martedì, Gennaio 14, 2025
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Assassinio a Venezia, recensione del film di e con Kenneth Branagh

La recensione di Assassinio a Venezia, il nuovo film di e con Kenneth Branagh basato sui romanzi di Agatha Christie. Dal 14 settembre al cinema.

Gli universi cinematografici sono una realtà. E non solo quelli di Marvel o DC. Anzi, è stato proprio sulla scia della fortuna di questi ultimi che sempre più studi cinematografici hanno deciso di adattare la medesima formula narrativa a storie, personaggi e ambientazioni che – almeno sulla carta – sembravano non avere quelle caratteristiche necessarie per adattarsi ad una narrativa distinta ma allo stesso tempo interconnessa.

A questo gruppo appartengono sicuramente i tre film realizzati da Kenneth Branagh e basati sulle opere di Agatha Christie. Nel 2017, in molti pensavano che Assassinio sull’Orient Express sarebbe stato un caso isolato, ma già il finale di quel film aveva anticipato un sequel, Assassinio sul Nilo, uscito quattro anni dopo e accolto molto meno bene del predecessore (senza considerare tutta la cattiva pubblicità dovuta alla presenza nel cast di Armie Hammer, all’epoca coinvolto in uno scandalo di proporzioni enormi).

Contro ogni previsione, l’uscita di Assassinio a Venezia – dal 14 settembre nelle sale italiane – segna il terzo tassello in quello che, ad oggi, potrebbe essere idealmente definito – mancando ancora una nomenclatura ufficiale – una sorta di “Agatha Christie Cinematic Universe” o “Agatha Christie Verse”, che dir si voglia. Non sappiamo ancora cosa accadrà in futuro, se rivedremo o meno l’Hercule Poirot dell’acclamato regista e attore britannico sul grande schermo; ma la direzione intrapresa sembra essere propria quella di continuare a battere il proverbiale ferro fino a quando sarà caldo.

Ora, senza stare a impelagarci in discussioni inutili su quanto gli universi cinematografici possano aver effettivamente perso di interesse o stancato il pubblico, è un fatto che quella concepita dalla mente di Branagh sia ancora una “trilogia”. Dal momento, quindi, che non ci è dato sapere se le storie senza tempo della scrittrice di gialli più famosa al mondo continueranno a vivere attraverso le immagini proiettate sullo schermo d’argento, è forse più congeniale alla situazione emettere un giudizio sulla base di quanto realizzato fino ad oggi, senza stare troppo a pensare a cosa accadrà dopo e, soprattutto, senza chiederci se avevamo davvero bisogno di un altro film sul Poirot di Branagh.

A differenza degli adattamenti precedenti, questo Assassinio a Venezia è solo vagamente ispirato al romanzo di Christie da cui è tratto (“Poirot e la strage degli innocenti“, pubblicato nel 1969), a dimostrazione di quanto Branagh sia ormai intenzionato ad espandere i confini dei romanzi dell’autrice britannica e traslarli verso nuovi generi. Non è un caso, infatti, che in questo terzo film le tradizionali componenti del giallo/poliziesco che hanno fatto la fortuna delle immortali opere di Christie vengano contaminate da un gusto estremamente raffinato per il terrore, impreziosendo l’operazione finale di marcate venature squisitamente horror.

Aggiungi un posto al tavolo… della seduta spiritica!

A conti fatti, quindi, Assassinio a Venezia può essere definito un film horror? Ovviamente, no! Siamo più dalle parti del thriller soprannaturale, considerata anche la trama: dopo gli eventi del precedente capitolo, Poirot si è nascosto nella Serenissima e lì ha deciso di vivere isolato; trascorre le sue giornate passeggiando per la città e gustando pasticcini, sempre protetto dalla sua guardia del corpo Vitale Portfoglio (interpretato dal “nostro” Riccardo Scamarcio), che puntualmente schiva chiunque si avvicini al brillante detective in cerca di un suo indispensabile consiglio.

