lunedì, Settembre 25, 2023
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Black Box, recensione dell’horror Blumhouse con Mamoudou Athie

Che universo intricato è la mente umana. La scienza non finisce mai di scoprirne nuovi “misteri”, mentre le arti sovente cercano di scandagliarne le potenzialità figurative e narrative. Il cinema, da questo punto di vista, ne è stato uno degli “indagatori” più assidui. Si potrebbe aprire un capitolo infinito sul rapporto fra psicanalisi e cinema, dalla filmografia di Alfred Hitchcock fino ai più recenti esempi: Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman ne è un’ultima manifestazione. Anche il genere horror ha attinto a piene mani dalle suggestioni (pseudo)scientifiche e filosofiche relative alla mente umana, naturalmente piegando tali temi a specifiche esigenze narrative. Un po’ quello che fa il film Black Box, appartenente alla serie antologica Welcome to the Blumhouse (esclusiva Amazon Prime), dal 6 ottobre disponibile in streaming.

Diretto da Emmanuel Osei-Kuffour Jr., anche sceneggiatore insieme a Stephen Herman, il film è prodotto dall’ormai celebre (per gli amanti dell’horror) società di produzione di Jason Blum, a cui si devono alcuni dei film di genere più riusciti degli ultimi anni (solo per fare un esempio: la saga di Insidious). Una qualità filmica che la Blumhouse sta cercando di esportare anche sul piccolo schermo in collaborazione con Amazon, attraverso lo sviluppo di contenuti ad hoc contraddistinti naturalmente dalla stessa filosofia produttiva: ottenere il massimo con pochi mezzi.

I primi due film facenti parte del progetto Welcome to the Blumhouse“, Black Box The Lie, testimoniano proprio questo atteggiamento: location ridotte all’osso, una trama esile e a incastri che prevede diversi colpi di scena prima di quello finale, nonché l’interesse verso tematiche relative ai rapporti familiari. Certo, la sensazione è che, trattandosi di una serie antologica, il progetto debba essere valutato soprattutto nella sua interezza e, di conseguenza, che ogni film rappresenti un tassello capace di acquisire senso solo nel momento in cui lo si considera parte di un tutto.

Se The Lie era incentrato sulla storia di una famiglia costretta a confrontarsi con un efferato omicidio, Black Box racconta invece una storia differente, le cui premesse sono molto interessanti. Nolan (Mamoudou Athie) si è appena ripreso da un gravissimo incidente in cui ha perso la vita la moglie Rachel (Najah Bradley). Successivamente al tragico evento la sua esistenza è cambiata radicalmente. L’essere stato in coma lo obbliga a dover recuperare – con notevole difficoltà – i ricordi relativi al suo passato, e al contempo gli rende ancora difficile rapportarsi con la quotidianità e le esigenze della figlia Ana (Amanda Christine). Quando scopre che nell’ospedale dove lavora l’amico ortopedico Gary (Tosin Morohunfola), una luminare (Phylicia Rashad, la Clair della celebre sitcom I Robinson) sta portando avanti una ricerca sul ripristino della memoria in soggetti che hanno subito forti traumi neurologici, Nolan decide di partecipare alla sperimentazione. Il tentativo di riconquistare i propri ricordi, però, lo condurrà a fare i conti con un passato oscuro e inquietante.

Come nel caso del precedente The Lie, anche il secondo film tv della serie Welcome to the Blumhouse guarda più al thriller che all’horror, anche se non mancano momenti vagamente terrificanti. Per certi versi, Black Box è una sorta di versione spaventosa di Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry (film oltretutto scritto dal già citato Kaufman), anche se in questo caso anziché dimenticare il protagonista deve compiere l’atto inverso: ricordare.

Tra ipnosi e viaggi nel subconscio resi possibili grazie alla realtà virtuale, il film di Osei-Kuffour Jr. vira rapidamente verso la fantascienza, recuperando suggestioni e cliché narrativi certamente non nuovi per il piccolo schermo (basti pensare all’episodio di X-Files dal titolo Ritorno dall’aldilà, o alla più recente serie Black Mirror) ma comunque sulla carta sempre efficaci. Ed effettivamente, Black Box inizialmente cattura l’attenzione dello spettatore proprio grazie al fatto di essere, all’apparenza, un sapiente pastiche di elementi eterogenei (un po’ thriller, un po’ horror, un po’ fantascienza), affidandosi a una struttura narrativa a “scatole cinesi”: ad ogni seduta, Nolan si trova a dover fare i conti con un ricordo diverso e terrificante, sul quale aleggia l’ombra di una figura non meglio precisata che sembra costantemente minacciarlo (si tratta forse di una proiezione della proprie paure? Oppure la presenza di questo fantasmatico antagonista nasconde un mistero ancora più angosciante?)

Le premesse però sono tradite nel momento in cui il film entra nel vivo. Eccessivamente lungo e ripetitivo, Black Box azzecca probabilmente il colpo di scena finale – davvero inaspettato – ma è manchevole di quell’atmosfera perturbante che dovrebbe solitamente caratterizzare un film appartenente al genere thriller/horror. Come nel caso di The Lie, la sensazione è che il film non voglia essere nulla di più di un gradevole grattacapo, un divertissement, incapace però di far breccia nello spettatore.

Guarda il trailer ufficiale di Black Box

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Eccessivamente lungo e ripetitivo, Black Box azzecca probabilmente il colpo di scena finale - davvero inaspettato - ma è manchevole di quell'atmosfera perturbante che dovrebbe solitamente caratterizzare un film appartenente al genere thriller/horror.
Diego Battistini
Diego Battistini
La passione per la settima arte inizia dopo la visione di Master & Commander di Peter Weir | Film del cuore: La sottile linea rossa | Il più grande regista: se la giocano Orson Welles e Stanley Kubrick | Attore preferito: Robert De Niro | La citazione più bella: "..." (The Artist, perché spesso le parole, specie al cinema, sono superflue)

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