Archiviata ufficialmente la problematica Fase 4 con l’uscita, lo scorso novembre, di Black Panther: Wakanda Forever, i Marvel Studios sono finalmente pronti a dare il via ad una nuova fase – la numero 5, quella “di mezzo” – della “Saga del Multiverso”, inaugurando questo nuovo ciclo di storie interconnesse con la terza avventura del loro eroe per caso, il piccoletto da tenere d’occhio: Ant-Man and the Wasp: Quantumania, che arriva nelle sale italiane il 15 febbraio e in quelle americane due giorni dopo, il 17.
Dopo gli eventi di Avengers: Endgame, Scott Lang è diventato una specie di celebrità: ha infatti scritto un libro autobiografico (che racconta, tuttavia, una versione diversa di come abbia contribuito a salvare l’universo dal temibile Thanos) e per questo viene riconosciuto per strada, organizza firmacopie del suo romanzo e partecipa a red carpet scintillanti. Il problema è che Scott, oltre a salvare il mondo e a godersi la fama, vorrebbe anche cercare di far funzionare le cose all’interno della sua famiglia, in particolare con sua figlia Cassie, diciottenne irrequieta e incline al pericolo, che quando non è impegnata a cacciarsi nei guai o a farsi tirare fuori di prigione da suo padre, si esercita a mettere in pratica la sua forte passione per la scienza. Ma quando Cassie trova dei vecchi appunti di suo sonno Hank Pym e sviluppa una tecnologia in grado di interferire con il Regno Quantico, lei e tutta la sua famiglia rimangono intrappolati nella misteriosa dimensione: sarà l’inizio di un vero e proprio viaggio di esplorazione che li porterà al cospetto di un nemico enigmatico e all’apparenza infallibile, noto come Kang il Conquistatore.
Dinamiche familiari e legami padre/figlia
Peyton Reed, già regista di Ant-Man (2015) e Ant-Man and the Wasp (2018), torna dietro la macchina da presa e riesce ancora una volta a far cambiare pelle al franchise dedicato all’uomo formica: se il primo film in solitaria del 2015 era a tutti gli effetti un heist movie e il sequel del 2018 una action comedy in piena regola, questo Ant-Man and the Wasp: Quantumania è sicuramente un’avventura fantasy. Questa volta il personaggio di Scott Lang viene messo costantemente a dura prova, non solo come supereroe, ma anche – e soprattutto – come genitore, pronto a mettere in discussione le sorti dell’intero universo pur di proteggere le persone che ama (in particolare sua figlia).
All’interno di Quantumania, le dinamiche familiari e i legami tra padre e figlia acquisiscono un’importanza fondamentale, come d’altronde era già accaduto in moltissimi altri film del Marvel Cinematic Universe: anche se marginale in alcuni casi, il concetto di famiglia (di sangue o allargata che sia) è sempre apparso quintessenziale rispetto alla definizione stessa di supereroe, personaggio straordinario dotato di poteri eccezionali, ma al tempo stesso uomo ordinario affetto da tormenti e fragilità, impegnato a confrontarsi sempre con le grandi ombre del passato, con chi è venuto prima e con chi verrà dopo di lui. Tuttavia, il rapporto tra Scott e Cassie, pur risultando abbastanza funzionale, non fa altro che perdere la sua centralità a mano a mano che la storia si dipana, e questo perché la sceneggiatura di Jeff Loveness (che firmerà anche lo script di Avengers: The Kang Dynasty) fa sì che all’interno della struttura narrativa si intersechino un numero francamente eccessivo di storyline.
Jonathan Majors, tra umanità e vulnerabilità
D’altronde, come suggerisce anche il titolo, Ant-Man and the Wasp: Quantumania non è propriamente un film su Ant-Man: non sembra esserci a disposizione il tempo necessario per approfondire concretamente né il legame tra Scott e Cassie (anche in termini di “eredità”) né tantomeno la dualità tra padre e supereroe. In appena 124 minuti, il film prova ad esplorare nuove dinamiche e a consolidarne di vecchie, riporta indietro personaggi che si credevano morti e ne introduce di nuovi (varianti incluse!); ha l’ambizione di raccontare troppe cose, di essere troppe cose, risultando alla fine confuso e affollato, sbrigativo e irresoluto, un coacervo impazzito di situazioni, luoghi, punti di vista, scopi e motivazioni.
Se da un lato l’esplorazione del Regno Quantico è solamente una cornice (neanche troppo originale e suggestiva, ma piuttosto derivativa e anonima) per far risaltare una storia di cui si cerca di nascondere in ogni modo possibile le infinite debolezze, dall’altro l’introduzione del personaggio di Kang il Conquistatore non sortisce alcun effetto pratico nei confronti di quello che ci aspetterà in futuro: presentato a più riprese dai Marvel Studios come la nuova grande minaccia del Marvel Cinematic Universe (al pari di Thanos), Kang è un personaggio affascinante e spaventoso, un villain misterioso e carismatico proprio come il Namor di Wakanda Forever, un nemico “multiversale” la cui insostenibile complessità sembra sgretolarsi con il progredire quasi ingiustificato dell’azione, salvo poi rinsaldarsi verso il finale, grazie alle due scene post-credits (di cui, per ovvie ragioni di spoiler, non riveleremo il contenuto).
C’è da dire, però, che nonostante la sceneggiatura non riesca a conferirgli il giusto credito e la giusta autorevolezza, è sicuramente l’interpretazione di Jonathan Majors a far sì che Kang non finisca relegato nell’ombra, alla stregua di un antagonista dimenticabile: attraverso il suo sguardo e la sua fisicità, l’attore americano – che era già apparso nella serie Loki nei panni di Colui che rimane, variante di Kang – restituisce all’ingombrante personaggio quell’umanità e quella vulnerabilità che sono tipiche di qualsiasi uomo in lotta contro se stesso, nonostante una sete di vendetta a dir poco accecante che il “viaggiatore del tempo” mostra spudoratamente, senza la minima reticenza.
Un progetto che si è spinto troppo oltre?
Sono veramente tanti, forse addirittura troppi, i difetti che rendono Ant-Man and the Wasp: Quantumania un film assolutamente non all’altezza delle aspettative (se di questo si può ancora parlare in riferimento al Marvel Cinematic Universe, specie dopo i risultati altalenanti della Fase 4). Il film di Peyton Reed fatica a prefigurarsi un obiettivo ultimo da raggiungere nella volontà pretenziosa di assolvere le funzioni e i ruoli più disparati: terzo capitolo di una trilogia dedicata all’eroe eponimo, film apripista di un nuovo blocco narrativo (la Fase 5); un po’ racconto di maturazione, di consapevolezza, un po’ storia di origini; un po’ avventura fantastica, un po’ commedia fantascientifica.
Un’operazione che tenta maldestramente di essere tutte queste cose appena citate, finendo per assomigliare soltanto ad uno strambo guazzabuglio in cui si abbozzano linee narrative e si sacrificano personaggi. Indefinibile per certi aspetti e incollocabile per altri, Quantumania è l’esempio lampante di “progetto tassello” vincolato dalle logiche sempre più fallacie di un francese narrativamente mastodontico che, ormai, sembra essersi spinto troppo oltre.