domenica, Settembre 24, 2023
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Anche io – She Said, recensione del film di Maria Schrader sul caso Weinstein

La recensione di Anche io - She Said, il film di Maria Schrader con Zoe Kazan e Carey Mulligan incentrato sul caso Weinstein. Dal 19 gennaio al cinema.

Il 5 ottobre 2017, la caparbietà e forse anche l’incoscienza tipiche di chi si occupa di giornalismo investigativo spinsero due reporter del New York Times a scoperchiare un vaso di pandora che molti avrebbero preferito rimasse chiuso: Jodi Kantor e Megan Twohey pubblicarono un lungo articolo che avrebbe scosso Hollywood dalle fondamenta, generando un effetto valanga che in breve tempo riuscì a cambiare non solo la percezione dell’industria dell’intrattenimento agli occhi del povero comune mortale, ma anche a generare un crocevia di accesi dibattiti e chiassosi movimenti a seguito dei quali i confini tra presupposizione e dimostrazione sarebbero diventati sempre più labili e fumosi.

L’articolo in questione rivelò al mondo intero, per la prima volta, la proverbiale “altra faccia di Hollywood”, fino a quel momento oggetto soltanto di morbosi pettegolezzi mai oggetto delle necessarie verifiche. Improvvisamente, la fabbrica dei sogni per antonomasia si era trasformata in un coacervo a dir poco inquietante di segreti inconfessabili: tutte le oscure idiosincrasie di un sistema fallace e innegabilmente malato vennero portate alla luce, identificando nella complessa figura del celebre produttore cinematografico Harvey Weinstein (Pulp Fiction, Il paziente inglese, Will Hunting, Shakespeare in Love) il grande capo espiatorio, colui che per oltre 30 anni aveva tenuto salde nelle sue mani le redini di un vero e proprio “regno del terrore”.

L’inchiesta di Kantor e Twohey – che ha descritto minuziosamente come Weinstein abbia ripetutamente abusato del proprio potere per molestare sia attrici che dipendenti della sua Miramax Films, costringendole ad avere rapporti sessuali non consenzienti – ha dato la forza a tantissime altre donne di condividere la propria straziante esperienza rispetto alla sopraffazione fisica e psicologica perpetrata non solo da Weinstein, ma più in generale da moltissimi altri uomini in posizione di potere; testimonianze che hanno poi trovato una voce unica e inconfondibile nel movimento #MeToo, grazie al quale si è finalmente iniziato ad affrontare a testa alta il tema della violenza sessuale e della molestia sul posto di lavoro. Il velo era ormai squarciato; l’aura di silenzio e omertà non era più immacolata.

Ma l’inchiesta di Jodi Kantor e Megan Twohey – vincitrice del Premio Pulitzer – ha portato anche all’uscita, nel 2019, di un libro campione di vendite firmato dalle stesse giornaliste e di cui si sono subito assicurati i diritti cinematografici la Plan B Entertainment di Brad Pitt e la Annapurna Pictures di Megan Ellison. Quel libro è così diventato un film, dal titolo omonimo She Said (che arriverà in Italia, grazie a Universal Pictures, a partire dal 19 gennaio col titolo Anche io) e diretto dalla regista tedesca Maria Schrader, salita alla ribalta internazionale grazie all’acclamata miniserie Unorthdox (disponibile su Netflix).

L’importanza della parola… quella non detta, taciuta

Riuscire a donare nuova linfa al cinema d’inchiesta statunitense è sempre un’operazione difficile da maneggiare. Sulla scia di alcuni eclatanti esempi che ci sono stati regalati durante lo scorso decennio (Il caso spotlight di Thomas McCarthy su tutti, ma anche The Post di Steven Spielberg), Maria Schrader riesce nell’impresa in modo straordinario e inaspettato, portando dalle pagine di carta allo schermo d’argento un’agghiacciante storia vera, tanto drammatica quanto complessa.

