Woody Allen ritorna in sala con il suo primo film in lingua francese. I temi sono quelli a lui cari: il caso, il destino, l’amore in una città. C’è una donna affascinante, Fanny (che volto Lou de Laâge!) e un ricco uomo di nome Jean (Melvil Poupaud). Ha accumulato una fortuna che l’ha inserito nei circoli che contano, quelli dell’alta società parigina. I due sono sposati e vivono in un matrimonio molto funzionale. Lei si gode dei lussi che in realtà non desiderava avere. Lui la coccola e la esibisce come donna oggetto.
Due infelicità tenute insieme da una casa enorme, da due corpi belli e dalle convenzioni sociali. Basta l’incontro con Alain (Niels Schneider), uno scrittore sorridente, per far ripensare a Fanny il proprio matrimonio. Lui era infatti un suo compagno di classe al liceo. Le confessa quasi da subito di avere provato per lei un’attrazione molto forte non ricambiata. Ma si sa, in Woody Allen non è mai troppo tardi.
Una scelta coraggiosa quella della Mostra del Cinema di Venezia di far passare Fuori Concorso il nuovo film del regista newyorkese per via delle vicende di cronaca che lo hanno coinvolto. L’interesse ad analizzarle in questa sede è pari a zero. Occorre però ricordarle per avere bene a mente il contesto in cui nasce Coup de Chance: con un regista isolato (oramai quasi quanto Roman Polanski) e con una forte esposizione alle contestazioni. Ci ha abituato bene Allen che, con quasi un film all’anno, ha raggiunto i 50 lungometraggi in filmografia con Coup de Chance. Facile dare quasi per scontato che i suoi film ci siano e che ci saranno ancora a lungo. Non è così. Ogni nuova opera è da accogliere quindi con estrema gratitudine, soprattutto se di questo livello!
Lui non lo dice, e non lo dirà mai, ma per fare quest’ultimo film è servita una buona dose di volontà aggiuntiva per affrontare più fatica nel trovare fondi e più resistenza per l’esposizione mediatica che avrebbe comportato. Con questa idea, strettamente e indissolubilmente legata al fattore artistico, la sala della Mostra del Cinema ha tributato un applauso alla comparsa del suo nome.
Come piegare le regole del caos a nostro favore?
Coup de Chance ne tirerà fuori un altro di applauso, bello convinto e a scena aperta negli ultimi minuti. Nasce da una sceneggiatura costruita apposta per restare sottotono per gran parte delle scene, salvo esplodere in un finale veramente clamoroso. Woody Allen ha scritto una barzelletta. Ovvero una storiella leggera con tre personaggi che si intrecciano; ad un certo punto diventano quattro e continuano a fare la stessa cosa per tutto il tempo. Si innamorano e fanno indagini l’uno sull’altro.
Il finale arriva come una punch line. La beffa finale che chiude tutto con un grandissimo colpo di teatro, capace di ridare il senso ultimo di tutto quello che si è visto. Coup de Chance ha un’atmosfera radicalmente diversa dall’ombroso Match Point, ma parla quasi della stessa cosa. Che poi è anche il grande tema dell’ultima parte della carriera del regista. Chi e cosa ci guida? Come piegare le regole cosmiche di “caos”, se esiste, “destino”, se esiste, e “amore”, se esiste, a nostro favore?
Al cinema non ci sono garanzie. Se però se ne dovesse individuare una sarebbe che ogni film di Woody Allen avrà esattamente quello che ci si aspetta, insieme a qualcosa di più. I suoi tratti stilistici tipici ormai sono inamovibili come la simmetria in Wes Anderson. Si parte con Coup de Chance aspettandosi delle cose ben precise sin dalla prima inquadratura. Il film, puntualmente, le rispetta tutte. Solo che questa volta lo fa con il brio delle opere più belle tra quelle nell’ultima fase della sua carriera. C’è sempre Vittorio Storaro alla fotografia. Le forme dei corpi, i colori che rispecchiano l’emotività, sono come sempre puro piacere da sala.
Si raccontano i caratteri a partire dagli edifici. La casa dello scrittore, piccola, è ripresa con il grandangolo e con colori caldi. L’abitazione del ricco marito è invece decisamente più grande anche se le inquadrature ci danno l’impressione che sia troppo stretta per il suo ambizioso abitante. C’è una riproduzione di un treno che occupa tutta una stanza, e una parte dedicata alla palestra perché “la forma fisica è la cosa più importante”. Ossessione e apparenza. I due tratti caratteriali del villain di questa commedia. Che adorabile sintesi narrativa.
La ricerca di un ordine nel mondo
Coup de Chance trattiene la usuale sagacia nei dialoghi di Woody Allen. La sposta soprattutto nelle azioni. La struttura ad intreccio è leggera come una piuma, eppure piacevolissima da vedere. Meno ossessionato del solito, Allen lascia perdere la psicanalisi e si concentra soprattutto sulla ricerca di un ordine nel mondo. La figura della madre di lei, appassionata di Simenon, è quella che incarna di più l’alter ego di Woody Allen. In questo caso il riflesso è più opaco del solito, meno palese la somiglianza. Però lei è esterna ai fatti e, proprio come il regista, ne è ugualmente coinvolta. Grazie a lei convergono tutte le storie fino alla beffa finale.
Sarà bello pensare, guardando Coup de Chance, che il regista si sia divertito a inseguire i suoi personaggi quasi quanto questa suocera ficcanaso così innamorata del genero. Certo, i tempi d’oro di Woody Allen sono ormai dietro le spalle e difficilmente ritorneranno (ma chi può dirlo? Dopo l’ultimo film c’è sempre un ulteriore ultimo film). La scrittura è buona, senza però mai raggiungere l’ottimo. La messa in scena anche. Insomma: Coup de Chance è un film carino, delizioso, godibile e rivedibile. Rappresenta la prova che questo signore a 87 anni ha ancora molto da dire per ribadire le sue tesi. C’è ancora molto da imparare, per chi vuole approcciarsi al filmaking, da lui. Come la sequenza brillante in cui marito e moglie si parlano senza sapere che rispettivamente sanno cose molto importanti che devono tenersi nascoste. Un funambolico gioco ad incastri che permette al film di volare via in un baleno.
A Coup de Chance si può muovere la migliore critica negativa. Individuare il più leggero dei difetti, quello che si trova a un passo dal complimento: l’essere solamente “gradevole”. Il suo peccato è infatti quello di essere un’ottima prova in tarda età, un film che si beve come un bicchiere d’acqua fresca in una calda mattina d’estate. Una barzelletta sulle suocere fatta film, un trattato sul caso e sull’abbandonarsi alla vita caro al regista. Tutto così bello, tutto così piacevole, che un po’ dispiace non sia riuscito a trovare qualche idea in più per diventare veramente memorabile.