venerdì, Giugno 2, 2023
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120 Battiti al Minuto recensione del film vincitore del César 2018

120 Battiti al Minuto è il film francese diretto da Robin Campillo che ha appena conquistato il prestigioso César 2018; un dramma intenso e ribelle, incentrato sulla nascita e la diffusione del movimento Act-Up nella Parigi degli anni ’90, sullo sfondo della diffusione endemica dell’AIDS durante il picco massimo mai raggiunto, spesso proprio a causa della disinformazione.

Parigi anni ’90: la versione americana del movimento attivista Act-Up sbarca nella capitale francese per provare a fronteggiare la diffusione incontrollata dell’AIDS tra i più giovani, spesso a causa della disinformazione che li spinge a credere che soltanto omosessuali e tossicodipendenti possano essere le vittime designate del contagio. Il loro scopo è quello di sensibilizzare le coscienze con azioni dimostrative molto forti in risposta all’indifferenza – soprattutto quella governativa – come ad esempio quando lanciarono del sangue finto sui partecipanti a una conferenza.

120 battiti al minuto

Durante una delle tante riunioni del gruppo per pianificare una nuova azione di massa, il giovane nuovo adepto Nathan (Arnaud Valois) incontra Sean (Nahuel Pérez Biscayart), uno degli storici membri, tra i più attivi sostenitori. Il loro sarà un vero e proprio colpo di fulmine scandito dai battiti del loro cuore, dalla passione e anche dalle rispettive differenze, ma la lunga ombra della morte sembra funestare anche il loro idillio.

120 Battiti al Minuto citati da Campillo nel titolo sono un riferimento/omaggio al ritmo base della musica pop-dance degli anni 90′: un modo per contestualizzare il film, collocandolo subito nel respiro storico giusto, in quel complesso periodo di transizione dominato dalla diffusione di un malato (quasi) sconosciuto come l’AIDS e dagli scandali legati al sangue infetto che hanno colpito sia la Francia che l’Italia.

120 battiti al minuto

120 Battiti al Minuto recensione del film vincitore del César 2018

Dosando realtà storica e narrazione fictional che, a sua volta, affonda le proprie radici nel racconto autobiografico – Campillo stesso era un attivista del movimento Act-Up come pure il co-sceneggiatore Philippe Mangeot – il regista crea un piccolo gioiello capace di scuotere le coscienze degli spettatori senza incappare nella classica retorica che, purtroppo, spesso accompagna progetti incentrati su argomenti impegnati.

Il rischio che correva 120 Battiti al Minuto era legato, su carta, alle tematiche affrontate: il tema dell’AIDS, la lotta contro la malattia e quest’ultima che si insinua nella vita delle persone sconvolgendole; ma contro ogni pronostico, ogni timore viene dissipato passo dopo passo, prendendo lo spettatore per mano fino a condurlo nel cuore pulsante di un movimento, di una generazione ma soprattutto di una discoteca, tempio della vitalità ferita ma non abbattuta.

Nel lungometraggio amore e morte sembrano però rincorrersi sempre in un’inarrestabile valzer degli addii, splendido quanto crudele, dove la forza della lotta sembra l’unica reazione plausibile all’orrore dilagante, causato anche dall’indifferenza di una società cieca e spaventata.

La vita è, per i giovani attivisti protagonisti, l’unica soluzione, l’unico modo per sensibilizzare, diffondere la conoscenza, e sconfiggere il tal modo l’ombra della morte; ecco dove risiede la forza unica di 120 Battiti al Minuto, un racconto per immagini – suggestive, sospese tra cruda realtà e onirico lirismo – che invita a reagire con il clamore al silenzio, scuotendo, scioccando con azioni clamorose e plateali se necessario.

Amato da Pedro Almodovar e, soprattutto, dal premio César che lo ha eletto miglior film, il lungometraggio di Campillo è uno schiaffo alla morale, un oltraggio alla malattia, un inno all’amore incontrastato contro tutto e tutti, pronto a scardinare ogni pronostico o qualunque forma di discriminazione.

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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