Non è raro l’utilizzo dell’appellativo “leggenda” per riferirsi, in termini eccessivamente lusinghieri, a personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo dalle lunghe carriere. Un titolo probabilmente assegnato, spesso e volentieri, con troppa facilità e leggerezza.
Una delle poche figure viventi degne di tale status è indubbiamente Clint Eastwood; vero e proprio gigante del cinema americano e internazionale, interprete in oltre 60 film, nonché regista di una quarantina di pellicole. A tre anni dall’ultima interpretazione (Il corriere – The Mule) e a due dall’ultima regia (Richard Jewell), il novantunenne torna, sia davanti che dietro la macchina da presa, con Cry Macho – Ritorno a casa. Il film, tratto dal romanzo di N. Richard Nash, è nelle sale dal 2 dicembre.
Il libro di Nash era nato proprio come sceneggiatura, scritta agli inizi degli anni ’70, proposta e rifiutata due volte dalla 20th Century Fox. Trasposto il soggetto in un romanzo dal successo modesto, l’autore, morto nel 2000, ha passato il resto della sua vita nella speranza di vedere finalmente realizzato il film. Diversi attori, negli anni, si sono avvicendati tra i possibili interpreti del vecchio cowboy Mike Milo (Roy Scheider, Burt Lancaster, perfino Arnold Schwarzenegger), senza che la produzione riuscisse mai davvero a partire.
Lo stesso Clint Eastwood aveva rifiutato il ruolo nel 1988 per poter interpretare Scommessa con la morte, ultima avventura dell’ispettore Callaghan. Dopo un lungo ripensamento, durato oltre trent’anni, l’attore e regista ha deciso di imbarcarsi nella trasposizione, affidando la riscrittura della sceneggiatura al fidato collaboratore Nick Schenk (il già citato Il corriere – The Mule e il bellissimo Gran Torino).
La trama di Cry Macho è ambientata nel 1978; Mike Milo (Eastwood), ex star texana del rodeo, ormai è solo un anziano cowboy che alleva cavalli. In difficoltà economiche, accetta la proposta del suo capo Howard Polk (Dwight Yoakam): riportare a casa in Texas suo figlio Rafael (Eduardo Minett). Il ragazzo, tredicenne scapestrato, vive in Messico con la madre Leta (Fernanda Urrejola), alcolizzata e vicina agli ambienti della criminalità organizzata.

Cry Macho – Ritorno a casa ha diversi elementi in comune con precedenti pellicole di Eastwood; con Un mondo perfetto condivide la natura di road movie, preponderante nella prima parte del film. Anche il rapporto padre-figlio, che si verrà a creare tra Mike e Rafael durante il viaggio, è molto simile a quello tra Butch e Buzz, personaggi protagonisti della succitata pellicola del ’93. Ma le figure di padri putativi non mancano nel cinema di Eastwood, un mondo popolato da maestri di vita, all’apparenza scorbutici ma dentro amorevoli, come Frankie di Million Dollar Baby o Walt di Gran Torino (diverse le reminiscenze dei duetti tra quest’ultimo e il giovane hmong Thao; si avverte la penna di Schenk anche dietro quest’ultimo film).
Questa prima parte, con la fuga on the road e le prime peripezie dei nostri, sa purtroppo di già visto e risulta non del tutto convincente. Il film inizialmente stenta ad ingranare, almeno finché i due non saranno costretti a prendersi una lunga pausa dal viaggio. È nel loro soggiorno presso un piccolo villaggio messicano, col conseguente incontro con la vedova Marta (Natalia Traven) e le sue nipoti, dove risiede il cuore della storia. Qui il loro nuovo nucleo familiare troverà la sua completezza, con momenti di una dolcezza toccante. Ci sarà anche spazio per una delicata storia d’amore della terza età, come raramente se ne vedono al cinema.
Cry Macho – Ritorno a casa non è tra i migliori film di Eastwood, ma rappresenta comunque un’opera più che valida. Un primo atto claudicante non compromette la pellicola nella sua totalità, capace, nei suoi momenti migliori, di emozionare e commuovere. Una visione fortemente consigliata agli estimatori della leggenda dagli occhi di ghiaccio.