Mentre sale l’attesa per il debutto di Crisis in Six Scenes, prima serie creata, diretta e interpretata da Woody Allen per Amazon, arriva in Italia Café Society, 47esimo film del cineasta statunitense che ha aperto l’ultima edizione del Festival di Cannes.
Ambientato nel 1930, Café Society racconta la storia del giovane Bobby Dorfman che decide di lasciare New York e di partire per Los Angeles con la speranza di riuscire a sfondare nel mondo del cinema come agente cinematografico. Inizia a lavorare come fattorino nell’agenzia dello zio e si innamora della segretaria Vonnie. Quando Bobby le chiede di sposarlo e di ritornare con lui a New York, la ragazza rifiuta. Tornato a casa, Bobby diventa il gestore del Café Society, un sofisticato night club che diventa in breve tempo il punto di ritrovo delle personalità più in vista. Ma ben presto Vonnie farà nuovamente capolino nella sua vita.
Commedia romantica sull’amore e sull’imprevedibilità del destino, Cafè Society rappresenta la prima incursione di Allen nel mondo del digitale. E poco importa se il regista di Io e Annie e Manhattan (solo per citare due dei suoi più grandi capolavori) abbia deciso di dire definitivamente addio alla pellicola oppure no: grazie alla splendida fotografia di Vittorio Storaro, il film si trasforma in autentico sogno a occhi aperti, dove delicatezza e bagliore delle immagini si fondono alla perfezione con la classica e ormai consolidata poetica alleniana che vede ancora una volta l’uomo sovrastato dai propri desideri, dalle proprie insoddisfazioni e dall’ossessione nei confronti di una vita migliore.
Nonostante la poca originalità della storia e la mancanza di un’evidente brillantezza nei dialoghi, l’ironia è sempre pungente, lo sguardo implacabile e raffinato, e gli attori meravigliosi. Dopo la spiacevole parentesi di To Rome with Love, Jesse Eisenberg torna a lavorare con Allen incarnandone lo spirito più ansioso e insicuro, confermandosi uno straordinario leading man. E se il personaggio di Blake Lively (più sorridente e ammaliante che mai) appare sfortunatamente privo di un reale spessore, è con enorme – ma anche piacevole – sorpresa quello di Kristen Stewart a rapire e conquistare lo spettatore, con le sue pause, i suoi occhi, i suoi mezzi sorrisi.
Visivamente folgorante e irresistibilmente malinconico, Cafè Society conferma la volontà di voler restare ancorati alla tradizione. Una tradizione che rende il modo di vedere il cinema e di volerlo raccontare al pubblico invariato rispetto al passato. Ma non per questo privo di bellezza, incanto e fascino impareggiabili.