Nonostante si rifiuti di ricevere visite, Poirot viene meno a questa precisa volontà quando si fa di nuovo spazio nella sua vita una vecchia amica, la scrittrice di romanzi gialli di fama mondiale Ariadne Oliver (Tina Fey). La donna gli chiede di andare con lei ad una festa di Halloween per bambini: lo scopo della scrittrice, però, è quello di prendere parte ad una seduta spiritica che avrà luogo proprio al termine dei festeggiamenti, al fine di dimostrare che queste pratiche non hanno alcun fondamento. Il tutto ha luogo nella spettrale abitazione della famosa cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly), ancora sconvolta dalla tragica morte della figlia Alicia, apparentemente suicidatasi sulla scia di un delirio psicotico.

La donna ha invitato la medium Joyce Reynolds (Michelle Yeoh) per vedere se quest’ultima sia in grado di contattare lo spirito della figlia e riuscire finalmente a fare luce sulla sua tragica, ma allo stesso tempo misteriosa, scomparsa. Alla seduta partecipano anche il Dottor Leslie Ferrier (Jamie Dornan), affetto da un disturbo da stress post-traumatico; suo figlio Leopold (Jude Hill, che Branagh ritrova dopo il bellissimo Belfast), decisamente precoce per la sua giovane età; l’ex fidanzato di Alicia, Maxime Gerard (Kyle Allen), accusato di aver abbandonato la ragazza e averla condotta alla pazzia; i due assistenti di Mrs. Reynolds, i fratelli Nicholas e Desdemona (Ali Khan e Emma Laird); infine, la governante Olga Seminoff (Camille Cottin), l’unica a credere che Alicia, in realtà, non sia morta suicida…

Non è la prima volta che Kenneth Branagh decide di confrontarsi con le insidiose contaminazioni dell’horror (ricordate il suo famigerato adattamento del “Frankenstein” di Mary Shelley, datato 1994?). Eppure, il poliedrico talento britannico ci tiene a ricordare ai potenziali spettatori di Assassinio a Venezia di essere comunque fuori dalla sua zona di comfort, adottando differenti stili di regia al fine di ricreare le giuste atmosfere, ma finendo con l’abusare di obiettivi grandangolari e composizioni asimmetriche che sortiscono un curioso effetto stridente rispetto all’inquietante contesto in cui vengono calati i personaggi.

Probabilmente, nel tentativo di realizzare un thriller soprannaturale che non sembrasse necessariamente un horror, Branagh ha perso un tantino di vista l’intima connessione tra le parti, adagiandosi su un DNA dalla struttura piuttosto incerta, che non appartiene pienamente né a un genere né ad un altro, ma che è soltanto una via di mezzo tra i due (non è un caso che il film prenda spunto anche da altre “riflessioni” di Agatha Christie sul soprannaturale). Si potrebbe dire che Assassinio a Venezia sia una storia di fantasmi (e di omicidi) piuttosto convenzionale, ma anche una sorta di kammerspiel inquietante e pittorico che si prende alcune libertà creative rispetto al materiale di partenza (l’ambientazione – dall’affascinante campagna inglese alla Venezia infestata -, la riduzione del numero di personaggi, ma anche la creazione di sottotrame aggiuntive).

Nonostante un cast di altissimo livello (ormai marchio di fabbrica dei film di Branagh incentrati sui romanzi della “Regina del Mistero”), nessuno degli attori sembra essere davvero al meglio delle sue capacità, penalizzati forse da una sceneggiatura infarcita di dialoghi che risultano spesso innaturali: ad uscirne meglio sono indubbiamente Kelly Reilly e Camille Cottin (supportate anche da una buona dose di fascino naturale); chi invece ne esce malridotto sono indubbiamente Tina Fey (anche a causa dell’assenza di una vera alchimia con il personaggio di Poirot), Jamie Dornan e – soprattutto – il premio Oscar Michelle Yeoh (oltretutto, è quella ad avere il minutaggio più breve a disposizione).

Sotto la lente di un’inedita fragilità

Detto questo, il film non è privo di pregi, al contrario: che lo si ami o tutto il contrario, Kenneth Branagh sa come intrattenere il pubblico, offrendo una storia abbastanza dettagliata ma non eccessivamente contorta (la risoluzione finale è tutto sommato convincente, per quanto depauperata della giusta tensione). Inoltre, un aspetto molto interessante è la capacita della sceneggiatura di Michael Green (candidato all’Oscar per Logan – The Wolverine e già dietro gli script dei precedenti film) di riuscire a mettere ancora una volta in risalto l’umanità di questi personaggi, nonostante le situazioni pericolose o criminali nelle quali sono invischiati, concedendo alla spettatore la possibilità di accedere – tramite il loro vissuto, ma anche le loro azioni – a percezioni e sensazioni che sembrano universali, quasi familiari.

