Lavorare bene sul marketing, confezionare una locandina di effetto e generare curiosità chiamando in causa un fatto di cronaca era l’unico modo per rendere interessante e appetibile un film altrimenti trascurabile. E nel suo piccolo Cocainorso (in originale Cocaine Bear) è riuscito a raggiungere il proprio intento, guadagnando 87 milioni di dollari a fronte di un budget di 35, interamente frutto della folle idea di partenza del film, un orso cocainomane che semina terrore all’interno di un parco americano.
Una logline perfetta per un B-movie della Asylum (avete presente Sharknado?), in grado di parlare a una nutrita schiera di amanti e cultori del genere. Peccato che il film deluda le aspettative e si riveli essere tutt’altro. Nonostante i toni surreali e i dialoghi costantemente sopra le righe, infatti, Cocainorso si prende terribilmente sul serio: ammicca a film di un altro livello (da Zombieland a Cabin Fever) ma sin dal primo minuto, con la mancata continuità tra due inquadrature, mette in scena un pressapochismo tecnico e artistico sconfortante.
La regia è disattenta, la fotografia piatta, il montaggio totalmente privo di ritmo, la musica tanto anonima da sembrare scaricata da una library online. Inoltre, non c’è alcuna nozione di grammatica di genere: sembra che Elizabeth Banks, che dirige il film (suo – tra gli altri – il reboot di Charlie’s Angeles del 2019), abbia seguito pedissequamente le indicazioni di uno scarno manuale cinematografico secondo il quale per realizzare un horror, sia pure è sufficiente inserire un jumpscare, qualche gamba mozzata e due spruzzi di sangue. Non c’è traccia di suspense né tantomeno richiami autentici a un cinema splatter, grottesco o satirico.
Un film sbagliato sotto quasi tutti i punti di vista
Se gli appassionati resteranno delusi, a uno spettatore casuale andrà anche peggio: Cocainorso è un film terribilmente noioso, che non ha niente da dire, con una storia criminal puerile e personaggi insensati, privo di guizzi, che non osa né nella scrittura né sul fronte della messa in scena, attraente quanto un filmino di vacanze estive.
Siamo dunque lontanissimi dal cinema e dalla serialità contemporanea, lontani dai film della Asylum – che con zero budget e nessuna velleità mettono in scena idee e situazioni talmente paradossali da diventare cult –, più vicini (ma neanche troppo, considerando quanto ormai siano realizzati ad arte) ai thriller estivi confezionati da società americane come la Johnson Production Group.
Unico punto di forza del film è l’orso, la cui realizzazione ha fatto lievitare il budget diminuendo di molto la forbice degli incassi (per fare un paragone, M3GAN, sempre della Universal, è costato 12 milioni di dollari e ne ha incassati 176 worldwide). Realizzato dalla Weta FX di Peter Jackson, il grande mammifero bruno, purtroppo meno protagonista di quello che ci si sarebbe aspettati, è semplicemente perfetto: nella resa, nella gestualità, nei dettagli. Alla fine si parteggia inevitabilmente per lui, soprattutto se si è a conoscenza della vera storia da cui il film ha tratto ispirazione.
Nel 1985 un contrabbandiere, ex agente della narcotici, nel tentativo di alleggerire l’aereo su cui sta volando assieme a un partner, si libera di diversi pacchi di cocaina mentre sorvola la Georgia. L’aereo precipita, l’uomo muore a causa di un paracadute difettoso e tre mesi dopo, nella foresta di Chattahoochee, viene rinvenuta la carcassa di un orso bruno deceduto a causa di una probabile overdose da cocaina. Lo sfortunato animale è tutt’oggi “in mostra” in un negozio di souvenir a Lexington, Kentucky, dove è possibile acquistare orecchini, t-shirt, peluche, mini-figure e perfino squisiti biscotti che lo raffigurano…