lunedì, Dicembre 4, 2023
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Il Più Grande Sogno: Moviestruckers intervista Alessandro Borghi

Alessandro Borghi è uno dei talenti più in vista – e in ascesa – del cinema italiano, capace di entrare nell’empireo dei volti memorabili e delle interpretazioni indimenticabili grazie ad una manciata di ruoli iconografici: il malavitoso di Ostia Aureliano, ribattezzato Numero 8, nel noir Suburra di Sollima e il tormentato “ragazzo di vita” dal sapore pasoliniano nello struggente cult di Caligari Non Essere Cattivo.

Alessandro Borghi ha conquistato l’immaginario cinefilo di pubblico e critica interpretando personaggi inquieti divorati dai loro spettri ma anche dai loro sogni; degli utopisti – anche se a loro modo –, delle figure pronte a cambiare il sistema e la vita adeguandolo alle aspettative del loro immaginario, delle loro aspirazioni e dei loro desideri. Malinconici antieroi quotidiani e metropolitani ai quali continua a prestare voce, intensità e corpo come nell’ultima fatica del regista Michele Vannucci, Il Più Grande Sogno, film semi-autobiografico che romanza la vicenda umana del protagonista Mirko Frezza, da un passato burrascoso segnato dalla galera alla disperata ricerca del sogno solido di un futuro da costruire; ovviamente un viaggio che dovrà condurre insieme alla propria famiglia e agli amici di sempre tra i quali spicca Boccione, ancora una volta “ragazzo di vita” e di periferia dal cuore buono, interpretato proprio da Borghi.

In occasione dell’uscita in tutta Italia del film (che ha già debuttato, con successo – nonostante le difficoltà distributive – a Roma nei cinema Caravaggio, Madison e UCI Cinemas Roma Est a partire dal 24 novembre), abbiamo avuto il piacere di intervistare Alessandro Borghi, per affrontare insieme a lui un viaggio di comprensione nell’universo de Il Più Grande Sogno.

“Allora Alessandro… la Rustica, la periferia, Roma, la capitale: elementi essenziali della tua filmografia che ritornano, ancora una volta. Com’è stato tornare di nuovo in quei luoghi fisici e dell’anima? Com’è stato interpretare Boccione, dar vita ad un personaggio affine ad altri che hai già evocato in precedenza (come Numero 8 in Suburra o Vittorio in Non Essere Cattivo)?”

A.B.: “Personalmente, cerco di parlare molto spesso proprio dell’argomento – la condizione della periferia romana – per permettere alle persone di capire e per cercare, allo stesso tempo, di raccontarla. Non sono un attore che “fa film sulle periferie” solo per cercare di ottenere un impatto sul pubblico. Le storie che raccontiamo sono accadute davvero e io sono onorato di averle portate sul grande schermo passando da Claudio Caligari, a Michele Vannucci, fino a Sergio Castellitto con il suo nuovo film, Fortunata. Purtroppo oggi, al cinema, le possibilità sono limitate: o si recita in commedie preparate a tavolino, blockbuster realizzati con la finalità di incassare, oppure si decide di raccontare storie vere, dei progetti sempre belli e veri che raccontano e trasmettono emozioni. Sempre come attore, prediligo delle storie borderline che – oggettivamente – si possono scovare più facilmente nella periferia che… non so, a Corso Trieste! (ride). Quando Vannucci mi ha parlato del suo progetto, incentrato sulla storia semi-autobiografica di un amico, l’ho vista come un’enorme occasione per mettermi alla prova, cercando – come faccio ogni volta – di superare step diversi per calarmi nei ruoli, affrontandoli in questo modo e scavando nel profondo del loro vissuto.”

Dopo il “caso” Non Essere Cattivo, sei di nuovo coinvolto in una vera e propria, pioneristica, avventura: un’esperienza non esente da difficoltà e rischi soprattutto a livello produttivo/distributivo. Puoi raccontarci qualche aneddoto a tal proposito, magari su cosa ti ha spinto a partecipare al progetto e sugli ostacoli che avete incontrato e che continuate a trovare lungo il vostro cammino?

