lunedì, Settembre 25, 2023
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Don’t Make Me Go, recensione del film di Hannah Marks con John Cho

La recensione di Don't Make Me Go, dramma diretto da Hannah Marks con protagonista John Cho. Disponibile su Prime Video dal 15 luglio.

Disponibile dal 15 luglio su Prime Video, Don’t Make Me Go è un film drammatico ambientato negli Stati Uniti, caratterizzato da un profondo legame tra padre e figlia. È scritto da Vera Herbert, autrice di alcuni episodi dell’acclamata serie televisiva This Is Us, ed è una delle prime pellicole dirette da Hannah Marks, attrice apparsa in film come The Runaways e The Amazing Spider-Man.

Don’t Make Me Go è la storia di Max (John Cho), un padre single che scopre di avere un tumore osseo vicino al cervello e si ritrova davanti ad una scelta: vivere ancora per un anno, oppure sottoporsi a un intervento con il 20% di possibilità di sopravvivere. In balia dei dubbi, Max opta per l’unica certezza che ha: il breve tempo che gli rimane con sua figlia Wallie (Mia Isaac). Decide, infatti, di non operarsi, ma di intraprendere un viaggio on the road con lei, attraversando stati come Louisiana, Florida, Texas e New Mexico. I due hanno ancora tanto da raccontarsi e Wallie deve ancora incontrare la madre per la prima volta, oltre che imparare a guidare.

Don’t Make Me Go si focalizza principalmente sul tema delle incertezze, sull’impossibilità di prevedere davvero cosa si lascia al mondo, fino a quando non si ha un’idea del giorno specifico in cui questo avverrà. Fino a quel momento, possiamo soltanto provare a chiedercelo. Vi è una frase, verso la fine del film, che prova a spiegare questo concetto, pronunciata da Wallie quando trae le sue conclusioni su quante “cose fantastiche” sia riuscita a fare: “Ho ballato in un jazz club, ho vinto alla roulette e ho potuto vedere l’America, in una vecchia Station Wagon guidata da me”.

A completare lo storytelling, la regia e la fotografia partono con il piede giusto. All’inizio, ci sono scelte originali (ad esempio, utilizzare una spiaggia di nudisti come primo luogo della storia) ed ottimi movimenti della macchina da presa. Ma, andando avanti, l’intensità cala progressivamente: la fotografia diventa meccanica e la regia non ha più un’impronta innovativa, come se si fosse perso l’impegno (insieme ad una certa qualità dei frames).

Inoltre, la voce narrante utilizzata per spiegare i punti chiave della storia – come, per citare il film, “Non vi piacerà il modo in cui questa storia finisce, ma penso che vi piacerà la storia” – non è una mossa vincente. In questo modo, lo spettatore viene messo in secondo piano, diventa passivo e, probabilmente, si sente anche messo da parte. D’altro canto, però, la narrazione è ben sviluppata, ciò che è seminato all’inizio viene raccolto alla fine, ma in alcune scene drammatiche è evidente che il regista sia intervenuto sul plot per renderlo più tragico: forse, il finale stabilito a priori non sorprendeva appieno.

Si è chiaramente osato un po’ troppo, portando lo spettatore a rimanere paralizzato sulle reazioni di alcune scene. Infatti, lo stesso non sa se commuoversi oppure riflettere, poiché l’emozione sembra studiata a tavolino. Come nel finale, straziante ma complesso, ci si sente quasi forzati a tirar fuori le lacrime con un montaggio alternato da immagini particolarmente tristi. Inoltre, non conquista appieno poiché si risolve in un modo fin troppo inaspettato.

Tuttavia, il film gode dell’ottima interpretazione dei suoi due attori protagonisti. John Cho (Searching, The Grudge) recita il suo personaggio in modo misurato, ma al contempo, sa come tenere viva l’attenzione dello spettatore, con il calore di un padre e la sua inedita performance canora. E Mia Isaac, alla sua prima interpretazione importante sul grande schermo, sfoggia un’ammirevole vivacità e spirito che servono da contrasto nei dialoghi con il padre.

Il resto del cast, invece, è composto da Kaya Scodelario (Annie), Jen Van Epps (Nicole), Otis Dhanji (Glenn), Mitchell Hope (Rusty), Stefania LaVie Owen (Sandra) e Jemaine Clement (Dale Angelo). Originale la scelta di Hannah Marks di apparire sullo schermo in una scena all’inizio del film come “make up tutorialist”, mentre Wallie si trucca in camera sua. I titoli che appaiono durante il film riguardo le indicazioni temporali sono di gran gusto e accompagnati bene da rumori e musiche.

Don’t Make Me Go ha un messaggio nuovo: si è disposti davvero a tutto per i figli soltanto il giorno in cui si scopre di dover morire, poiché non si può più fare altro se non essere padri. Da qui nasce la storia diretta dalla Marks. Ma, al di là dell’idea originale, la realizzazione ha un tono troppo commerciale per un tema così sensibile.

Guarda il trailer ufficiale di Don’t Make Me Go

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Don’t Make Me Go è un road movie che tocca corde molto intime. Esplora il rapporto indissolubile che c’è tra un padre e una figlia. Ma il finale non convince, impostato più per sorprendere che per coerenza dello storytelling.
Alessandro Muto
Alessandro Muto
Guardo film per dimenticare di essere seduto. | Film del cuore: Mission to Mars | Il più grande regista: Wes Anderson | Attore preferito: Edward Norton | La citazione più bella: "Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere". (Nuovo Cinema Paradiso)

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