mercoledì, Settembre 11, 2024
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Planetarium: Rebecca Zlotowski e Louis Garrel presentano il film a Roma

Planetarium di Rebecca Zlotowski è stato presentato alla stampa dalla regista insieme all’attore Louis Garrel nell’ambito del Festival Rendez-Vous – Nuovo cinema francese, giunto ormai alla sua settima edizione e che quest’anno ha incentrato un focus specifico sul cinema declinato al femminile, invitando attrici e registe che ricoprono un ruolo di spicco nell’industria audiovisiva francese. Un’ottima occasione per parlare con la Zlotowski del suo film, in uscita nelle sale italiane il prossimo 13 Aprile.

Planetarium: trailer italiano con Natalie Portman e Lily-Rose Depp

Rebecca, come nasce l’idea per Planetarium?

Rebecca Zlotowski: «L’idea per il film nasce dopo aver seguito una sorta di lungo sentiero segreto; la trama, ad esempio, è nata dal desiderio di porre gli attori in uno stato di “trance ipnotica” che già mi ero proposta di replicare nei miei precedenti film, ma non ci sono riuscita a causa dei budget troppo bassi. Si ispira ad una storia vera, ispirata alla realtà e collocata nell’Europa degli anni ’30, intrecciando tra loro due storie che si sono fuse, creando la struttura logica alla base del film, orchestrando un percorso di andata e ritorno dal sogno allo spiritismo»

Puoi dirci qualcosa riguardo ai forti riferimenti all’antisemitismo presenti nel film?

Rebecca Zlotowski: «L’Antisemitismo è, per me, un “brutto storytelling”; in Francia si respirava un’aria di minacciosa inquietudine quando abbiamo scritto il film, per tale motivo con il mio sceneggiatore Robin Campillo abbiamo deciso di ambientare il film negli anni ’30, per poi traslare tutto nel mondo del cinema, grazie al suo atmosfera da sogno.»

Qualcosa riguardo alla scelta delle attrici protagoniste, Natalie Portman e Lily-Rose Depp?

Rebecca Zlotowski: «Volevo fare un film sull’Europa, la fede e il credo analizzando, nel dettaglio, il rapporto tra lo spiritismo e il cinema; subito dopo Natalie Portman ha finito per essere il fulcro di Planetarium e il muro portante. È una donna intelligente e un’attrice intelligente che ha deciso di dedicarsi a film diversi e distanti dall’industria Hollywood; lei mi ha consigliato Lily-Rose, scegliendo in tal modo, da sola, sua sorella: io non potevo far altro che accettare.»

E invece, a proposito del titolo?

Rebecca Zlotowski: «È emblematica la frase pronunciata dalle due protagoniste, Laura e Kate Barlow, in uno scambio di battute: “bisogna spegnere la luce per vedere qualcosa”. È la stessa dinamica alla base della camera oscura, un tornare a qualcosa di meccanico; e lì, a quel punto, ho avuto l’idea per il titolo Planetarium in riferimento al planetario, un dispositivo che immerge lo spettatore in un luogo artificiale dove le stelle, se conosciute, si riconoscono come costellazioni se no semplicemente come stelle, punti luminosi nello spazio scuro.  Un’altra domanda portante del film è quella sollevata da Natalie Portman all’inizio: “non si sa mai quando si è prima della guerra”.»

In questo film applichi un processo filmico diverso rispetto ai tuoi film precedenti: cosa ti ha spinto ad adottarlo?

Rebecca Zlotowski: «Ho lavorato sempre con lo stesso comparto tecnico; realizzando il film non potevo sapere che avrebbe preso una piega diversa rispetto ai precedenti lavori. Ammetto di essere ossessionata dall’invisibilità, e da come la macchina cinema sia in grado di catturarla: dalla radioattività ai fantasmi, era affascinante vedere come gli strumenti dell’epoca abbiano tentato di immortalare tutto ciò.»

In Planetarium emerge il potere dell’illusione, incarnata soprattutto dal mondo del cinema, da sempre la grande fabbrica dei sogni, e che è incarnata dagli attori e dai comparti tecnici che vediamo muoversi sullo schermo. Uno degli emblemi è sicuramente il personaggio dell’Attore, nei cui panni si cala Louis Garrel.

Rebecca Zlotowski: «Il problema illusione è un tema a me molto caro, che amo molto in quanto puro artifizio: ritengo che aiuti a sopportare ciò che avviene nella vita, i fatti più orribili.»

