Emma Seligman è solo al suo secondo film e ha già affettato due istituzioni. La prima è quella della famiglia ebrea nell’esordio a bassissimo budget Shiva Baby. Lì la protagonista interpretata da Rachel Sennott sgusciava nei rovi parentali durante una veglia funebre immaginata con ironia ma attraverso toni e tic quasi dell’orrore.
Ora Seligman, che ritrova ancora Sennott tra gli interpreti e in sceneggiatura, con il nuovo lavoro Bottoms prende di petto il coagulo delle isterie giovanili per eccellenza: il liceo. O meglio sarebbe dire l’high school, perché siamo negli Stati Uniti e qui il liceo assume tutto un altro tipo di valenza rispetto a quella che possiamo dargli noi. Non solo è contenitore della nube elettrica dell’adolescenza e degli ormoni puberali – che comunque restano centrali, visto che le protagoniste PJ (Sennott) e Josie (Ayo Edebiri) hanno un obiettivo chiaro e dichiarato: scopare.
Ma è anche e forse soprattutto una messa in scala del come è configurata una società dove fin da subito il contesto scolastico esalta la ricerca del successo e della popolarità. Insomma, della competizione. Non è un caso che la linea direttrice di Bottoms si muova quindi sopra un arco di tempo che separa da un importante match di football tra la squadra locale, i Vikings, e quella di acerrimi rivali, gli Huntington. La prima cosa che Seligman poi fa è scegliere di eliminare subito dall’equazione un polo di ragionevolezza. Il film, in Italia distribuito direttamente su Prime Video, è una commedia strampalata che prosegue su quella linea di un assurdo che la regista aveva accarezzato in Shiva Baby e qui porta agli estremi, come ben evidente nel finale.
L’osservazione di una realtà al rovescio
Sceglie di far fuori la mediazione del buon senso. Nelle protagoniste, una coppia di amiche lesbiche che decide di condurre un corso di autodifesa per rimorchiare le cheerleader (Havana Rose Liu e Kaia Gerber); nei giocatori della squadra (Nicholas Galitzine e Miles Fowler), rivali di cuore e bellocci un po’ scemi sempre in tenuta da gioco; nella struttura scolastica, rigurgito di cultura patriarcale tra insegnanti in stato confusionale (Marshawn Lynch) e messaggi maschiocentrici che permeano bacheche, mense e corridoi. Mettendone ben in superficie e alla berlina le tragicomiche contraddizioni, Bottoms osserva una società al rovescio dove l’allucinazione e l’insensatezza sono una realtà concreta. Un dato di fatto.
Allora il film scritto da Seligman e Sennott capisce che è il caso di correre su quel campo dove il ragionamento lucido è un qualcosa in cui non si può sperare. Come si parla a chi decide di farsi sordo? Tanto vale sfidarlo sul suo terreno con un’ironia sempre brillante nelle battute e negli scambi. L’empowering, la presa di potere, di questo improbabile gruppo di liceali passa quindi dal farsi occhi neri e spaccarsi nasi a vicenda in un tentativo di autodisciplina dove a fare curriculum è l’urto fisico, il pugno, il calcio, la spinta. Che altro non sono la violenza intesa come manifestazione di quel sostrato culturale di cui si diceva prima, dove ancora vige imperante l’associazione tra coolness e brutalità. PJ e Josie, in preda alla loro tempesta ormonale, la fanno quindi propria quando si diffonde la diceria che hanno passato l’estate in riformatorio, dove avrebbero picchiato, seviziato e addirittura ammazzato.
Uno sguardo divertito al mondo delle nuove generazioni
Una sovversione di coordinate che rende Bottoms epicentro di uno sguardo estremamente divertito e sanguigno al mondo delle nuove generazioni, aperte al cambiamento identitario e sessuale ma ancora alle prese con i veleni di un retaggio radicato a fondo nelle direttrici della società. Ed è interessante notare come nella goffa scalata alla popolarità delle due protagoniste (una più esilarante dell’altra, con Edebiri che dopo The Bear si conferma vero e proprio astro nascente) la presa in carico delle “prerogative maschili” della lotta non è mai volta all’annichilimento nello scontro di genere. Non solo è appunto strumento per arginare l’irruenza dell’altro sesso, ma si rivela anzi mezzo con cui salvare il maschile letteralmente da se stesso e livellare il piano del confronto e dell’inclusione argomentativa – cosa, quest’ultima, che condivide ad esempio con Barbie.
È bene evidenziarlo perché è bene ricordare come la questione di genere – con le sue molte aberrazioni che spaziano dal gap salariale fino ai terribili esiti del femminicidio – non riguarda solo la lotta del genere falcidiato, quello femminile. Riguarda anche, e in alcuni casi soprattutto, la presa di coscienza attiva del maschile. Bottoms ha le idee chiare, così come ce l’ha la sua regista. Sul sempreverde territorio dell’high school movie, anticamera delle pulsioni di un intero stato, e sulla maniera e sul registro con i quali affrontare i temi cardine del presente.