Immaginate un remake di Cast Away, il celebre survivor movie diretto da Robert Zemeckis ormai più di venti anni fa, ambientato in un futuro post apocalittico. Protagonista un altro “naufrago”, sempre interpretato da Tom Hanks; al posto di un piccola isola disabitata in mezzo al vasto oceano, la desertica provincia americana nei pressi di St. Louis; a sostituire il fido amico Wilson, tre compagni di sventure: un cane, un robot simile al WALL-E protagonista dell’omonimo cartoon Disney/Pixar e un androide parlante. Avrete così, più o meno, un’idea di che cosa è Finch, il nuovo film di Miguel Sapochnik dal 5 novembre disponibile su Apple TV+.
A causa di imponenti tempeste solari, la Terra è diventata una landa inospitale. Le proibitive temperature hanno sterminato ogni forma di vita, uomo compreso. Lo scienziato Finch Weinberg (Tom Hanks) sembra essere rimasto l’ultimo uomo sul pianeta. Le sue giornate sono pressoché identiche: una scorrazzata fuori dal suo bunker ipertecnologico, più che altro per racimolare cibo, naturalmente protetto da una tuta che neutralizza i raggi solari; la quotidianità nella sua abitazione, che condivide con il fedele bastardino Goodyear, un piccolo robottino tutto fare, e un androide con il quale può scambiare due parole, Jeff (la voce, in originale, è di Caleb Landry Jones).
Scritto da Craig Luck e Ivor Powell – la cui sceneggiatura era già stata segnalata, nel 2017, nella Black List degli script più interessanti non ancora acquisiti da nessuna casa di produzione -, Finch si affida ai topoi caratteristici del genere sci-fi, scegliendo saggiamente di non raccontare la catastrofe che ha determinato la quasi completa estinzione dell’umanità (sulla falsariga dei disaster movie di Roland Emmerich e Michael Bay), ma concentrandosi su un indecifrabile dopo; eleggendo a protagonista un uomo qualunque senza particolari qualità che si trova (casualmente) a fare i conti con una situazione più grande di lui, rischiando di essere travolto dagli eventi (o forse, per rimanere il linea con il film, bisognerebbe dire “bruciato”).
A dare corpo al protagonista, come detto, è Tom Hanks, ultimo di una lunga serie di attori che hanno mostrato un notevole interesse nei confronti di progetti incentrati sulla fine di un’umanità spesso non priva di colpe (Greta Thunberg insegna). Già negli anni ’60 Charlton Heston ne Il pianeta delle scimmie doveva fare i conti se non con la fine del mondo, con una sua imprevedibile evoluzione; mentre nei ’70 sempre il celebre interprete di Ben-Hur vestiva i panni dell’ultimo uomo sulla terra in 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra, tratto dal celebre romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda (un secondo adattamento, del 2008, vede protagonista Will Smith).
In tempi più recenti, invece, si segnala il coinvolgimento, in progetti simili, di Viggo Mortensen, protagonista di The Road, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, dove l’umanità è decimata da un misterioso accadimento; e ancora, si potrebbe citare il Casey Affleck, regista e interprete di Light of My Life, film di chiara ispirazione autobiografica nel quale si racconta di un mondo in cui il genere femminile è stato sterminato da un morbo letale; e che dire, invece, dell’ambizioso (ma, ahinoi, poco riuscito) sci-fi intimista firmato da George Clooney, The Midnight Sky?
Rispetto ai film citati, Finch prende però una strada differente. Pur narrando di un accadimento tragico, l’opera di Sapochnik non si affida a un registro univoco (e prevedibile): l’inevitabile ricorso al dramma non impedisce al film di utilizzare anche un tono scanzonato, ironico, a tratti quasi demenziale. Una soluzione giustificata e resa possibile soprattutto dalla felice caratterizzazione dell’androide Jeff, la cui goffaggine permette al film di alimentare il contante confronto/”scontro” con il protagonista umano, arrivando a definire con Finch una sorta di futuribile “strana coppia” alla Walter Matthau e Jack Lemon.
Peccato solo che la scelta radicale di ridurre la narrazione all’osso, evitando di rendere conto allo spettatore di quanto accaduto all’umanità prima degli eventi narrati e del passato del protagonista (di cui sappiamo poco o nulla), così come la decisione di non contemplare la presenza di altri personaggi umani (ci sono ma non vengono mai mostrati), tradiscono la natura esile di un film caratterizzato oltretutto da una lunghezza eccessiva. E il ritmo sommesso con il quale il viaggio on the road di Finch è raccontato – senza picchi emotivi – certamente non aiuta ad alimentare il coinvolgimento di uno spettatore che a tratti si diverte ma non sente mai scattare la scintilla.
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