Ancora più bello è pronto ad approdare nelle sale dal prossimo 16 settembre, ricreando la magia suggestiva del microcosmo creato dalla regista Alice Filippi con il primo film di questa nuova, attesa, trilogia in salsa teen dramedy. Questa volta dietro la macchina da presa troviamo Claudio Norza, mentre si riconfermano nei panni dei protagonisti Ludovica Francesconi, Jozef Gjura, Gaja Masciale, rispettivamente nei panni di Marta e dei suoi inseparabili amici. Come new entry, al posto di Giuseppe Maggio – visto recentemente in School of Mafia – troviamo Giancarlo Commare (SKAM Italia, Maschile singolare).
Un anno dopo gli eventi accaduti in Sul più bello, purtroppo la storia tra Marta (Francesconi) e Arturo è finita. Ma quando Gabriele (Commare), un giovane disegnatore tanto dolce e premuroso quanto buffo e insicuro, irrompe all’improvviso nella sua vita, Marta riconosce che potrebbe essere lui l’anima gemella che non riusciva a trovare in Arturo. Prima di farsi coinvolgere del tutto in una nuova storia, è sempre meglio aver chiuso definitivamente con quella precedente: così la ragazza approfitta di un temporaneo trasferimento di Gabriele a Parigi per schiarirsi le idee anche grazie all’aiuto dei suoi amici di sempre Federica (Masciale) e Jacopo (Gjura). La vita, però, è davvero imprevedibile: Marta riceve all’improvviso una telefonata dall’ospedale che cambia le priorità di tutti, perché c’è finalmente un donatore compatibile per i polmoni della ragazza.
Ancora più bello è un buon sequel ma un film incompleto: riprendendo la formula narrativa – ed estetica – già consolidata nel primo capitolo si dà nuova linfa vitale al microcosmo della protagonista, ma si ha comunque la sensazione di un déjà vu drammaturgico popolato da eventi, fatti, situazioni e personaggi già visti e funzionali solo all’avvento dell’ultimo film di questa nuova trilogia. Il pregio di Sul più bello era quello di riuscire a mediare, con grazia e leggerezza, il tema più drammatico della malattia con i luminosi tempi “strapazzati” della rom com naif e surreale; e questa stessa formula vincente viene applicata di nuovo in Ancora più bello, nonostante il cambio di regia dalla Filippi a Norza, che lascia intatto l’effetto finale. La dramedy che gira quest’ultimo è un valzer turbinoso di emozioni e situazioni, pronte ad oscillare continuamente da momenti più leggeri e spensierati ad altri più intensi e complessi.
Il punto di forza di Ancora più bello è la sua assoluta fedeltà alla vita reale (nelle premesse), pur rileggendola attraverso una lente riflettente – e deformante – che finisce per coincidere con il punto di vista di Marta, novella Amelie immersa in un favoloso mondo colorato e pirotecnico. La protagonista, con la sua natura fuori dagli schemi, finisce per essere un simbolo che elogia il bello della normalità, una bellezza fuori dai canoni convenzionali e personale; una atipica, e proprio per questo indimenticabile, eroina che attraversa la propria vita e quella di chi le sta accanto. I personaggi di contorno – i suoi amici, il fidanzato, gli altri flirt, i medici – sono passeggeri in transito nel suo mondo, e finiscono per rimanere contagiati dal suo entusiasmo dilagante, da quell’ottimismo incrollabile che permea la sua realtà ma che viene messo a dura prova in questo nuovo capitolo, più maturo soprattutto nella parte finale, dove si assiste a una sorta di brusco ritorno dal mondo dei sogni.
A fronte dei tanti spunti positivi, di una regia coadiuvata da una splendida fotografia che ben trasforma il mondo di Marta in qualcosa di favoloso (proprio a-la-Amelie), Ancora più bello si dimostra un buon sequel ma un film incapace di rinnovarsi, di cavalcare la lunga onda di un cambiamento del linguaggio filmico della dramedy teen italiana attivato con il primo film Sul più bello. Quelle situazioni che definivano il ritmo del primo capitolo, qui si trasformano in pesanti bagagli da trascinare, in gag incomplete e un po’ retoriche, in scene che valicano il surreale trascendendo nell’assurdo. Quella formula da fumetto che si era rivelata così vincente, quel tocco glam-pop vicino – soprattutto a livello anagrafico – allo spettatore ideale a cui è indirizzato il film si trasformano in semplici esercizi di stile, lenti dalla forma colorata attraverso le quali sbirciare la realtà circostante, ma senza lo stupore sincero del primo film.
Si assiste così sullo schermo ad un pattern già visto e prevedibile, fragile nella sua essenza, basato su archetipi narrativi usurati: la grande amicizia, il primo grande amore, la gelosia, il terzo incomodo, “il brutto anatroccolo”; perfino le molestie sul lavoro (e un certo orgoglio tutto al femminile) subiscono un processo di estrema semplificazione, trasformandosi in trame funzionali per traghettare il racconto nel terzo e ultimo atto che si vedrà sul grande schermo. Una narrazione seriale che forse avrebbe trovato un respiro più ampio – e un approfondimento più dettagliato – proprio in TV e meno al cinema, dove i tempi dello schermo d’argento continuano ad essere imperatori incontrastati della narrazione.