End of Justice è il titolo del legal thriller diretto da Dan Gilroy che ritorna al proprio adrenalinico cinema dopo Lo Sciacallo – Nightcrawler. Se lì il protagonista era Jake Gyllenhaal, questa volta Gilroy “scomoda” un altro attore – premiato con due Oscar e pluri-nominato – come Denzel Washington, che proprio per la sua vibrante interpretazione dell’avvocato Roman J. Israel ha conquistato una nuova nomination, entrando di diritto nella cinquina dei migliori attori del 2018.
In End of Justice (qui il trailer italiano ufficiale) i protagonisti si muovono nel limaccioso sottobosco del sistema giudiziario di Los Angeles. Roman J. Israel è un determinato avvocato difensore fiero del proprio attivismo dallo stampo tipicamente sessantottino; ma la sua vita viene stravolta quando una serie di turbolenze emotive – e giudiziarie – scombussolano i suoi storici ideali mettendo a dura prova la propria etica. Accanto a Washington troviamo anche Colin Farrell nei panni di un avvocato giovane e rampante, talmente spregiudicato da essere pronto ad assumere Roman nel proprio studio legale.
End of Justice si rivela una sorpresa: nonostante l’appeal da film vecchio stampo, pronto a riproporre sul grande schermo uno schema consolidato in anni di Fabbrica dei Sogni hollywoodiana, Gilroy riesce a scardinare i presupposti del legal thriller – anche questo un genere amatissimo soprattutto negli anni ’80/’90 – regalando allo spettatore un’esperienza cinematografica atipica.
Più che concentrarsi sulle dinamiche strettamente giudiziarie e le pratiche da tribunale, il regista lascia spazio al personaggio di Washington, quel Roman J. Israel che domina la scena con la propria contraddittoria presenza. Roman è un inguaribile idealista ingabbiato nelle contraddizioni dei nostri tempi moderni: continuare a credere, in modo ostinato e contrario, nei propri ideali o adattarsi ai cambiamenti, a costo di vendere se stessi e la propria anima?
End of Justice recensione del film con Denzel Washington
Gilroy, più che orchestrare un legal drama con venature adrenaliniche, sembra quasi dirigere una modernissima versione dell’eterno patto faustiano tra un uomo e le proprie seduzioni: resistere a quest’ultime o assecondarle, migliorando di conseguenza la propria esistenza in modo facile? Questo è il dilemma morale che serpeggia in Roman, ma che lentamente si propaga perfino tra gli spettatori, mettendoli di fronte a una scelta.
Non c’è giudizio morale nello sguardo di Gilroy verso Roman o gli altri personaggi; l’occhio meccanico del regista si limita a seguirli, ad osservarli mentre scelgono – al di là del bene e del male – o mentre scelgono di non scegliere, sospendendo ogni giudizio ed eleggendo a libero arbitrio l’umanità stessa e la ragion pratica, forse il più alto metro di giudizio conquistato dall’essere umano.
Washington ha il volto giusto per incarnare i dilemmi morali e le contraddizioni di Roman, ma in una cornice adrenalinica da thriller che ben rispecchia le radici di Gilroy (tra le altre cose, anche sceneggiatore di un capitolo della saga di Bourne); un attore che ha saputo rendere la propria carriera versatile, spaziando dai ruoli più action al dramma più impegnato, ma senza mai perdere il proprio tratto distintivo: una disinvolta credibilità.
End of Justice non brillerà, di sicuro, per innovazioni o piccole rivoluzioni. È un film tradizionalista che gioca sicuro, recuperando schemi e strutture del genere ma ricreando, allo stesso tempo, l’illusione di un’epoca in cui il cinema poteva essere mainstream senza sacrificare la sceneggiatura o gli attori a discapito degli effetti speciali più strabilianti.