Beetlejuice Beetlejuice. Raddoppiare tutto, a partire dal titolo. Se questo era il proposito di Tim Burton nell’approcciarsi a una delle opere cardine della sua carriera, una delle prime che l’hanno aiutato a imporsi come un visionario dall’immaginario ibrido, antico e modernissimo, gotico e familiare, allora si può dire che Beetlejuice 2 sia un successo. Se invece si considera lo strumento del remake o, come in questo caso (ma senza che la distinzione sia così palese), del sequel come un modo per ridare vita alle storie facendole interagire con la sensibilità odierna, ecco allora che il film è inevitabilmente una delusione.
Perché lo “spiritello porcello” come lo chiama l’orribile sottotitolo italiano poteva svolgere un compito veramente dissacrante in un’epoca di spettatori molto attenti alle aspettative di ogni tipo, anche quelle morali. Certo, bisogna ammettere che a livello produttivo Tim Burton non si è certo tirato indietro. Per quanto cartoonesco sia il suo contenuto, non è certamente per bambini. Si spinge tantissimo sul grottesco, ed è una goduria. Sono sempre piene di personalità le creature nate dalla sua fantasia, tanto che si vorrebbe vedere almeno un cortometraggio per ciascuna. Allo stato dell’arte sono anche i costumi e le scenografie. Ma tutto questo non basta.
Perché Beetlejuice 2 – film d’apertura dell’81esima Mostra del Cinema di Venezia e al cinema dal 5 settembre con Warner Bros. – ha la stessa carica sovversiva del primo, la stessa visione, la stessa atmosfera decadente. Però il mondo in cui arriva questo film è cambiato. La scelta di rifare tutte le idee vincenti paro paro al primo, di autocitarsi e di restare nella zona di comfort è quella di chi non vuole sbagliare, ma neanche vincere di misura!
Effetto vintage e nuove generazioni
L’effetto vintage, c’è. La nostalgia anche. Gli appassionati del film del 1988 si sentiranno a casa. I nuovi spettatori potranno essere accolti a bordo e trovarsi bene. Magari qualche genitore incauto avrà anche modo di scandalizzarsi. Sarà tutta apparenza, gioco pubblicitario, o merito di un’operazione sicuramente ben pensata, ma poco graffiante. Non gli si chiedeva questo, forse, ma vedere la cattiveria di Beetlejuice incanalata sempre all’interno del mondo del film, senza guardare mai all’esterno, a chi siamo noi, a come siamo diventati, appare inevitabilmente come uno spreco.
Non aiuta il nuovo ingresso nel cast: Jenna Ortega interpreta Astrid Deetz, figlia di Lydia (Winona Ryder). Incapace di scollarsi di dosso il ruolo di Mercoledì, l’attrice è costretta a interpretare Astrid come una generica ragazza dark, depressa e cinica. Proprio quello che era Lydia nel film precedente. Insomma, corsi e ricorsi storici che oggi sembrano inevitabilmente invecchiati. Non funziona più una maschera così rigida. I temi come la vicinanza dei vivi ai vivi, invece di perdersi nel mondo dei morti, l’assenza di un caro famigliare e il bisogno di vederlo, sono buttati nei dialoghi senza voglia di approfondirli. Restano così a voce, senza convertirsi mai in emozione.
Quante sottotrame Beetlejuice!
Come un verme delle sabbie, Beetlejuice 2 continua a inserire sottotrame affiancate ad altre sottotrame. Ci si ritrova ad attendere l’arrivo di Willem Dafoe nei panni dell’attore/ispettore Wolf Jackson. Si diverte così tanto che il suo entusiasmo è contagioso. C’è anche Monica Bellucci, letteralmente dissezionata dal regista, si ricompone in una figura da villain che resta dietro le quinte senza esprimere mai il suo pieno potenziale.
Se non fosse per la voglia di complicarla, la trama sarebbe ridotta all’osso: una famiglia affronta un lutto, c’è un matrimonio in vista e Beetlejuice si mette di mezzo a complicare le cose. Nonostante queste esili premesse, il film trova lo stesso il modo di diluirsi, di perdere la tensione e la compattezza. A tirare le fila ci prova un terzo atto riuscito visivamente (e ci mancherebbe altro da un film di Tim Burton), ma troppo frettoloso. Non manca nemmeno l’ennesimo balletto che farà furore sui social network a cui è delegata la funzione narrativa di risolvere l’intreccio. Troppo lunga e troppo repentina la scena perché non si percepisca una grande furbizia, senza però la passione delle origini.
Questo sequel che sa di remake conferma tutto quello che non c’era bisogno confermare. Tim Burton sa dirigere. È ancora più bravo a creare mondi. Le sue creature sono il cuore del film stesso. Beetlejuice 2 poteva provare a rilanciare la carriera del suo regista. Dimostrando non solo quanto il suo passato sia stato glorioso, ma quanto sia ancora in grado di costruire una visione nuova. Se questo film fosse stato fatto da un altro regista, si sarebbe usciti dalla sala molto più sereni. Nelle mani di Burton risulta un’opera tutto sommato ben fatta, ma che racconta un regista al tramonto. Troppo radicato al suo passato e incapace di contare ancora.