Louis Garrel: «Con Rebecca ci conosciamo da molto tempo; forse ha un’aggressività latente nei miei riguardi, ecco perché mi ha fatto interpretare questo ruolo! A parte gli scherzi, quello dell’attore afflitto da un enorme ego è un ruolo piccolo, che dovevo necessariamente caratterizzare bene: quindi, per me, doveva bere molto e amare il suo piccolo, brutto, cane.»

Rebecca Zlotowski: «Ho chiesto a Louis di fare questo piccolo ruolo perché ritengo che sia un comico nato, ma che la notizia ancora non si sia diffusa in giro! Il suo personaggio riflette la stranezza e la stravaganza del mondo del cinema che rappresenta.»

Louis, cosa ti ha spinto a scegliere questo copione? E invece Rebecca, che linguaggio visivo specifico hai scelto per rappresentare la storia delle sorelle Barlow?

Louis Garrel: «Rebecca mi aveva parlato ancora prima di iniziare a girare il film: quando ho letto la sceneggiatura e ho ascoltato le sue indicazioni, mi sembrava di avvertire una sorta di inquietudine sottile: i personaggi nel film non sanno cosa li aspetta, ma Rebecca sapeva già tutto. Planetarium è un sogno inquieto che fa dimenticare allo spettatore cosa accadrà, è imprevedibile. Il film è un’avventura costituita da tante avventure incentrate sull’inquietudine. Sono sicuro che tutti amiamo molto i film che raccontano la creazione e la lavorazione del cinema; adoro la macchina meta-cinematografica.»

Rebecca Zlotwski: «Tutti conoscono i meccanismi della finzione, tutti hanno accesso al manuale dello sceneggiatore grazie anche alla tv; bisogna tornare a fare dei film solo per il cinema, immergendo lo spettatore in una dimensione che non sa prevedere, come pure i personaggi di Planetarium che non sanno prevedere ciò che accadrà loro; solo il personaggio di Laura vive il presente. Ognuno può fare sua scelta davanti a questo oggetto.»

Louis Garrel: «Il naturalismo al cinema è la lingua più parlata al giorno d’oggi; chi va verso l’espressionismo, diciamo “alla Sorrentino”, è meno realista e naturalista: questa strada non è battuta spesso dal cinema.»

Rebecca, Planetarium attraversa diversi generi.

Rebecca Zlotowski: «Anche questo è un dubbio che ha accompagnato la realizzazione del film; la libertà è proporre, secondo me, un’esperienza audiovisiva non etichettata che rimanga così indefinita e non incasellata in un genere specifico. Sidney Lumet, un regista che amo molto, diceva che per scrivere il soggetto di un film bisogna prendere un genere, poi un altro e mischiarli insieme. Quando scrivo parto dalla linea della storia d’amore per poi farla diventare un’avventura sullo sfondo della macchina cinema. La domanda che si pongono i protagonisti di Planetarium ruota intorno alla fede: “in cosa dobbiamo credere?” e volontariamente abbiamo scelto di proteggere queste zone di mistero senza approfondirle.»

Rebecca, nella tua costante ricerca di un modo per filmare l’invisibile, rientra anche la necessità di immortale una scena parlata in Yiddish, una lingua antica frutto di secoli di contaminazioni linguistiche, prevalentemente scomparsa dopo la Seconda Guerra Mondiale e le persecuzioni nazista contro il popolo ebraico?

Rebecca Zlotowski: «Inserire una scena in una lingua scomparsa è stata davvero una scelta importante per me; anche perché a parlare è il padre del personaggio, l’ennesimo fantasma disseminato nel film, che è poi interpretato da mio padre, subito disponibile a girare la scena. Non mi era mai accaduto prima d’ora di arrivare la mattina, sul set, senza un copione preciso da seguire, improvvisando completamente: sapevo cosa avrebbe detto il personaggio e basta. La troupe mi ha protetto e una cosa simile non accade spesso. Con lo sceneggiatore Campillo abbiamo lavorato partendo da un passo di Flaubert a proposito della promiscuità degli uomini nei tempi di guerra; da lì è poi derivata la scena che è possibile vedere nel film, che a me fa pensare alla scena di 8 e ½ di Fellini quando Marcello Mastroianni vede suo padre e parla con lui: trovandoci a Roma, mi sembra una citazione obbligatoria!»

Planetarium uscirà nelle sale italiane distribuito da Officine UBU il prossimo 13 aprile.

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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