martedì, Novembre 28, 2023
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65: Fuga dalla Terra, recensione dell’action thriller fantascientifico con Adam Driver

La recensione di 65: Fuga dalla Terra, action thriller fantascientifico con protagonista Adam Driver. Dal 27 aprile al cinema.

Nonostante la dinamica padre-figlio, così come la caccia o fuga dai dinosauri, abbiano rappresentato e stiano rappresentando tutt’oggi una forza cinematografica e narrativa incredibilmente attrattiva – seppur abusatissima nel primo caso e perduta nel secondo -, l’operazione cinematografica 65: Fuga dalla Terra del duo Scott Beck e Bryan Woods riesce nell’impresa davvero ardua di non riuscire a raggiungere e soddisfare nemmeno uno dei due filoni d’appartenenza, cadendo e ferendosi incessantemente, senza rialzarsi più.

Ancor prima di andare a fondo rispetto all’analisi del film, è bene soffermarsi sul plot narrativo, che vede l’astronauta Mills (Adam Driver) scontrare un asteroide per poi schiantarsi sulla Terra, 65 milioni di anni fa, in compagnia dell’unico altro sopravvissuto, una giovane ragazza di nome Koa (Ariana Greenblatt). Giunti sulla Terra, i due si ritrovano a muoversi in un mondo preistorico, affrontando perfino i dinosauri pur di riuscire a mettersi in salvo e tornare a casa. Se questa trama ricorda qualcosa, non può che essere il recentissimo successo seriale di HBO a cura di Craig Mazin e Neil Druckmann, The Last of Us, a sua volta adattato dall’omonimo successo videoludico della Naughty Dog.

A differenza, però, della serie con Pedro Pascal e Bella Ramsey – che forte di una narrazione drammatica solidissima riesce a centrare appieno l’emotività di un legame che da amichevole diventa familiare, mutando due estranei in un padre e una figlia costretti a convivere in un mondo di desolazione e disperazione -, 65: Fuga dalla Terra sprofonda a causa di una scrittura lacunosa e di una regia in più di un momento loffia, povera e visibilmente intimidita dal ridotto budget a disposizione. Non vi è profondità alcuna, così come non vi è affatto quel sentimento incredibilmente reale di vuoto, desolazione e abbandono che tutto muove e anima all’interno di The Last of Us, prodotto capace più di ogni altro – forse, perfino più di The Road di John Hillcoat – di comunicare allo spettatore il significato reale di fine, crollo e distruzione, relativo tanto all’emotività quanto al sistema e al mondo.

L’astronauta Mills, nonostante il grande impegno del suo interprete (Driver ce la mette tutta pur di dare credibilità ad un personaggio già in partenza fallimentare e molto poco interessante), non solo non riesce a creare quell’empatia necessaria – per non dire fondamentale – con lo spettatore, ma si rivela addirittura capace di distruggere sé stesso percorrendo e centrando una serie di interminabili cliché senza mai sorprendere o andare a fondo rispetto ai suoi istinti e desideri.

Un film nato morto

Eppure, ciò che sorprende è il fatto che Scott Beck e Bryan Woods, non molti anni fa, si siano occupati della scrittura dei due capitoli di un franchise di grande peso e importanza rispetto al survival movie e al cinema post-apocalittico, ossia A Quiet Place, nei quali la famiglia è pur sempre al centro e l’azione è incessantemente connessa con le dinamiche emotive degli ultimi umani sopravvissuti in un mondo giunto ormai alla sua fine.

Laddove tutto funzionava, qui inevitabilmente si perde, relegando 65 a quel contenitore universale e senza fondo destinato a tutti i prodotti cinematografici e seriali dimenticabili o peggio ancora, inconsistenti e vuoti. Al termine della visione si percepisce quasi immediatamente il desiderio di saperne di più, per potersi in qualche modo spiegare il perché di un fallimento così evidente e in più di un caso imbarazzante – il budget è ancor più ridotto della maggior parte dei titoli indipendenti degli ultimi cinque/dieci anni –, giungendo alla consapevolezza di aver guardato e preso parte ad un’esperienza filmica nata morta.

Girato tre anni fa, all’inizio 65: Fuga dalla Terra era stato pensato direttamente per il mercato home video e solo in un secondo momento per la sala (era stata presa in considerazione anche la distribuzione su piattaforma). Nei fatti, questa costante indecisione si è tradotta in continue e repentine modifiche alla data di uscita, fino ad arrivare ad una release sul grande schermo tutto sommato passata quasi in sordina, alla mercè di un pubblico impreparato, sorpreso, incuriosito e purtroppo tristemente destabilizzato.

Il ronzio del fallimento, perciò, appartiene a 65 fin dalla sua genesi. Sarebbe potuta andare diversamente? Probabilmente no, poiché Beck e Woods provano a divertirci in tutti modi senza mai riuscirci realmente, prima attraverso goffi tentativi di action impoverito dalla scarsità di mezzi e dall’assenza di idee registiche rilevanti o quantomeno degne di nota, poi con un accumulo di ritmi frenetici ed emotivamente caotici che vorrebbero toccarci nel profondo, finendo invece per farci sorridere.

Un disastroso film di sopravvivenza nato sulle orme di grandi e intramontabili classici quali Il pianeta delle scimmie e Jurassic Park, il cui merito se non altro è quello di spingerci a ricordare quei titoli per tornare a guardarli ancora e ancora, dimenticando inevitabilmente chi successivamente ce l’ha messa tutta pur di replicarli, proprio come Beck e Woods. Fuggite, dunque, da un film – come già detto poc’anzi – nato morto!

Guarda il trailer di 65: Fuga dalla Terra 

GIUDIZIO COMPLESSIVO

65: Fuga dalla Terra sprofonda a causa di una scrittura lacunosa e di una regia in più di un momento loffia, povera e visibilmente intimidita dal ridotto budget a disposizione. Non vi è profondità alcuna, così come non vi è affatto quel sentimento incredibilmente reale di vuoto, desolazione e abbandono che tutto muove e anima all’interno di The Last of Us, prodotto capace più di ogni altro – forse, perfino più di The Road di John Hillcoat – di comunicare allo spettatore il significato reale di fine, crollo e distruzione, relativo tanto all'emotività quanto al sistema e al mondo.

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65: Fuga dalla Terra sprofonda a causa di una scrittura lacunosa e di una regia in più di un momento loffia, povera e visibilmente intimidita dal ridotto budget a disposizione. Non vi è profondità alcuna, così come non vi è affatto quel sentimento incredibilmente reale di vuoto, desolazione e abbandono che tutto muove e anima all’interno di The Last of Us, prodotto capace più di ogni altro – forse, perfino più di The Road di John Hillcoat – di comunicare allo spettatore il significato reale di fine, crollo e distruzione, relativo tanto all'emotività quanto al sistema e al mondo.65: Fuga dalla Terra, recensione dell’action thriller fantascientifico con Adam Driver