Downton Abbey trova finalmente il proprio posto nel mondo della “celluloide”, passando dal piccolo al grande schermo con disinvolta nonchalance britannica e il fascino immortale di un successo assicurato; la serie creata da Julian Fellowes conclude nel migliore dei modi una lunga serie di ottimi risultati – durati ben sei stagioni – regalando ai fan della prima ora (ma non solo) un film – presentato a RomaFF14 – che ha il sapore di uno speciale, godibile e appassionante, capace di concludere nel migliore dei modi il ciclo delle avventure della famiglia Crawley-Grantham.
Il film riprende e prosegue le vicende dell’aristocratica famiglia; si torna nella loro suntuosa tenuta con gli ospiti più illustri che i Crawley abbiano mai ospitato, ovvero i sovrani del Regno Unito re Giorgio V e la regina Mary, i quali porteranno con loro una dama di corte la cui presenza sconvolgerà la quiete dei padroni di casa. Con una sfarzosa serata da preparare e una cena da studiare in ogni minimo dettaglio, i domestici che compongono la fedele servitù della famiglia dovranno fare il possibile per garantire il successo dell’evento tenendo a distanza di sicurezza scandali, traversi ed intrighi che aleggeranno sul futuro della tenuta.
Da tanto – troppo – tempo i fan di Downton Abbey attendevano questa trasposizione per il grande schermo: un modo per ampliare il respiro della serie, aumentando la suntuosità della messinscena e orchestrando un numero di trame e sotto-trame che si dipanano, leggere e brillanti, come un valzer degli addii e delle partenze ballato nei saloni della residenza più ammirata (e spiata) della serialità televisiva.
Downton Abbey costituisce il modo migliore per concludere una lunga avventura durata sei anni: nel corso della serie la famiglia Crawley-Grantham ha attraversato indenne gli anni, le epoche ma soprattutto la Storia facendo forza su un elemento in particolare: l’unità della famiglia (appunto), il legame inscindibile che unisce tutti i componenti e i membri acquisiti che finiscono per far parte di un gruppo ristretto ma, allo stesso tempo, grande e accogliente pronto a riscrivere i confini stessi del concetto di “microcosmo”.
Tante tematiche presenti in Downton Abbey si erano già affacciate nel corso delle serie, come ad esempio i cambiamenti legati alla percezione della figura femminile, oppure l’omosessualità, le battaglie politiche e le differenze sociali: dietro la splendida patina fictional il film permette di riflettere sul passare del tempo, sulla necessità di adattarsi al cambiamento senza ostacolarlo ma soprattutto dimostrando che il passato è passato e non ritorna, ma può solo illuminare con la propria luce il presente.
Ogni attore presente nella serie riprende il proprio ruolo originale, arricchendo quindi il suntuoso mosaico di volti, nomi e storie che Fellowes (creatore della serie) è stato così abile nel ricreare, senza mai trascendere nella finzione anzi, au contraire, creando una sospensione dell’incredulità talmente realistica, incastrata in un meccanismo narrativo talmente perfetto da essere impeccabile, proprio come una delle livree dei domestici di Downton.
Il fascino di questo film non si limita a colpire gli occhi – e i cuori – degli appassionati della serie: il prodotto finale narra una storia autonoma, indipendente, che tutti possono seguire senza problemi appassionandosi alle intriganti vicende narrate con il solito stile e il solito, sottile, sense of humour che sottende alcuni dei dialoghi più brillanti della serialità odierna di matrice britannica.
E, se la battuta non è altro che il frutto dell’equilibrio tra ritmo e tempo, Downton Abbey grazie anche alla regia di Michael Engler riesce a non mettere mai un piede in fallo, riconfermandosi come una garanzia ma soprattutto come un instant classic della contemporaneità, destinato a lasciare un solco indelebile tanto nell’immaginario collettivo popolare quanto nella storia dei serial televisivi, rendendo commerciale e fruibile per tutti un suntuoso affresco storico dalle infinite sfumature.