Da me o da te – titolo originale Your Place or Mine – è la nuova rom-com disponibile su Netflix che in poco più di 100 minuti ci allieta e ci aiuta a distrarci un po’ dalle brutture dell’attualità. Con protagonisti il premio Oscar Reese Witherspoon (40 sono i nuovi 20, Nelle pieghe del tempo) e Ashton Kutcher (Jobs), nei panni rispettivamente di Debbie e Peter, la commedia romantica di Aline Brosh McKenna (sceneggiatrice de Il diavolo veste Prada, qui la suo esordio alla regia) ci porta su un sentiero ampiamente battuto in altri film del passato, quello del rapporto d’amicizia uomo-donna e le sue implicazioni.
Se possiamo considerare l’argomento già trattato, questa storia ha comunque qualcosa da raccontare o, almeno, dimostra che qualcosa nella narrazione è migliorato. Debbie è una donna che lavora nel dipartimento di amministrazione della scuola di suo figlio tredicenne Jack, quest’ultimo preda delle sue eccessive premure perché condizionato da una serie di allergie alimentari. Seppure la storia di una donna divorziata che vive sola con suo figlio non è certo un incipit rivoluzionario, è comunque interessante rilevare come in una commedia leggera la protagonista non venga dipinta unicamente come madre ma anche come una persona che cerca di realizzarsi professionalmente cercando di ottenere una promozione.
Un corso specializzato con annesso esame che si terrà a New York sarà quindi l’occasione che porterà Debbie a scambiare la propria casa di Los Angeles con quella del suo ventennale amico Peter nella Grande Mela. I due sono in contatto quotidiano tramite messaggi e videochiamate, non interrompendo mai il loro rapporto nonostante la distanza. Per questa ragione, Peter decide di andare incontro alla sua amica in difficoltà perché rimasta senza baby sitter per Jack, trasferendosi per una settimana in casa sua per prendersi cura di suo figlio, consentendole così di volare a New York.
Durante questa settimana di scambio casa tra i due, Debbie e Peter scopriranno molto sul loro rapporto e sulle verità che li legano. Al contempo, ognuno di loro comprenderà che nonostante il contatto telefonico quotidiano, che genera l’illusione di conoscere tutto l’uno dell’altra, ci sono segreti, speranze, relazioni e difficoltà sconosciute a entrambi.
Una rom-com che non stupisce mai
Da me o da te non tenta minimamente di stupire lo spettatore: propina esattamente ciò che ci si aspetterebbe sul tema dell’amore e dell’amicizia, senza provare a sfatare, per una volta, le possibili implicazioni non necessariamente amorose che possono intercorrere nel rapporto uomo-donna.
Le vite dei due protagonisti sembrano essere talmente legate che, fuori dalla leggerezza che il film trasmette, si direbbe vivano un rapporto quasi morboso. Il personaggio di Peter è tratteggiato seguendo una serie di cliché: un uomo che intrattiene una relazione dopo l’altra senza approfondirla mai perché incapace di cedere ai sentimenti e alle responsabilità, ma che parallelamente mostra una natura completamente differente nei riguardi della sua amica Debbie e di suo figlio. Sembra infatti che il loro rapporto di amicizia sia talmente consolidato e stretto da avere un’importanza superiore rispetto a possibili relazioni con terzi, rappresentando di fatto una forma di invadenza.
La coppia Witherspoon-Kutcher dimostra una buona chimica e nonostante il film sia costellato da una serie di momenti abbastanza citofonati, è impossibile non notare come Oltreoceano si prova ancora a scrivere personaggi non scontati per attori che hanno superato i 40, senza quindi relegarli al ruolo di genitori al margine della vita dei propri figli, oppure di persone insoddisfatte nel pieno di una crisi di mezza età.
Sia Witherspoon che Kutcher sono perfettamente calati nei panni di personaggi ai quali corrispondono sia per dato anagrafico che per fattezze e non stonano assolutamente nelle dinamiche del film. Ovviamente, non siamo di fronte a nessuna rivoluzione nell’ambito della scrittura tipica del genere rom-com, ma quantomeno di una manifesta volontà di proporre un’immagine contemporanea che non circoscriva l’essenza di ogni individuo in base all’età che sta vivendo.
Proporre storie, anche solo romantiche, che non abbiano al centro solo dei ventenni, trasmette un po’ di fiducia nell’accettazione che le nostre vite non si costruiscono attraverso tappe uguali per tutti, ma che procedono ognuna secondo i propri ritmi. Non esistono storie che da un certo punto in poi non possano avvenire ed essere raccontate e, per fortuna, non esistono più stelle di Hollywood che dopo i 40 sono destinate necessariamente al “Viale del Tramonto”.