lunedì, Giugno 5, 2023
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Moschettieri del Re: Giovanni Veronesi e il cast al completo presentano il film

Moschettieri del Re è la commedia di Giovanni Veronesi che sfida i grandi film di Natale sul campo di battaglia del box office; schierando un cast all star composto da Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Rocco Papaleo, Sergio Rubini, Margherita Buy, Alessandro Haber, Matilde Gioli, Giulia Bevilacqua, Lele Vannoli, Valeria Solarino, Roberta Procida, Luis Molteni, Marco Todisco e Antonio Iuorio.

Un nutrito cast che, insieme al regista, ha presentato alla stampa il film (qui il trailer ufficiale), prodotto dalla Indiana Production e in uscita nelle sale il prossimo 27 dicembre grazie a Vision Distribution in circa 500 copie.

D’Artagnan (Favino), Porthos (Mastandrea), Athos (Papaleo) e Aramis (Rubini) un tempo erano glorioso Moschettieri del Re, ma dopo quasi 20 anni le cose sono cambiate notevolmente: il primo, munito d’un improbabile accento francese, alleva bestiame e maiali; il secondo è un castellano lussurioso e sifilitico, l’altro un frate vessato dai creditori e l’ultimo un reduce ubriacone.

Cinici, disillusi e sempre abilissimi con spade e moschetti, saranno richiamati all’avventura dalla regina di Francia Anna (Buy) per provare a salvare la Francia dalle perfide trame ordite dal cardinale Mazzarino (Haber) e dalla sua fidata alleata Milady (Bevilacqua). Insieme al fidato Servo muto (Vannoli) e a un’intrepida ancella (Gioli), i quattro combatteranno per la libertà degli Ugonotti perseguitati e per l’incolumità del loro giovane e dissoluto Re Luigi XIV (Todisco).

moschettieri del re

Giovanni Veronesi e il cast al completo di Moschettieri del Re presentano il film alla stampa

In due tranche distinte, si sono alternati – in una chiacchierata con la stampa – prima il cast femminile composto dalla Buy, la Solarino, la Gioli e la Bevilacqua, e poi da quello maschile che ha visto presenti Mastandrea, Rubini, Papaleo e il regista Veronesi.

Ad “aprire le danze” sono state le donne, parlando dei propri personaggi, del ruolo dell’improvvisazione sul set e della figura femminile nella storia e nell’industria del cinema.

Valeria Solarino: «Io sono una sportiva, è vero, ma nonostante tutto ho avuto le mie difficoltà sul set soprattutto nei confronti dei mie “partner” animali, i cavalli: il mio personaggio, Cicognac, è un domatore, quindi ha una certa affinità con questi splendidi animali che io non ho; per rendere tutto più credibile, Giovanni mi ha costretto a montare il cavallo senza sella – cosa già abbastanza difficile – e poi mi ha costretto a scendere da dietro, una cosa davvero pericolosa che di solito non si fa: per lui erano tutte scene che dimostravano grande sicurezza e una natura disinvolta, ma alla fine qualcuna l’ha anche tagliata dal montaggio finale! Giovanni dice che mi dirige nella vita?!? Elementi validi per un divorzio! Battute a parte, il mio personaggio è piccolissimo, e cerco sempre con piacere di far parte dei progetti di Giovanni, anche quando mi mette alla prova come in questo caso, con scene d’azione rocambolesche e combattimenti. Cicognac, se avesse avuto la stessa età dei Moschettieri o loro fossero stati solo un po’ più giovani, avrebbe di sicuro provato ad unirsi alle guardie della regina per vivere nuove avventure».

Giulia Bevilacqua: «Milady un po’ si pente dei propri intenti e cerca una forma di riscatto; sul set ero incinta, quindi – per quanto mi piacciano le scene d’azione – non ho potuto farne molto, con grande dispiacere mio e di Giovanni. La sua, da regista, è stata una scelta ben specifica: mantenere un certo iperrealismo, ambientando qualcosa nel passato e finendo per girare un film in costume mantenendo un certo rapporto con la modernità. La prima volta che sono arrivata sul set, mi è sembrato di entrare proprio in un’altra dimensione temporale e spaziale; ma, allo stesso tempo, ha deciso di tenere una caratteristica ben precisa che ci ricollega ai nostri tempi, permettendo ad ogni attore di parlare il proprio dialetto. Una notevole crepa comica oltre che una scelta ben specifica, creando un guazzabuglio di dialetti italiani – milanese, toscano, pugliese, romano, lucano etc. – e non capace di far ridere e di tenere alto il vincolo con la modernità e le peculiarità di ognuno di noi».

Matilde Gioli: «La promiscuità di linguaggio e di stile mi sembra la costanza del film: si passa velocemente, con un bel ritmo, da situazioni comiche a tragiche, creando alla fine un arco narrativo interessante».

Valeria Solarino: «Il linguaggio cinquecentesco è filtrato, rielaborato, adattato alle necessità del film per creare, come dice Matilde, un ibrido insolito e un film coraggioso».

