Fino all’ultimo indizio è il nuovo film diretto da John Lee Hancock (The Blind Side, Saving Mr. Banks, The Founder) che torna dietro la macchina da presa per raccontare una storia crime che indaga le insondabili oscurità che si annidano nell’animo umano. Per raccontarla, si affida al talento insuperabile di ben tre premi Oscar® che dialogano sullo schermo per la prima volta tutti insieme: Denzel Washington (Training Day, Glory), Rami Malek (Bohemian Rhapsody) e Jared Leto (Dallas Buyers Club), che per la sua interpretazione nel film ha ricevuto la nomination ai Golden Globes 2021 come “Miglior attore non protagonista”.
Il film approda in Italia in esclusiva digitale dal 5 marzo, disponibile per l’acquisto e il noleggio premium su tutte le principali piattaforme digitali (Amazon Prime Video, Apple Tv, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity). Il Vice Sceriffo della Kern County, Joe “Deke” Deacon (Washington) viene mandato a Los Angeles per quello che sembra solo un veloce incarico di raccolta di alcune prove per un processo. Al contrario, si trova coinvolto nella caccia al killer che sta terrorizzando la città. A guidare l’indagine, il giovane Sergente Jim Baxter (Malek) che, colpito dall’istinto di Deke, richiede il suo aiuto non ufficiale. Ma mentre danno la caccia al killer, Baxter ignora come l’indagine stia riportando a galla alcune situazioni vissute in passato da Deke, ombre che svelano alcuni segreti scomodi pronti a mettere a repentaglio molto più che il semplice caso che stanno seguendo.
Fino all’ultimo indizio è un thriller tradizionale, un poliziesco asciutto che affonda le proprie radici nell’immaginario del quale si nutre, quello degli anni ‘90. Ambientazioni notturne, anime insonni che celano oscuri segreti, crimini inconfessabili e poliziotti in conflitto con le loro identità: elementi che appartengono da sempre alla tradizione del genere Hard Boiled e che cercano di cavalcare l’onda del tempo che passa. Gli anni ’90 sono la “culla temporale” nella quale si dipana la storia di crimini e omicidi intorno alla quale ruota la sceneggiatura: un decennio che non solo fa da sfondo alle vicende narrate (e mostrate) nel film di John Lee Hancock, ma che ne permea lo stile visivo, estetico, narrativo e forse perfino la scelta del cast, capitanato da Denzel Washington. E rivedere quest’ultimo, eletto di recente miglior attore degli ultimi vent’anni, nei panni di un uomo di legge riporta subito la memoria dello spettatore più cinefilo ad alcuni thriller – girati negli anni ’90, appunto – come Il Tocco del Male, che vedeva protagonista proprio l’attore afroamericano.
Quelle atmosfere cupe, “grigie” e notturne che avvolgevano i lungometraggi polizieschi (ma anche le serie tv) realizzate in quel periodo tornano ad avvolgere anche Fino all’ultimo indizio, che si muove sinuoso tra le spire di una notte apparentemente infinita, tra paesaggi metropolitani e vuote periferie losangeline. Ancora una volta è proprio la Città degli Angeli a fare da sfondo ideale alle vicende che coinvolgono due poliziotti tra loro antitetici: un vecchio segugio, stanco ma ancora infallibile, e un giovane rampante che deve gestire l’attenzione mediatica e il proprio ego. Denzel Washington e Rami Malek (che ha vinto l’Oscar 2019 come Miglior Attore Protagonista) incarnano alla perfezione questa coppia (sia sul piano fisico che psichico), l’eterno doppio che spesso ha popolato le pagine dei noir e le fantasie cinematografiche; e alle loro voci si aggiunge infine quella distorta ed inquietante di un “terzo incomodo”, il presunto assassino interpretato da Jared Leto.
Tre Premi Oscar in un’unica stanza – quella degli interrogatori – permettono al film di recuperare immediatamente quel ritmo che cerca altrimenti di inseguire per circa due ore, in una corsa forsennata che si allontana sempre di più dal crimine narrato e dalle indagini mostrate sul piccolo schermo. Il vero problema di Fino all’ultimo indizio si annida, infatti, proprio nella difficoltà di adattare ai moduli narrativi odierni un prodotto che sembra cristallizzato nel tempo, in un’epoca di serial polizieschi con agenti dell’FBI e poliziotti della Omicidi, di detective alla deriva sul grande schermo eredi dell’Hard Boiled letterario di Chandler e dello sguardo laconico di Bogart.
In un tempo come il nostro nel quale si vive una costante bulimia di immagini adrenaliniche, la lentezza rarefatta della narrazione del film di Hancock assume connotati sospesi, a tratti snervanti, ma fondamentali per la morale della storia raccontata. Il titolo originale del film, The Little Things, fa infatti riferimento ad uno dei capisaldi fondamentali della narrazione, a partire dal quale si snodano le vicende mostrate: l’importanza è nelle piccole cose. O, come aggiunge il mefistofelico personaggio a cui dà vita Leto,”il diavolo è nei dettagli“. Così tutto il film sembra ruotare intorno all’infinitesimale che è invisibile agli occhi, a quei dettagli che costituiscono le sfumature emotive dei personaggi scolpendone caratteri e comportamenti, facendo acquisire loro una profondità a 360° che spesso manca ai characters odierni.
Fino all’ultimo indizio, più che una tradizionale indagine poliziesca, è una capsula del tempo che trasporta lo spettatore nel cuore degli anni ’90; si riscopre così una lentezza del racconto alla quale ormai non siamo più abituati, ma anche una scrittura solida – e con poche sbavature – che costituisce la salda intelaiatura lungo la quale Washington, Malek e Leto possono tessere i preziosi fili delle loro performance, senza mai perdere il senso profondo di un discorso che trascende la semplice evidenza. Perché dietro la classica caccia al serial killer si riflette sul peso del passato, su quanto quest’ultimo influenzi il presente e le nostre azioni future, rimettendo nelle mani del nostro libero arbitrio il destino di scelte che sembrano, solo in apparenza, determinate dal caso.