Altro aspetto a cui sentiamo di dover dare risalto è sicuramente la caratterizzazione di Hercules Poirot e il modo in cui il mistero al centro della storia sia in grado di mettere a dura prova l’inattaccabile detective, facendo vacillare le sue certezze. In effetti, Assassinio a Venezia ci restituisce il ritratto di un uomo che per la prima volta – almeno da quando lo conosciamo grazie a questa iterazione – viene a patti con l’ammissibilità del dubbio e la sua indeprecabile contemplazione, tormentata condizione in grado di attanagliare l’essere umano nel profondo, specie colui che è abituato ad analizzare la vita attraverso i labirinti della ragione, senza mai metterne in discussione le logiche. Il nostro baffuto Poirot non sa se credere o meno nel soprannaturale ed è proprio da questo ancestrale dilemma (e non dall’impiego di jumpscare o altri espedienti inflazionati) che scaturisce la paura, sentimento che per tutto il film angustia tanto lo spettatore quanto l’arguto investigatore, spogliato finalmente della sua infrangibilità e mostrato invece sotto la lente di un’inedita fragilità.

Al netto di una confezione fatta di pregi e difetti che riesce comunque ad offrire del buon intrattenimento, ci sentiamo di mettere in luce quella che, a nostro avviso, è la riflessione più interessante – forse l’unica! – che la visione di questa terza incursione di Branagh nell’universo letterario di Christie potrebbe generare: per tutta la vita abbiamo pensato di credere fermamente in qualcosa, ma prima o poi arriverà sempre qualcuno ad intaccare quella convinzione, rendendo improvvisamente più labile il confine tra ciò che è reale e ciò che, invece, esiste solo nella nostra mente. Probabilmente, ascoltare la propria coscienza è l’unica via per affrontare il percorso, nella speranza di ritrovare la strada che conduca alla razionalità.

Guarda il trailer ufficiale di Assassinio a Venezia

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Al netto di una confezione fatta di pregi e difetti che riesce comunque ad offrire del buon intrattenimento, ci sentiamo di mettere in luce quella che, a nostro avviso, è la riflessione più interessante - forse l'unica! - che la visione di questa terza incursione di Branagh nell'universo letterario di Christie potrebbe generare: per tutta la vita abbiamo pensato di credere fermamente in qualcosa, ma prima o poi arriverà sempre qualcuno ad intaccare quella convinzione, rendendo improvvisamente più labile il confine tra ciò che è reale e ciò che, invece, esiste solo nella nostra mente. Probabilmente, ascoltare la propria coscienza è l'unica via per affrontare il percorso, nella speranza di ritrovare la strada che conduca alla razionalità.
Stefano Terracina
Stefano Terracina
Cresciuto a pane, latte e Il Mago di Oz | Film del cuore: Titanic | Il più grande regista: Stanley Kubrick | Attore preferito: Michael Fassbender | La citazione più bella: "Io ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia possibile." (A Beautiful Mind)

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Al netto di una confezione fatta di pregi e difetti che riesce comunque ad offrire del buon intrattenimento, ci sentiamo di mettere in luce quella che, a nostro avviso, è la riflessione più interessante - forse l'unica! - che la visione di questa terza incursione di Branagh nell'universo letterario di Christie potrebbe generare: per tutta la vita abbiamo pensato di credere fermamente in qualcosa, ma prima o poi arriverà sempre qualcuno ad intaccare quella convinzione, rendendo improvvisamente più labile il confine tra ciò che è reale e ciò che, invece, esiste solo nella nostra mente. Probabilmente, ascoltare la propria coscienza è l'unica via per affrontare il percorso, nella speranza di ritrovare la strada che conduca alla razionalità.Assassinio a Venezia, recensione del film di e con Kenneth Branagh