domenica, Settembre 24, 2023
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C’era una volta il crimine, recensione dell’ultimo capitolo della trilogia di Massimiliano Bruno

La recensione di C'era una volta il crimine, terzo e ultimo capitolo della saga diretta da Massimiliano Bruno. Al cinema dal 10 marzo.

C’era una volta il crimine è il titolo dell’ultimo capitolo della trilogia creata da Massimiliano Bruno (Nessuno mi può giudicare, Viva l’Italia) che riporta sul grande schermo Marco Giallini (Io sono Babbo Natale) e Gianmarco Tognazzi (Sono solo fantasmi), questa volta affiancati dalle new entry Giampaolo Morelli (Maledetta Primavera) e Carolina Crescentini (Per tutta la vita). Il film, che segue i precedenti Non ci resta che il crimine e Ritorno al crimine, è pronto a debuttare nelle sale dal 10 marzo.

In questo nuovo capitolo, l’improbabile banda di criminali capitanata da Giallini e Tognazzi viaggia indietro nel tempo fino al 1943 per rubare la Gioconda ai francesi. Ad aiutarli nella difficile impresa c’è la new entry Claudio Ranieri (Morelli), professore di storia pignolo ed iracondo pronto ad affrontare, insieme allo spaccone Moreno (Giallini) e al timoroso Giuseppe (Tognazzi), mille pericoli. Ma durante la loro fuga, braccati dai nazisti, i tre sono costretti a rifugiarsi a casa di Adele (Crescentini), la giovane nonna di Moreno, dove l’uomo incontra anche sua madre Monica da bambina. Ed è proprio quando la piccola finisce nelle mani dei nazisti che la banda è obbligata ad un cambio di programma: se vogliono tornare nel presente dovranno prima salvarla, attraversando in lungo e largo un’Italia devastata negli ultimi, caotici giorni della seconda guerra mondiale, attraversando pericoli e peripezie.

C’era una volta il crimine conserva, già nel titolo, il piacere citazionista verso il cinema di genere italiano che ha forgiato un intero immaginario presso il grande pubblico: strizzando l’occhio alla trilogia del dollaro di Sergio Leone (ma anche al suo cult C’era una volta in America), Bruno gioca con il concetto di tempo come aveva già fatto nei precedenti film della saga, rifacendosi alle basi teorizzate da Zemeckis in Ritorno al futuro e adattandole al nostro mercato audiovisivo, mescolandole quindi con il crime, il war movie, la tradizione della commedia all’italiana e un pizzico di drama. Se le premesse sono suggestive e accattivanti, mosse dalla volontà pionieristica di esplorare una drammaturgia finora pressoché inedita nella nostra industria, purtroppo lo stesso non si può dire del risultato di questo terzo film, indebolito da un elemento critico significativo: la disorganicità.

Un certo tipo di commedia può, deliberatamente, scegliere di prendersi poco sul serio: ed è questa l’identità che anima C’era una volta il crimine, con una costruzione iperbolica delle gag quanto delle situazioni che si avvicendano sullo schermo. Pirotecnico e sopra le righe, il “gioco” creato da Bruno e soci nasconde dietro la patina scanzonata e leggera un intento più profondo, che è quello di nobilitare i protagonisti collocandoli in una cornice più grande di loro, intersecando i fili delle loro storie personali con la Storia, quella che vede la seconda guerra mondiale come il conflitto più sanguinoso che ha marchiato a fuoco il corso del Secolo Breve. Ancora una volta è proprio la Storia ad essere oggetto di revisionismo creativo, ponendo al centro la possibilità di ribaltare la veridicità abbandonandosi a supposizioni e what if…? in grado di sovvertire la realtà, creando delle fratture in uno spazio tempo ideale rimaneggiato con cura dagli sceneggiatori.

Ma anche il revisionismo ha bisogno delle sue regole e di una cornice di genere – che lo ospita – ben consapevole delle norme con le quali sta giocando: lo insegna egregiamente Quentin Tarantino con Bastardi senza gloria e C’era una volta a Hollywood, creando attraverso entrambi due irresistibili mash up pulp. Questo aspetto manca, però, all’appello per C’era una volta il crimine: il mix di azione adrenalinica ed iperbolica, battute, buoni sentimenti e grandi azioni si infrange contro lo scoglio della disorganicità, mancando il treno del pasticcio pulp e omologandosi agli standard più rassicuranti della commedia all’italiana. Nell’ultima fatica di Bruno ogni dettaglio finisce per essere rassicurante e convenzionale, lontano dagli intenti più ambiziosi che avrebbero dovuto spingere questo film ben oltre i paletti fissati dai precedenti capitoli.

Ed è così che C’era una volta il crimine si discosta dal percorso tracciato in precedenza cercando, in tutti i modi, di alzare l’asticella delle aspettative tra scene d’azione pantagrueliche, revisionismo storico e battute incalzanti; il risultato, però, mostra il proprio lato fragile da colosso dai piedi d’argilla riuscito solo in parte, preda di contraddizioni, cliché e anacronismi che lo allontanano dalla matrice principale della trilogia fino a proiettarlo in un territorio completamente diverso, che risulta disorganico quanto caratterizzato da un ritmo altalenante.

Guarda il trailer ufficiale di C’era una volta il crimine

GIUDIZIO COMPLESSIVO

C’era una volta il crimine si discosta dal percorso tracciato in precedenza cercando di alzare l’asticella delle aspettative tra scene d’azione pantagrueliche, revisionismo storico e battute incalzanti; il risultato, però, mostra il proprio lato fragile da colosso dai piedi d’argilla riuscito solo in parte, preda di contraddizioni, cliché e anacronismi che lo allontanano dalla matrice principale della trilogia fino a proiettarlo in un territorio completamente diverso e disorganico.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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C’era una volta il crimine si discosta dal percorso tracciato in precedenza cercando di alzare l’asticella delle aspettative tra scene d’azione pantagrueliche, revisionismo storico e battute incalzanti; il risultato, però, mostra il proprio lato fragile da colosso dai piedi d’argilla riuscito solo in parte, preda di contraddizioni, cliché e anacronismi che lo allontanano dalla matrice principale della trilogia fino a proiettarlo in un territorio completamente diverso e disorganico.C'era una volta il crimine, recensione dell'ultimo capitolo della trilogia di Massimiliano Bruno