Chissà se Noa, la protagonista di Fresh, disponibile dal 15 aprile sul canale Star della piattaforma Disney+, ha mai visto Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni di Woody Allen. Presumibilmente no, perché in caso contrario, memore dell’inquietante titolo originale del film del regista newyorkese – You Will Meet a Tall Dark Stranger – ci avrebbe pensato due volte prima di accettare le avance di un misterioso giovane nel reparto ortofrutta di un piccolo supermercato di quartiere. Nel suddetto titolo, infatti, l’allusione allo “straniero alto e bruno” nasconde un riferimento nientepopodimeno che alla morte. Mai fidarsi delle apparenze, dunque; perché sotto le vesti del principe azzurro di turno potrebbe celarsi un orco.
Ma Noa (Daisy Edgar-Jones) tutto questo non lo sa. D’altronde, come potrebbe anche solo immaginarlo? Non le pare vero che lei, ragazza di trent’anni senza uno straccio di fidanzato e con la repulsione nei confronti dei primi appuntamenti, sia così fortunata da incontrare una notte per caso Steve (Sebastian Stan). Attraente, simpatico, gentile e per giunta con un ottimo lavoro (è un chirurgo plastico), il ragazzo scioglie il cuore per troppo tempo criogenizzato di Noa. I due si fidanzano, progettano un fine settimana insieme fuori città e poi… spariscono nel nulla. Una scomparsa che insospettisce l’amica Mollie (Jonica T. Gibbs), che si mette subito sulle tracce della coppia.
Vuole giocare con le aspettative dello spettatore, Fresh. Il film, scritto da Lauryn Kahn e diretto dall’esordiente Mimi Cave, inizia come una commedia romantica per virare, dopo il lungo incipit, verso altri generi: prima il thriller, poi l’horror, ed infine il revenge movie. Tutto questo mantenendo inalterato l’interesse nei confronti della macabra ironia (fin dal titolo), smorzando la violenza con una sua rappresentazione grottesca. Tutto molto godibile, peccato solo che il film sia inficiato da un primigenio vizio di forma (anzi, a dire il vero: un vizio di sceneggiatura) che mette a repentaglio il delicato equilibrio sul quale si basa la narrazione.
Inutile girarci intorno: Fresh punta tutte le sue fiches sull’efficacia dei suoi colpi di scena. Ma non ha il coraggio di osare. Appare quasi impaurito di fronte alla possibilità di scuotere eccessivamente lo spettatore; e da questo punto di vista sembra specchio di un cinema – quello contemporaneo – ormai incapace di sorprendere davvero il suo pubblico. Che gli spettatori siano diventati così smaliziati da neutralizzare qualsiasi potenziale sorpresa? Può darsi. Ma limitarsi ad accettare questa presunta impotenza del cinema di fronte allo spettatore moderno senza approfondire il problema significherebbe non dare il giusto peso a una pratica riscontrabile in gran parte dei film prodotti oggi, specie a Hollywood.
Sembrano lontani i tempi in cui Hitchcock rivoluzionava la narrazione cinematografica e le abitudini degli spettatori scegliendo di collocare il primo colpo di scena di Psycho a 40 minuti dall’inizio del film (la morte della presunta protagonista), e “imponendo” alle sale di non far entrare i ritardatari (una prassi comune all’epoca). Uno shock narrativo ed esperienziale che il cinema contemporaneo sembra aver ormai bandito del tutto. Più coccolato che pungolato, lo spettatore viene oggi spesso guidato dai film con un’attenzione eccessivamente materna. Ogni risvolto narrativo che potrebbe scuoterne i nervi se non bandito viene anticipato da indizi a prova di scemo, disseminati un po’ ovunque, che servono proprio ad introdurre gradualmente i successivi snodi del racconto.
È quello che fa Fresh fin dall’entrata in scena – sospetta – di Steve. Non tenta neppure di dissimulare la natura del personaggio, le sue ambiguità; le fa emergere con spavalderia, credendo probabilmente che il piacere della visione risieda nel successivo sviluppo del racconto. Ed è effettivamente vero che il film prosegue senza particolari intoppi narrativi e con il giusto brio, ma è altrettanto vero che le sue potenzialità appaiono irrimediabilmente compromesse. Il paradosso è che, nonostante i suoi limiti, Fresh non può essere definito un brutto film. In primis perché diverte; poi, perché affronta temi estremamente attuali, importanti (ad esempio, la mascolinità tossica), ma senza eccedere in pistolotti; ed infine perché è supportato da un ottimo cast, su cui spicca – per phisique du role più che per bravura – Sebastian Stan, che, dopo la convincente performance in Pam & Tommy, si conferma a suo agio nell’interpretare personaggi costantemente sopra le righe.