Con la “quota rosa” del cast, non si poteva ovviamente non parlare del ruolo delle donne nel film Moschettieri del Re, perché pur calate in un contesto d’epoca vengono tratteggiate come caratteri forti, moderni e indipendenti, soprattutto quando ricoprono ruoli di potere…

Giulia Bevilacqua: «Chi dice che all’epoca le donne non fossero comunque forti? Però è anche vero che qui si raccontano delle figure forti: il mio personaggio è una persecutrice, cattiva, che indossa abiti meravigliosi quanto inquietanti ed è comunque una figura di potere. Vengono mostrate diverse tipologie di donne nel film, decostruendo il mito dei poteri forti nella Storia».

Valeria Solarino: «Moschettieri del Re è sicuramente un film declinato al maschile, ma devo ammettere che le sceneggiature di Giovanni costruiscono sempre delle figure femminili forti e indipendenti, e anche il personaggio più piccolo, i camei o i non protagonisti hanno un ruolo forte e lasciano un segno».

Margherita Buy: «Questo soprattutto perché finalmente ci stiamo rendendo conto che anche i personaggi femminili servono».

Matilde Gioli: «In questo film è interessante che ci siano un insieme di situazioni epiche, tragiche, eroiche ma soprattutto eroiche e contemporanee. C’è un confine sottile tra il rispettare la realtà storica del ‘500 e poi avventurarsi nel mondo contemporaneo; si vede che noi apparteniamo alla nostra epoca, ma che grazie a trucco e parrucco veniamo catapultati tutti in un’altra epoca, nel XVI Secolo, rendendo così tutto alla fine molto credibile e ben lontano dalla caricatura».

Giulia Bevilacqua: «Il costume, il parrucco, il trucco e la scenografia sono fondamentali per un film in costume perché permettono d’avere un atteggiamento diverso a livello fisico, di muoversi in un altro modo rispetto a come ci muoviamo tutti i giorni; il personaggio di Milady, poi, aveva tra le tante ispirazioni anche alcune legate a determinati animali, che ho studiato nei dettagli introducendoli nella costruzione del ruolo».

Per quanto riguarda l’uscita in sala del film, le aspettative e le attese che lo circondano soprattutto di fronte ai grandi kolossal americani, le attrici hanno delle idee ben precise:

Margerita Buy: «Questo film è una versione nuova, che mostra i Moschettieri come dei supereroi moderni e i nostri personaggi, a questo punto, come delle supereroine: solo che, visto i tempi in cui stiamo vivendo, non hanno un alone infallibile ma cialtrone, sfigato, da supereroi proprio nostrani».

Giulia Bevilacqua: «è un film accattivante che in parte ci si aspettava dal cinema italiano: è ambizioso, e legge sotto una luce diversa l’eterno mito dei tre Moschettieri, cosa che forse in Italia non è mai stata fatta prima d’ora. È un film completo: d’azione, di fantasia, in costume, con un risvolto romantico… è un connubio tra vari generi che ha, in più, il pregio dell’ironia. I protagonisti poi sono pazzeschi!»

Margherita Buy: «Di solito poi un film di Natale non ha un nutrito cast del genere, questo è un… paghi uno, prendi quattro!»

moschettieri del re

La prima domanda rivolta al cast maschile e a Giovanni Veronesi, invece, riguarda la genesi del film Moschettieri del Re, che affonda le radici fin negli anni ’80, come racconta il regista:

Giovanni Veronesi: «Sì, negli anni ’80 avevo proposto a Muti di mettere insieme Verdone, Benigni e Troisi per realizzare questa versione dei Moschettieri; poi tutto si arenò perché non siamo riusciti ad unirli, ognuno era troppo interessato al proprio “ambito specifico”, e alla fine dopo anni invece ho felicemente ripiegato su di loro che sono più alla mia portata. Mi piace il fatto che loro non sono dei comici ma degli attori molto bravi con dei tempi comici eccezionali, ed è un aspetto che adoro senza dubbio: sono attori veri e omnicomprensivi. Ad esempio Mastandrea, che considerate prettamente un attore e regista – come anche gli altri – però drammatico, in realtà ha dei tempi comici stupefacenti. E mi piaceva proprio la possibilità di prendere degli attori non comici, magari dei miei attori feticcio come Rubini che ho coinvolto sempre, ed è una “fantasia” che ho sempre inseguito quando non scrivevo film strettamente per i comici».

Si allude, visto il sottotitolo Moschettieri del Re – La Penultima Missione, a uno sfruttamento seriale che possa coinvolgere più episodi, un altro medium, o una trilogia anche cinematografica, per trasformare definitivamente I Moschettieri in supereroi moderni. Alla domanda, risponde sempre il regista:

Giovanni Veronesi: «Una serie no. Perché ormai si fanno su tutto e non voglio farne una anch’io. Ho girato questo film per il cinema; è girato apposta per il cinema, si vedono tanti totali, paesaggi, battaglie e pochissimi primi e primissimi piani; ci sono duelli e suntuosi costumi, scenografie ricchissime che contribuiscono alla cornice cinematografica, senza assolutamente pensare alla fruizione televisiva, al dopo, su quale piattaforme approderà il film. Questo sarà un problema di chi le usa, non mio da regista: noi ci limitiamo a fare del cinema, che è pensato esclusivamente per il grande schermo, poi quello che viene dopo spetta alle generazioni future. E sarebbe bello che la gente andasse al cinema, in sala, a vederlo. La Penultima Missione, il sottotitolo, non indica solo un presunto sequel – che non è detto che realizzeremo – quanto una “missione” che utilizzerò a mia volta: quella di far capire che c’è sempre, dietro a un film, un gruppo di lavoro con il quale andare avanti e investire su nuovi progetti, costruendolo passo dopo passo. Penultima perché letteralmente le cose non si fermeranno».

