, nell’edificio numero cinque di un grosso complesso abitativo alla periferia di Montivilliers, un piccolo comune francese della Normandia. È in atto un colossale progetto di rinnovamento urbano che prevede l’abbattimento di fatiscenti casermoni abitati, in condizioni disumane in termini di spazio, igiene e servizi, da immigrati e da francesi di seconda e terza generazione.
È premura di Ladj Ly ricordare allo spettatore, specialmente non francese, che in molte zone del paese la Francia tradizionale, bianca e borghese, quella indispensabile per stabilire regole di civile e dignitosa convivenza, non c’è più. Se ne è andata portando con sé le infrastrutture, la giustizia sociale, la possibilità di un futuro. Restano, da quelle parti, in molti rassegnati e in pochi volenterosi. Tra i volenterosi figura senza ombra di dubbio Haby Keita (Anta Diaw), che nell’edificio 5 ci vive e si adopera, nonostante l’evidente inerzia dell’amministrazione comunale, per trovare un alloggio a chi non ce l’ha.
Nel bel mezzo della “ridecorazione” dell’isolato viene a mancare il sindaco, colto da un malore. Va sostituito, almeno fino a nuove elezioni, con una figura a interim. C’è molto da fare perché ci sono grane giudiziarie legate al progetto. La scelta del nuovo primo cittadino è una questione delicata. Le valutazioni della deputata Agnès Millas (Jeanne Balibar) e del vicesindaco Roger Roche (Steve Tientcheu) – figlio di immigrati, ma dalla parte dell’autorità costituita, una lacerazione su cui il film poteva investire di più – portano alla designazione del consigliere comunale Pierre Forges (Alexis Manenti). Pierre è un medico, non ha mai sognato di fare politica a questi livelli. La moglie Aurélia (Nathalie Forges) cerca di distoglierlo, inutilmente.
Pierre assume la carica con una durezza e un’intransigenza che spaventa persino i colleghi di partito, che gli rimproverano una condotta reazionaria. Non cede di un millimetro sul progetto, alimentando l’insofferenza e l’ostilità della gente dell’edificio 5, in particolare del giovane e turbolento Blaz (Aristote Luyindula). Non si deve pensare, però, a un film dispersivo. Ragionando di struttura narrativa, Gli Indesiderabili è un lineare gioco a due voci. La partita a distanza tra un uomo e una donna, tra una figlia di immigrati e un “vero francese”, tra una progressista e un custode dell’ordine, tra Haby e Pierre. Decidere le sorti di un palazzo per decidere le sorti di un quartiere, di una città, di una società. Di un paese.
Il finale e il film che poteva essere
La domanda più importante: cosa ci aspettiamo, meglio, cosa pretendiamo, in quanto spettatori, critici, cinefili, da un cinema politicamente e civilmente orientato? Una morale edificante, un senso di oltraggio nei confronti dell’ingiustizia sociale – ce n’è tanta nel film e talmente radicata da assumerla quasi come un dato naturale e questa è una parte del problema – quel tanto che basta nelle caratterizzazioni per favorire empatia immediata, partecipazione e solidarietà? Se la risposta è affermativa, Gli indesiderabili è qui per servirci: nobile nelle intenzioni, corretto nelle argomentazioni, lucido nello sguardo.
Come era stato ieri per I Miserabili, Ladj Ly sdoppia i punti di vista e racconta l’edificio numero cinque dalla prospettiva di chi ci abita e di chi vuole farlo saltare. Non è non può essere un equilibrio perfetto. Se nel film del 2019 la miseria, la diseguaglianza e la violenza erano veicolate essenzialmente (ma non esclusivamente) dallo sguardo e nei comportamenti delle forze dell’ordine, del potere che potrebbe pacificare ma non lo fa, Gli indesiderabili cerca più equilibrio. Anche se, a conti fatti, l’enfasi è soprattutto sulle ragioni, la vita e il coraggio della giovane Haby. Anta Diaw abita il personaggio con fierezza e una partecipazione per niente retorica. Alexis Manenti, al secondo film con Ladj Ly, ha negli occhi una luce fredda e insieme carica di umanità. Un’altra contraddizione su cui il film poteva spingere di più.
Il dramma totale, che abbraccia il quadro politico, il contesto sociale e la vita dei singoli, si risolve in chimera. Non c’è tempo e spazio per dare conto di tutto, per essere negli occhi, nel cuore e nella mente di tutti. Il problema principale, con Gli indesiderabili, è l’implicita fiducia di Ladj Ly nella forza degli argomenti e del linguaggio, l’illusione che bastino, la camera a mano, la recitazione nervosa, il senso di urgenza, per stabilire un dialogo costruttivo con lo spettatore, senza bisogno di aggiungere altro. Servirebbe un lavoro più sottile, sulle immagini e il loro contenuto provocatorio, per inspessire e complicare una verità peraltro inattaccabile dal punto di vista morale.
Ha ragione, la critica internazionale, quando lamenta, del film, l’esteriorità della polemica. È tutto davanti agli occhi, spiegato, razionalizzato, illustrato. Un complesso abitativo spazzato via, insieme ai suoi abitanti, per far spazio al nuovo. E il nuovo è una Francia benestante, possibilmente bianca – gli unici immigrati che il potere accetta, racconta il film, sono i profughi siriani, proprio perché più vicini culturalmente – e decisamente cristiana. Il trauma degli emarginati, lontani da casa, lontani dalla Francia (che è sempre altrove), lontani anche da un riparo sicuro, per far spazio a una riconversione urbana iniettata di razzismo e disuguaglianza. Hanno tutti ragione, il regista, la protagonista, il film. E sbaglia il pubblico francese quando sceglie di non premiare un film imperfetto ma vitale.
Serviva un altro approccio, per vincere la partita, un altro film, quello che si intravede sul finale, quando lo sgombero (chissà se definitivo) dell’edificio, repentino e improvvisato, è cosa fatta. E gli abitanti se ne vanno, ognuno con pochi minuti a disposizione per scegliere cosa (di davvero importante) portare via con sé. Le immagini sovrastano le parole, il tono è insieme drammatico e carico di speranza. La confusione ha un suo ordine. La forza politica e umana del film, una cosa sola. Per qualche minuto, Gli Indesiderabili è il film che avrebbe dovuto (potuto) essere.