Tutti pronti per tornare in anticipo sull’isola di Ventotene? Perché il 7 marzo sbarca nelle sale Un altro ferragosto, sequel del cult Ferie d’agosto che vede sempre, dietro la macchina da presa, la presenza del regista Paolo Virzì e la partecipazione dei sodali Carlo (Virzì) e Francesco Bruni (reduce dal successo della serie Netflix Tutto chiede salvezza) alla sceneggiatura.
Un ritorno atteso e giunto ben ventotto anni dopo l’uscita del primo film al cinema, nel 1996: «L’avevamo già scritto nel ’94 e ha debuttato nel 1996, chiudendo una stagione del cinema italiano che si è esaurita in fretta», ricorda il regista livornese. Come protagonisti, ha scelto di radunare la “banda” di attori originale del primo film, richiamando nei panni dei membri delle famiglie Mazzalupi e Molino gli attori Silvio Orlando, Laura Morante, Sabrina Ferilli, Paola Tiziana Cruciani (tra i tanti), affiancandoli a new entry come Andrea Carpenzano, Christian De Sica, Vinicio Marchioni, Anna Ferraioli Ravel ed Emanuela Fanelli a guidare una nutrita teoria di nuovi personaggi.
Passato e presente si fondono così in questa commedia – amarissima – che cerca di immortalare, sullo schermo d’argento, la nuova Italia che avanza, con contraddizioni ataviche ad affiancare “mostruosità” moderne da social e società dell’apparenza; tutto questo senza dimenticare l’importanza della memoria, che qui acquista un ruolo fondamentale nella costruzione drammaturgica ma soprattutto nel ricordo di Ennio Fantastichini e Piero Natoli, scomparsi troppo prematuramente.
Uno dei motivi fondamentali che ha spinto Virzì a tornare a raccontare le storie intrecciate dei Mazzalupi e dei Molino su un’isola completamente diversa, dopo anni: «Avevo promesso a Piero Natoli di girare il seguito di Ferie d’agosto già all’epoca del primo film», conferma il regista, «ma gli dissi che era una furbata. Ma dopo così tanto tempo e la scomparsa di due protagonisti come, appunto, Natoli e Fantastichini mi è tornata la voglia di raccontare quelle vite, di riflettere sulla mancanza e sul lutto costruendo un racconto che, a tutti gli effetti, somiglia ad un romanzo d’appendice, ricostruendo legami tra le varie persone presenti nella nostra storia.
Alla fine Un altro ferragosto è un bilancio di come si diventa col passare del tempo, perché non è detto che crescendo arrivi anche la maturità, si può diventare anche solo più fragili. Così ho usato anche il film per riflettere sulla mia vita, soprattutto adesso che ho appena compiuto sessant’anni, per provare a percepirmi in modo diverso. Ho cercato, in tutti i modi, di creare un clima emotivo molto diverso, nel quale si ride e ci si commuove, al contempo, molto mostrando la solitudine dietro molti legami familiari, come quello tra il personaggio di Sandro Molino e suo figlio Altiero».
Una riflessione sulla morte e sul crollo delle utopie
Sandro, il giornalista militante e radical chic simbolo di una certa intellighenzia italiana, nei cui panni si cala ancora una volta da Silvio Orlando: «Io e mio figlio Altiero siamo due alieni», racconta l’attore, «non riesco a capirlo né ad accettarlo fino in fondo, e non risulto nemmeno così tanto inclusivo nei suoi confronti. Per tale ragione Sandro è più legato al nipotino Tito, perché quest’ultimo è l’unico che lo sta a sentire e che sembra aver raccolto la sua eredità intellettuale. Vediamo un grandissimo salto generazionale tra padre e figlio, ma non è chiarito mai del tutto nel corso del film».
Vista anche la condizione di salute precaria del personaggio di Sandro, la morte sembra essere un altro dei temi che aleggia sull’intera operazione di Un altro ferragosto: evocata, nominata, discussa e mai nascosta, per Virzì si tratta di un’opera incentrata anche sul passare del tempo e, appunto, sulla morte, considerando che è un film dove ci sono stati dei lutti, ma anche – sia nella realtà che nella finzione – delle nascite e delle rinascite, con al centro della narrazione amori interminabili, mai finiti e pronti a riaccendersi, con un discorso aperto sulla genitorialità nuova che cambia e migliora con il passare del tempo e l’entrata nella modernità.
«Non bisogna avere paura della morte come argomento, di nominarla», aggiunge il regista livornese. «Un altro ferragosto è, quindi, anche una riflessione sul crollo delle utopie della sinistra, è vero, ma se pensiamo che l’ostinazione di Sandro viene derisa dai suoi amici e accolta, invece, solo dal nipotino di dieci anni, appassionato di storia, allora non tutto è perduto. Tito rappresenta il nostro futuro, la speranza e una risorsa preziosa».

