Ci sono film alla cui visione bisognerebbe approcciarsi senza conoscere nulla a proposito della trama. Questo perché, in un mare magnum di remake, reboot e revival, di opere che ormai ci sembrano realizzate tutte con lo stampino, è facile dimenticarsi che il cinema ha ancora la capacità di raccontare storie interessanti in grado di regalare un’emozione concreta allo spettatore, che non si esaurisce nell’attimo stesso in cui si riaccendono le luci della sala e si ritorna alla propria vita, ma che prima diventa un sentimento spesso incapace di abbandonarci (a volte per ore, a volte anche per giorni) e dopo, una volta interiorizzato, si trasforma in una preziosa occasione di riflessione.
Al di là di quanto possano essere positivi, negativi o contrastanti le emozioni e i sentimenti che scaturiscono a seguito della visione di un film, non bisognerebbe mai dimenticare che è proprio nell’esperienza più ostica o all’apparenza più incomprensibile – almeno nell’ottica di chi scrive – che spesso si nasconde proprio quello che in fin dei conti dovremmo pretendere sempre da chi ha scelto di raccontarci una storia: la capacità di renderci degli spettatori attivi e non dei meri fruitori passivi, che vogliono lasciarsi coinvolgere e sconvolgere, che vogliono credere di avere la soluzione a portata di mano quando sperano ardentemente di essere smentiti e di rimanere destabilizzati; che vogliono farsi domande pur consapevoli che forse non riusciranno mai ad avere tutte le risposte che cercano.
A questa tipologia di operazioni appartiene senza ombra di dubbio Barbarian, horror scritto e diretto da Zach Cregger, artista statunitense “a tutto tondo” (è anche attore, comico, produttore e streamer), che per la prima volta debutta da solo alla regia di un lungometraggio. Il film, presentato in anteprima mondiale al Comic-Con di San Diego dello scorso luglio, è stato una sleeper hit negli Stati Uniti, nonostante alla fine sia stato molto apprezzato tanto dalla critica quanto dal pubblico (a fronte di un budget di soli 4.5 milioni di dollari, ne ha incassati ben 42 milioni). In Italia Barbarian, che annovera nel cast Georgina Campbell, Bill Skarsgård e Justin Long, è arrivato direttamente in streaming, disponibile dallo scorso 26 ottobre su Disney+, rischiando di andare incontro allo stesso destino avuto in patria: essere dapprima ignorato e poi, a distanza di tempo, esplodere e diventare conosciuto al pubblico.
In effetti, complice la distribuzione esclusiva sulla celebre piattaforma (ma anche, e soprattutto, la scarna – per non dire inesistente – promozione), l’horror di Cregger corre il rischio di passare del tutto inosservato anche nel nostro paese, e di venire magari riscoperto nei mesi o negli anni grazie al cosiddetto “passaparola”. E sarebbe davvero un peccato, perché un film come Barbarian, che fa dell’assoluta imprevedibilità il suo maggiore punto di forza, meriterebbe quanta più attenzione possibile.
Una storia dalla forma e dal contenuto mutevoli
Come dicevamo all’inizio, bisognerebbe approcciarsi alla visione di Barbarian con il minor numero di informazioni possibili sull’argomento: la struttura del film è in un certo qual modo spiazzante, così come lo sono i numerosi colpi di scena che portano avanti la narrazione, sostenuta da un grandissimo ritmo e da una tensione ininterrotta, che non cede mai il passo a momenti di instabilità. Zach Cregger si diverte a costruire una sorta di film nel film (nel film), un’affascinante e intricata storia nella storia (nella storia), giocando costantemente con le aspettative dello spettatore, che si ritroverà improvvisamente disorientato a causa della mancanza di coordinate spazio-temporali, dovendosi impegnare a fondo per rimettere insieme tutti gli intricati pezzi, come nel più impossibile dei puzzle.
Cercare di impelagarsi nella descrizione della trama del film sarebbe uno sforzo pressoché inutile, che toglierebbe allo spettatore qualsiasi voglia di scoprire da solo tutte le sorprese che una storia come quella di Barbarian riserva; una storia dalla forma e dal contenuto mutevoli, pronta come un serpente a compiere una muta completa proprio quando chi osserva crede di essere giunto ad una sorta di velleitaria risoluzione. Dal cambio di genere a quello di aspect ratio, l’opera di Cregger si compone di tantissime anime, tutte pronte a traghettare lo spettatore in un turbinio narrativo assolutamente folle e apparentemente scollegato, ma che alla fine, in modo del tutto inaspettato, si rivelerà profondamente radicato nelle crepe e nello squallore del mondo in cui viviamo, oscillando tra numerosissime tematiche, anche parecchio complesse (la natura delle relazioni tossiche, la violenza sulle donne, la maternità, il tabù dell’incesto, le disuguaglianze sociali, ecc.), che lo portano ad elevarsi da uno status di iniziale ed apparente prevedibilità ad uno di bizzarra, inattesa ma anche stimolante originalità.
Certo, non possiamo sostenere con assoluta fermezza che la macchinosità narrativa attraverso cui Barbarian prova a riflettere su tutta una serie infinita di orrori del quotidiano, si poggi su fondamenta effettivamente solide (non sempre il repentino cambio di focus giova all’integrità assoluta delle riflessioni audaci che il film cerca di suscitare), ma è innegabile che Cregger abbia piena consapevolezza di come si costruisca un gioco subdolo dai contorni machiavellici, dove nulla è in realtà come appare. Una manifesta libertà creativa che si impone di sovvertire ogni aspettativa, si sposa con una raffinatezza di sguardo capace di soppesare con astuzia lo spettacolo più cruento e angosciante, dando vita ad un quadro scomposto in cui la critica alla sconfinata barbarie umana è implicita ma sfuggente, di certo intricata ma capace di generare inquietudini profonde e contrastanti.