giovedì, Febbraio 6, 2025
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Dampyr, recensione del film tratto dal fumetto di Sergio Bonelli Editore

La recensione di Dampyr, pellicola basato sull’omonimo fumetto creato da Mauro Boselli e Maurizio Colombo nonché atto primo del nuovo Bonelli Cinematic Universe.

C’è una cosa che servirebbe come il pane alla nostra industria cinematografica. Una cosa che tanti accarezzano, ma nessuno sembra voler fare poi realmente, come se fosse una sorta di peccato mortale o un’onta che poi bisognerà espiare. Lo si può ipotizzare perché non può essere una quesitone di opportunità. Quelle non sono mai mancate, siamo proprio noi che non vogliamo farlo anche se abbiamo sia chi lo saprebbe fare, come Mainetti e Guaglianone, che però al loro Jeeg non sembrano voler dare seguito, sia il materiale per farlo, come Diabolik, a cui però è stata riservata una trilogia autoconclusiva e abbastanza chiusa in se stessa.

Parliamo di un universo cinematografico basato sui nostri fumetti, una chimera che ha deciso, finalmente, di inseguire la Bonelli, la quale ha creato al suo interno un organo totalmente predisposto alle produzioni cinematografiche ed è finalmente riuscita a dare alla luce il primo atto di quello che è stato presentato come un vero e proprio Bonelli Cinematic Universe. L’annuncio è stato dato in pompa magna a Lucca Comics nel 2019, ma il COVID e un altro paio di cosette hanno ritardato l’uscita di Dampyr fino al 2022.

Trattasi dell’antieroe creato da Mauro Boselli e Maurizio Colombo, scelto per dare da subito una linea editoriale precisa al macroprogetto che vuole fare leva sulle sfumature e le commistioni, tanto nei suoi personaggi (non eroi positivi e basta), quanto nei vari titoli, che devono poter avere a disposizione la possibilità di essere crossmediali (non a caso Dragonero – I Paladini è una serie animata) e di poter attingere a tanti generi differenti. Tutto molto bello, tranne, purtroppo, il film, che è un esordio coraggioso per Riccardo Chemello, ma poco altro purtroppo. Per quanto riguarda il giudizio finale è però giusto fare una riflessione culturale sulla quale torneremo dopo.

L’origin story del dampiro

C’è un cavaliere che galoppa nell’oscurità, apparentemente puntando verso qualcosa. Forse in direzione di una casa dove una donna sta avendo un parto drammatico al cospetto di tre streghe che cercano in tutti i modi di impedire all’uomo di entrare. Ci riescono, la donna muore, il bimbo vive e il cavaliere, una volta arrivato, deve fare i conti con la promessa delle giovani megere: loro cresceranno il neonato finché non sarà abbastanza grande da fare la sua scelta. Quale non è dato saperlo.

Sipario. Dopo un tempo impreciso arriviamo al 1992 e nei Balcani è in corso una terribile guerra che, per la sfortuna del plotone guidato a un certo Kurjak (Stuart Martin), si rivela essere combattuta non solo da umani, ma anche da esseri sovrannaturali. Tra un assalto e l’altro viene captato dagli uomini che i figuri pare stiano cercando un certo Dampyr, chiamato Harlan Draka (Wade Briggs). Trattasi di un sorta di cacciatore di vampiri con problemi notturni, ma che di professione pare fare il truffatore più che altro, affiancato sempre da un ragazzetto che all’occorrenza può anche assurgere a spalla comica pronta all’uso. Ai soldati comunque poco importa della verità, perché, spinti dalla disperazione e dal terrore di non sopravvivere al prossimo tramonto, li catturano e poi usano il truffatore come esca per gli esseri sovrannaturali (vampiri, ovviamente), i quali, però, lo riconoscono.

Il fatto è che Harlan è veramente un Dampyr, ovvero un essere figlio di un’umana e di un Maestro della notte. Il giorno dopo ovviamente tutti i soldati (quelli restanti dopo l’ennesimo scontro) disertano, tranne Kurjak che si allea ad Harlan e ad una certa Tesla (Frida Gustavsson), un vampiro rimasto prigioniero, che decide di mettersi dalla parte di due uomini per liberarsi di Gorka (David Morrissey), un – guarda caso – Maestro della notte, un vampiro che crea e schiavizza vampiri tra cui lei, che non ha più voglia di dipendere dalle sue voglie.

dampyr
Foto di Gianfilippo De Rossi.