A.B.: “Le difficoltà incontrate sono state… miliardi. Principalmente derivavano dalla mancanza di soldi, ad essere sinceri. Tutte le persone coinvolte nel progetto sono salite in barca mosse solo dalla voglia di fare il film, senza avere nessuna certezza riguardo al proprio compenso, e questo discorso includeva noi attori ma anche i membri della troupe; quindi, decidere di entrare nel gruppo, di farne parte e di lanciarsi in questa avventura presupponeva la volontà ferrea di lavorare con il cuore senza pensare ad un guadagno, ma affidandosi soltanto alla passione nel raccontare una storia del genere di caduta e rinascita. Questa storia che è alla base de Il Più Grande Sogno. In effetti, i costi vivi di produzione investiti da Giovanni Pompili, il produttore, non sono stati poi troppo alti: penso che il film abbia avuto un budget più ridimensionato rispetto a quello di un progetto più grande, un blockbuster. Certo, lavorare con budget ridotti, oltre agli evidenti svantaggi, può però mostrare dei lati positivi per quanto riguarda i tempi di riprese: con Vannucci abbiamo impiegato tre mesi per girare tutto, senza avere fretta o pressioni da parte di una produzione che rischiava di perdere capitali ogni giorno speso in più sul set; una bella libertà creativa, non c’è dubbio. Tra le tante difficoltà che abbiamo incontrato ce ne sono state alcune legate alla gestione del quartiere e dei luoghi dove abbiamo girato. Scegliendo di affiancare a noi quattro attori le persone del luogo, gente presa per la strada che non aveva mai visto una macchina da presa prima d’ora, abbiamo avuto la fortuna di improvvisare molto con loro, arrivando la mattina già vestiti e pronti per riprendere i nostri personaggi senza nemmeno passare per le fasi di trucco o parruco! Per quanto riguarda le difficoltà distributive, invece, il capitolo purtroppo non si è ancora chiuso… “

Puoi spiegarti meglio?

A.B.: “Certamente! Purtroppo siamo vittime di un sistema malato, di un paese – malato – dove se accetti di distribuirti da solo sei un pazzo visionario, un folle contro il quale è necessario muovere una guerra senza esclusione di colpi. Michele Vannucci, Giovanni Pompili, ma anche tutti noi coinvolti in prima persona nel progetto, abbiamo deciso – coscienziosamente – di auto–distribuirci sfidando le regole. Il risultato? I distributori ci hanno dichiarato guerra e spesso hanno venduto agli esercenti dei veri e propri pacchetti cinematografici che hanno escluso, in automatico, il nostro film dal circuito delle sale. Un ringraziamento speciale va quindi a tutti coloro che invece hanno deciso di rischiare, come il Cinema Caravaggio a Roma ed altre sale che hanno scelto di investire sul nostro film che ha avuto una delle medie più alte di copie per sala durante il primo weekend di programmazione. Un grazie a quei sognatori che, come noi, credono ancora nel buon cinema e lavorano proprio per questo.”

Dopo averci lanciato uno sguardo sul tuo futuro professionale, che destino ti aspetti comunque per Il Più Grande Sogno?

A.B.: “Per quanto riguarda il mio futuro professionale, nel corso dell’anno uscirà in sala il nuovo film di Sergio Castellitto, Fortuna. Nel frattempo sto girando la serie Netflix tratta da Suburra e per il prossimo anno ho in cantiere due progetti che non riguardano Roma, visto che sono ambientati in altre due città. Sempre per ricollegarci con quanto detto in precedenza, posso riconfermare che non ho paura di essere etichettato, di essere giudicato come appunto “uno che fa film sulle periferie” e basta. Assolutamente no! Mi piacciono le sfide e non ho paura delle critiche che possono derivare da certe scelte maturate in ambito professionale. A proposito de Il Più Grande Sogno, invece, volevo ricordare che il film era presente al Festival del Cinema di Venezia di quest’anno nella sezione Orizzonti e che ha avuto un breve passaggio anche durante l’ultima edizione della Festa del Film di Roma. Un destino analogo capitò anche a Non Essere Cattivo che, nonostante Il Festival di Venezia e le poche copie riuscì comunque ad essere candidato agli Oscar ma, allo stesso tempo, non fu aiutato affatto dalla distribuzione che, quando non fiuta un guadagno assicurato, decide di non rischiare. Noi che invece crediamo, appunto, nel buon cinema, continuiamo a lottare e a sperare di poter fare qualcosa di buono per cambiare, finalmente, questo sistema.”

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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