Ci sono voluti quasi 20 anni, ma alla fine James Cameron è riuscito nell’intento di portare sul grande schermo “Alita, l’Angelo della Battaglia”, il manga giapponese del 1990 scritto e illustrato da Yukito Kishiro, occupandosi in prima persona dell’adattamento (in collaborazione con Laeta Kalogridis). Il regista di Titanic ha deciso di ritagliarsi anche il ruolo di produttore (insieme a Jon Landau), ma a causa dei suoi impegni con il prosieguo della saga di Avatar ha preferito affidare la regia al collega Robert Rodriguez (dopo averne approvato le correzioni che lo stesso aveva apportato alla storia).
Il risultato finale arriverà nelle sale italiane il 14 febbraio: ambientato nel 26° secolo (precisamente nel 2533 a.C.), Alita – Angelo della Battaglia segue le vicende di Alita, una giovane ragazza cyborg che viene ritrovata dal dottor Daisuke Ido tra i rifiuti della Città Discarica (una gigantesca metropoli sovrastata da Salem, favolosa oasi sospesa tra le nubi che scarica sotto di sé i rifiuti). Completamente priva di memoria, Alita viene riparata da Ido, che decide di “donarle” un nuovo corpo. La giovane diventarà presto una cacciatrice di taglie, pronta a dare la caccia ai peggiori criminali della Discarica. Ma i ricordi della sua vita precedente non tarderanno a riaffiorare…
Il sogno di Cameron di regalare nuova linfa all’opera di Kishiro attraverso il mezzo cinematografico si traduce in un grandissimo blockbuster – costato circa 200 milioni di dollari – che risulta più che riuscito sotto molteplici aspetti. Ciò che colpisce principalmente di Alita – Angelo della battaglia è non solo la spettacolorità del 3D (totalmente immerviso, in grado di avvolgere e catturare lo spettatore), ma anche e soprattutto il sapiente utilizzo che viene fatto del motion capture, tecnica che mai come in questo caso diventa sinonimo di fusione e armonia.
Il personaggio della protagonista Alita, interpretato da una bravissima Rosa Salazar, sembra essere davvero umano, andandosi a coordinare ed amalgamare alla perfezione con gli attori in carne ed ossa, differenziandosi da essi soltanto per quegli occhi da manga giganteschi e profondi, scelta fortemente sostenuta da Cameron che contribuisce non solo a rendere omaggio al lavoro di Kishiro, ma anche a restituire allo spettatore le varie sfumature della personalità di Alita, veicolate dall’intensità di uno sguardo che si fa manifesto delle emozioni più essenziali e variegate.
Indubbiamente la sceneggiatura mette tantissima – forse troppa – carne al fuoco, ma è innegabile che le tematiche affrontate dal film – il contrasto tra uomo e macchina, l’eterna lotta tra corpo e anima, l’importanza delle nostre origini, i rapporti genitoriali – esercitino un fascino dirompente e vengano sviscerate in maniera travolgente (anche se a tratti sconclusionata), donando all’intera opera un sorprendente ed inatteso cuore pulsante, permettendole di scorrere in maniera fluida e lineare, e di mantenere sempre viva l’attenzione.
Perché Alita – Angelo della battaglia (qui il trailer italiano ufficiale) non è un film che mira esclusivamente all’opulenza visiva o all’ineccepilità della costruzione scenica: il film si sofferma in maniera più che adeguata sui disagi di una protagonista tanto pura quanto impulsiva, e sui dilemmi che scaturiscono dalla sua natura e dalla sua condizione, pronti a trasformarla in un’eroina tanto ingenua quanto determinata.
Le sinergie creative di Cameron e Rodriguez – due cineasti agli antipodi che si scoprono meravigliosamente compatibili – si fondono per concepire un universo che assorbe e rimpasta il manga originale; un universo che trasuda sincera umanità non solo nella rappresentazione dei personaggi (in particolar modo quelli femminili), ma anche nell’armoniosa, compatta e coerente mescolanza tra live action e CGI, tra naturale e artificiale.