Un problema culturale

Riflessione promessa sopra: in Italia c’è un problema culturale con i cinecomics probabilmente perché la nostra tradizione cinematografica non nasce, al contrario di quella nordamericana, da una matrice commerciale. Questo si riflette sul nostro linguaggio e su ciò che gli spettatori si aspettano da esso, ecco perché Lo chiamavano Jeeg Robot conquistò tutti. Esso riuscì a fondere il nostro immaginario con la trovata supereroistica e fece il botto. Poi, però, di nuovo, problema culturale.

Partiamo da questo per dire che Dampyr non ha nulla di un film italiano. Non ha l’estetica, la regia, il concept, il pitch, la recitazione, le scenografie, gli effetti speciali, il taglio né, tanto meno, la voglia. Dampyr non è un film italiano perché non vuole esserlo, vuole puntare al mercato estero, ecco perché un distributore come Sony. Il film di Chemello si preoccupa di rispettare, senza sbrodolarsi, le tappe della classica origin story supereroistica (basandosi sui primi due albi del fumetto di Boselli e Colombo) con tanto di prologo e finale con risveglio dei poteri annesso. Storia di formazione con una personalità interessante fino al secondo atto, dove piano piano spuntano fuori i limiti dell’operazione.

L’innesco è divertente e l’ambientazione funziona, non c’è neanche troppo l’effetto cosplayer e gli attori sono sul pezzo, ma quando si alza il livello narrativo e di messa in scena il film si allontana bruscamente dallo spettatore, su cui, nelle intenzioni, dovrebbe intervenire per soppesare il carisma di Morrisey (l’unico grosso nome in scena), depotenziato però notevolmente da problemi strutturali. Il film rimane sopito, si accartoccia su stesso, prendendosi anche troppo sul serio nel vantare una complessità invero piuttosto fragile e un’ambizione horror che, semplicemente, non vediamo. Quello che vediamo è il grande lavoro di scenografia, che però oltre il desolante e qualche sprizzo di gotico vampiresco vecchio stile, ha in fin dei conti ben poco da dire.

La parte finale di Dampyr è anch’essa di derivazione oltreoceanica (Marvel nello specifico, sono loro i “colpevoli” che hanno portato i quattro atti anche nel mondo del blockbuster), in cui alla coda segue lo svisceramento della cornice, che non serve solamente per eventuali sequel, ma è portatrice di un valore semantico che cambia il senso delle relazioni dei personaggi e della storia appena vista. Prodotto da consumo per il grande pubblico, se quello voleva essere allora applausi. Aspettiamo, sempre speranzosi, ci mancherebbe altro, il proseguo del percorso.

Guarda il trailer ufficiale di Dampyr

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Dampyr, prima trasposizione del fumetto omonimo di Mauro Boselli e Maurizio Colombo, segna l’esordio alla regia di Riccardo Chemello e quello che potenzialmente potrebbe essere una rivoluzione per il nostro cinema, dato che segna il capitolo uno del Bonelli Cinematic Univese. La pellicola è pensata interamente per il pubblico oltreoceano ed infatti non c’è praticamente nulla che possa far pensare ad una produzione italiana, forse neanche le ambizioni riguardo il nostro mercato. Dopo una prima parte che regge anche piuttosto bene la pellicola si accartoccia su stessa, piegata da dei limiti di messa in scena, di linguaggio cinematografico e per una voglia di complessità in sede di scrittura. Un prodotto da consumo, con un minimo di personalità.

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Dampyr, prima trasposizione del fumetto omonimo di Mauro Boselli e Maurizio Colombo, segna l’esordio alla regia di Riccardo Chemello e quello che potenzialmente potrebbe essere una rivoluzione per il nostro cinema, dato che segna il capitolo uno del Bonelli Cinematic Univese. La pellicola è pensata interamente per il pubblico oltreoceano ed infatti non c’è praticamente nulla che possa far pensare ad una produzione italiana, forse neanche le ambizioni riguardo il nostro mercato. Dopo una prima parte che regge anche piuttosto bene la pellicola si accartoccia su stessa, piegata da dei limiti di messa in scena, di linguaggio cinematografico e per una voglia di complessità in sede di scrittura. Un prodotto da consumo, con un minimo di personalità.Dampyr, recensione del film tratto dal fumetto di Sergio Bonelli Editore