C’è un nuovo supereroe in città e ostenta con orgoglio le proprie origini latinos. Ogni riferimento a Blue Beetle, nuovo film targato DC, (non) è assolutamente casuale, visto l’arrivo sul grande schermo dell’eroe (per caso) Jaime Reyes e della sua numerosa famiglia a partire dal prossimo 17 agosto. Comparso per la prima volta sulle pagine dei fumetti durante la Golden Age degli anni ‘40, deve però la sua incarnazione audiovisiva più recente alla versione datata 2006, quando appare per la prima volta alle prese con un manufatto alieno a forma di scarabeo, in grado di trasformarsi in un’arma dall’enorme (e pericoloso) potenziale. Ed è proprio a partire da queste premesse che gli spettatori ritroveranno il ventenne Reyes pronto ad affrontare i grandi problemi derivati dalle enormi responsabilità di essere un supereroe in fieri, intento a scoprire – e ad esplorare – le potenzialità ed i limiti dei suoi nuovi poteri.
Il neolaureato Jaime Reyes (nei cui panni si cala, perfettamente, Xolo Maridueña) torna a casa, a Palmera City, pieno di aspirazioni per il suo futuro ma scoprirà da subito che non è proprio come l’ha lasciata, bersaglio delle speculazioni edilizie delle potenti industrie Kord, guidate dalla spregiudicata Victoria (il Premio Oscar Susan Sarandon). Mentre cerca il suo scopo nel mondo, il destino fa sì che Jaime si ritrovi inaspettatamente in possesso di un’antica reliquia di biotecnologia aliena: lo Scarabeo. Il ragazzo viene improvvisamente scelto dallo Scarabeo come suo ospite simbiotico e dotato di un’incredibile armatura capace di poteri straordinari e imprevedibili: in tal modo, il suo destino cambierà per sempre e Jamie si trasformerà nel supereroe Blue Beetle, pronto a fronteggiare i cattivi, a difendere la sua gente e ad incarnare l’eroe – unico – di cui tutti hanno sempre avuto bisogno.
C’è una premessa necessaria da fare, prima di scavare nel profondo dell’anima conflittuale di Blue Beetle: molti degli spettatori attuali sono figli dell’era dei cinecomics, l’hanno vissuta, respirata, forse considerata come il coronamento di un sogno proibito che ha visto i fumetti animarsi sul grande schermo, prendere corpo fino ad incarnare fantasie, desideri e proiezioni di un immaginario collettivo ricco, stratificato e complesso. Le opere che hanno segnato la nona arte spesso hanno incontrato un boom editoriale sul finire degli anni ‘60, prima di trovare una seconda giovinezza nei primi anni 2000, cambiando spesso pelle e forma fino a coincidere con i primi esperimenti legati agli adattamenti audiovisivi.
Una parabola che ben ricalca l’esperienza di Blue Bleetle che, da parte sua, ha una marcia in più che lo differenzia da altri personaggi già incrociati in precedenza: è l’orgoglio latinos, il fatto di incarnare la prima icona simbolo delle comunità ispaniche, portatore sano di valori, simboli e tradizioni lontane dal mondo WASP (White Anglo-Saxon Protestant) che ha permeato la cultura dominante fino a poco tempo fa. Jaime incarna quel concetto di famiglia capace di unire un grande – e sfaccettato – gruppo etnico al di là dello spazio, del tempo e delle distanze fisiche; e questo aspetto non solo viene ribadito dalla stessa drammaturgia del film, ma ne permea la visione iniziale fino al risultato finale, donandogli il taglio giusto e il punto di vista alternativo per raccontare, altrimenti, una storia fin troppo abusata dallo storytelling supereroistico.
Sì perché Blue Beetle è, in fin dei conti, un decalogo post-moderno sulla genesi del supereroe, figlio di questi tempi incerti dominati dalla crisi creativa delle idee: dentro la storia di Jaime ci sono echi molto forti di Spider-Man, Venom, Moon Knight, Iron Man, Ant-Man, Deadpool e tanti altri che è possibile individuare andando avanti con la visione. C’è fin troppo poco di originale in Blue Beetle, e non solo sul piano dei contenuti: anche la regia di Angel Manuel Soto sembra schiacciata dagli echi di suggestioni lontane, di epoche in cui una precisa estetica commerciale determinava il successo di un prodotto.
Un decalogo post-moderno sulla genesi del supereroe
La fotografia del film, complice anche la colonna sonora (quella sì davvero incalzante, realizzata da Bobby Krlic), trasportano il pubblico direttamente negli anni ‘80 di Tron, dei neon accecanti e fluo e di una certa “spavalderia di plastica” che accresceva la sicurezza dei film al botteghino; d’altra parte, la costruzione della storia occhieggia ai format tipici dei ‘90s, con una semplicità strutturale che determina e condiziona l’iter della sceneggiatura, la sua prevedibilità e anche la banalità che domina l’intera vicenda.
Blue Beetle avrà anche un impatto socio-antropologico fondamentale, e forse riuscirà anche a salvare gli studi DC dallo spettro del fallimento – che aleggia su di loro fin dal tonfo, al botteghino, di The Flash – ma di sicuro non brilla per una drammaturgia solida, in grado di smarcarsi dai cliché del genere, liberandosi di convenzioni e banalità per trovare un proprio punto di vista definito (e definitivo) su una storia tradizionale ma che può essere raccontata davvero attraverso l’adozione di un altro punto di vista.
Così, la ricerca di una specificità, di una voce particolare che possa gettare uno sguardo nuovo su un tema così convenzionale, rafforzato anche dalla presenza di un argomento quanto mai abusato e usurato – pronto a sciorinarsi tramite luoghi comuni come “dove c’è famiglia c’è casa (e amore)”, “i soldi non fanno la felicità” e il più classico “da grandi poteri, derivano grandi responsabilità” – si rivela un tentativo effimero e complesso, destinato a subire le logiche degli studio system e delle cervellotiche macchinazioni a tavolino che investono tutti i blockbuster odierni.
E la mancanza di una solida struttura trascina, nel suo naufragio, anche altri elementi interessanti come lo stile di regia (fin troppo spesso ridondante, compiaciuto e auto-indulgente) e l’ottimo cast assemblato: un gruppo coeso di artisti (giusti) finalmente al posto giusto che subiscono, in modo irreversibile, la quasi totale bidimensionalità dei personaggi nei quali finiscono per “cadere” accidentalmente, cercando in tutti i modi di restituire spessore a figurine di carta dotate di backstories fragilissime ed effimere, funzionali allo scorrere prevedibile di uno script fin troppo convenzionale (e “vecchio stile”).
La sensazione, vedendo Blue Beetle – al netto dei pregi estetici e dell’impatto socio-antropologico – è di ritrovarsi di fronte ad un prodotto anacronistico, emerso direttamente dalla macchina del tempo di un passato in cui i cinecomics erano in fase embrionale, spazzando via di colpo – e solo con un semplice schiocco delle dita – anni recenti, passati a costruire un genere (il film di supereroi, appunto) e le sue modalità di narrazione e fruizione.