Personaggi umani, tragicomici e complessi
Tra i vari personaggi che ritornano in questo nuovo capitolo, pur cambiando pelle, c’è anche Sabri Mazzalupi, l’adolescente complicata (e complessata) che qui ha il volto della new entry Anna Ferraioli Ravel, che ha parlato così del suo personaggio: «Se lei è un involucro, beh, al suo interno però c’è decisamente qualcosa. In lei coesistono tensioni drammaturgiche ed emotive molto forti. Sabri è impreparata e inadeguata alle circostanze della vita, trasformando questo limite però in un’opportunità; per tale ragione mi ha sempre fatto pensare ad un’eroina della tragedia greca, una sorta di Sibilla, di oracolo protagonista di una profezia auto-avverante pronunciata nel corso di Ferie d’agosto: “Semo ‘na famija de infelici”. In Un altro ferragosto è consapevole della tristezza e dell’infelicità che attende tutti i personaggi, ma allo stesso tempo – come tutte le donne del film – è una che lotta e non si arrende, tenera e tenace».
E tra le donne citate non può mancare Sabrina Ferilli, che torna a vestire – a distanza di ventotto anni – i panni della zia Marisa, questa volta vedova ma accompagnata ad un nuovo partner, un ingegnere truffaldino interpretato dal “nuovo acquisto” Christian De Sica: «Marisa si deve sobbarcare il peso di tanti altri», dice l’attrice, «prima di poter pensare a sé stessa. Vuole salvare a tutti i costi la nipote da un matrimonio non giusto, un’intuizione perfetta. È una donna che crede nel sentimento, nell’amore e che si vede risolta solo nella coppia. Così investe di nuovo – in termini emotivi – nel rapporto con l’ingegnere, che potrebbe rappresentare in parte il suo agognato riscatto sociale.
È un personaggio malinconico, come tutte le donne dei film di Virzì del resto, malinconiche ma mai rassegnate o sconfitte, sempre simbolo di vita e di morte, staffette costanti tra uomini ed eventi. Marisa è disillusa, perché sa bene che nemmeno col nuovo compagno troverà mai niente, com’è del resto sempre stato con gli uomini che sono transitati nella sua vita: dal marito infantile, passando per il personaggio di Gigio Alberti, incontrato prima troppo presto e ora, in Un altro ferragosto, troppo tardi. I ruoli che crea Virzì per gli attori sono sempre tanto pieni di colore, hanno una materia umana tragicomica così complessa».
Senso di solitudine e mancanza di amore e desiderio
Personaggi nuovi e vecchi si aggirano per una Ventotene completamente diversa rispetto a quella del primo film, un isolotto “spartano e rustico”, come lo definisce Virzì, che qui invece si ritaglia un ruolo da protagonista nonostante l’onda anomala del turismo di massa che l’ha invasa, cambiandone il profilo senza intaccare la sua natura di isola crocevia di passato e presente, testimone silenziosa della nascita dell’idea di convivenza civile nel dopoguerra, paesaggio ideale dei primi vagiti della Comunità Europea.
È ironico, quindi, che Un altro ferragosto sia stato girato proprio nel momento in cui “la democrazia è in crisi e stanno scoppiando guerre in tutto il mondo”, ricorda Virzì. Che affida a due nuovi personaggi, interpretati rispettivamente da Vinicio Marchioni ed Emanuela Fanelli (visti entrambi nel film di Paola Cortellesi C’è ancora domani), il compito di incarnare l’essenza intrinseca del film e la sua – amarissima – morale:
Vinicio Marchioni: «Quando Paolo mi presentò il personaggio di Cesare, me lo descrisse come “uno che ha gli occhi di una mucca”. Una sintesi perfetta di una serie di mancanze intellettuali profonde ben radicate nel ritratto di quest’uomo, simbolo di una mascolinità tossica e di quella ricerca ossessiva per l’estetica maschile. Mi sono divertito a costruire un involucro nel quale non c’è niente all’interno, una sintesi dell’italiano medio arrivista, presuntuoso, arrogante e parvenu, un pessimo padre che non sa niente della paternità né di come ci si rapporta con un figlio o con una moglie. Lentamente, nel corso del film, si scoprono le sue debolezze e la vera difficoltà, da attore, è stata quella di trovare un equilibrio e una misura nel collocare un personaggio così tragico in un contesto da commedia».
Emanuela Fanelli: «Il mio personaggio, Daniela, si presenta sulla scena come una sfinge, ma dietro c’è tanto: non è allegra, né solare, né fa niente per essere contenta o per mascherare il suo malcontento. Guarda con fare snob la famiglia Mazzalupi, si sente superiore rispetto a loro ma alla fine dimostra di avere un dolore profondo che esprime attraverso un lungo monologo, e credo che riassuma tutti i personaggi del film. Ognuno di loro è accomunato da una solitudine e da una mancanza profonda di amore e desiderio, dal fatto di non poterlo né provare né ricevere: ecco quindi che quel monologo dà voce a tutti i membri di Un altro ferragosto».
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