Anche io – She Said guarda al suo passato, agli schemi definiti e immutabili del miglior cinema d’inchiesta, mescola il dramma con il thriller, risultando comunque interessante e credibile (da notare che il film è stato girato nei veri uffici del New York Times a Midtown Manhattan). Maria Schrader incasella tutta la perseveranza e la dedizione alla base del giornalismo investigativo all’interno di un’opera precisa e lineare ma anche estremamente avvincente. L’occhio cauto e guardingo della regista tedesca è scevro da tecnicismi pomposi e forzati, alieno da ogni eccessiva rappresentazione degli aspetti più sconvolgenti della vicenda reale che racconta in maniera onesta e rispettosa (anche grazie al contribuito di alcune “vittime dichiarate” come Ashley Judd, che interpreta se stessa), mantenendo sempre viva l’attenzione dello spettatore per 129 minuti.

Non ci sono scene di molestie e violenza (lo stesso personaggio di Weinstein, nel film, ha un ruolo decisamente contenuto, apparendo sempre di spalle): alla Schrader non interessa spettacolarizzare ulteriormente la tragedia, ma semplicemente far emergere tutta la forza emotiva e personale di una storia che ha cambiato il mondo intero; una storia fatta di ricerche, telefonate, e-mail, stesura di documenti, incontri, riunioni, trasferte, notti insonni; una storia di collaborazione, sacrifici impensabili, passaggi obbligati, dubbi atroci, momenti critici. Ma soprattutto, una storia sull’importanza della parola, in modo particolare la parola non detta, quella taciuta nell’intimità di un corpo violato, con la quale si impara a convivere ma che prima o poi esplode in tanti piccoli pezzettini destinati a colpire, a fare male… a fare tanto rumore.

Nella drammatizzazione delle infinite tappe che hanno scandito il lungo e tortuoso percorso di Jodi Kantor e Megan Twohey per arrivare alla verità, la sceneggiatura di Rebecca Lenkiewicz (la firma dietro film come Ida e Disobedience) – solida, bilanciata, incisiva, priva di inutili orpelli retorici – si concede il lusso di esaminare con pertinenza non solo i dettagli del frenetico e pressante mondo del giornalismo e dell’intricato processo alla base di un’indagine condotta adoperando come strumenti la competenza, la determinazione e l’empatia, ma anche di far emergere con delicata intelligenza gli elementi che attingono esclusivamente alla sfera privata delle due protagoniste.

È così che l’operazione puntuale, rigorosa e schietta di Maria Schrader si fa “manifesto” dell’esperienza universale dell’essere donna, non solo attraverso la ricostruzione del caso di cronaca, ma anche attraverso l’esplorazione dell’interiorità di due personaggi femminili misurati e profondi, giornaliste stremate che un attimo dopo appaiono trionfanti, madri imperfette e orgogliose di esserlo. Due donne non gregarie ma pronte a riconoscersi le une nelle altre, promotrici della cognizione della verità; due eroine gloriose e necessarie, magnificamente interpretate da Zoe Kazan e Carey Mulligan.

Guarda il trailer ufficiale di Anche io – She Said

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Riuscire a donare nuova linfa al cinema d'inchiesta statunitense è sempre un'operazione difficile da maneggiare. Sulla scia di alcuni eclatanti esempi che ci sono stati regalati durante lo scorso decennio (Il caso spotlight di Thomas McCarthy su tutti, ma anche The Post di Steven Spielberg), Maria Schrader riesce nell'impresa in modo straordinario e inaspettato, portando dalle pagine di carta allo schermo d'argento un'agghiacciante storia vera, tanto drammatica quanto complessa.
Stefano Terracina
Stefano Terracina
Cresciuto a pane, latte e Il Mago di Oz | Film del cuore: Titanic | Il più grande regista: Stanley Kubrick | Attore preferito: Michael Fassbender | La citazione più bella: "Io ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia possibile." (A Beautiful Mind)

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Riuscire a donare nuova linfa al cinema d'inchiesta statunitense è sempre un'operazione difficile da maneggiare. Sulla scia di alcuni eclatanti esempi che ci sono stati regalati durante lo scorso decennio (Il caso spotlight di Thomas McCarthy su tutti, ma anche The Post di Steven Spielberg), Maria Schrader riesce nell'impresa in modo straordinario e inaspettato, portando dalle pagine di carta allo schermo d'argento un'agghiacciante storia vera, tanto drammatica quanto complessa.Anche io - She Said, recensione del film di Maria Schrader sul caso Weinstein