Per quanto riguarda invece i loro “panni” da Moschettieri, i tre protagonisti hanno aggiunto dei curiosi dettagli:

Valerio Mastandrea: «Non appena ho ricevuto la sceneggiatura ho accettato subito perché dietro c’era Giovanni, con il quale non lavoravo dal 1997; era bello quindi ritrovarsi, con lui e con gli altri. Poi sono stato contento di ritrovare a bordo gente che conoscevo già, come Rocco ad esempio, oppure avere l’opportunità di lavorare con attori con i quali non avevo mai condiviso il set prima, tipo Sergio».

Sergio Rubini: «Con Veronesi ho girato i primi due capitoli di Manuale D’Amore e poi una serie di ruoli sempre piccoli, nei suoi film; questa volta ho pensato “meno male, per una volta mi propone un ruolo grosso e si ricorda di me!” Sono stato molto soddisfatto e contento de Moschettieri del Re, e oggi montare un film simile in Italia, con un grande dispendio di energie e di denaro, perfino in costume, non è davvero un’impresa da poco. È una roba spregiudicata e controtendenza: non è più difficile, perché lo è sempre, ma è in controtendenza rispetto al mercato che punta ormai sempre e solo alla serialità. Sembra quasi che se uno, al giorno d’oggi, non fa una serie non è nessuno, e se fa del cinema fa addirittura schifo. Se non ci sono alle spalle 12 episodi o più, non si vale niente. E invece Giovanni c’è riuscito, includendo perfino un super-cast: è stata davvero una bella soddisfazione».

Giovanni Veronesi: «Vorrei aggiungere che Moschettieri del Re è un film che non si può fare da soli, ma solo in equipe; con la produzione, la troupe, gli attori si deve trovare una sintonia perfetta. Eravamo più di 100 persone sul set ogni giorno, e governare una banda simile da solo è praticamente impossibile e non ci sarei mai riuscito. Per cui devo dire che lavorare con i migliori capi-reparto, adatti a un’operazione simile, e lavorare poi con un aiuto-regista che si pone tra la produzione e la regia è un vero dono, che ci ha permesso di non rendere infernale un’enorme macchina produttiva che, nel mercato cinematografico odierno, sembra una follia (sia in termini economici che pratici). Ma per fortuna la follia è un tratto connaturato soprattutto di certe persone, e di certi produttori che continuano ad investire dei soldi sul cinema ma soprattutto sulle idee, come nel caso di Indiana Productions e della Vision Distribution che lo porterà nelle sale. Abbiamo messo insieme una banda di folli, e nessuno si sarebbe mai aspettato un risultato simile, un film perfino romantico che rischiava di diventare farsesco; mentre invece, quando quest’ultimo aspetto viene sfiorato, risulta comunque ancora credibile. Era da tempo che volevo scappare via, lontano, per raccontare una metafora come quella dei Moschettieri del Re».

Paragonando due esperienze insolite che hanno segnato la cinematografia del regista, ovvero quest’ultimo film e Il Mio West, che vedeva protagonisti Leonardo Pieraccioni, Harvey Keitel e David Bowie, Veronesi ha la lungimiranza d’affermare con lucidità che:

Giovanni Veronesi: «Lì non avevo avuto coraggio. Ho fatto un grave errore facendo quel film, nonostante fossi partito con lo stesso intento con cui ho realizzato quest’ultimo, ovvero: volevo realizzare un film di genere – in quel caso un western – con i miei amici (Haber, Abatantuono etc.) un western a casa mia, con attori che sento miei. Però lì Cecchi Gori, che era il produttore, mi fece desistere puntando più in alto, perché era una bella occasione e potevamo puntare su un film in lingua inglese con Pieraccioni; poi mi sono gasato nonostante le perplessità, hanno accettato anche Keitel e Bowie e… il risultato è un ibridone. Un ibrido che ha fatto i suoi soldi, ma venivamo comunque dagli incassi incredibili con Pieraccioni al botteghino, quindi quello suonò come un insuccesso. Devo ammettere, dopo anni, che lì sbagliai io, lasciandomi prendere dall’eccitazione di realizzare un film per la prima volta in inglese – perché era l’occasione giusta – e con grandi attori internazionali, mentre invece questa volta ho puntato proprio sulla forza degli attori regionali, inseguendo la forza dell’istinto e delle prime idee che vengono in mente, senza lasciarsi condizionare da quello che potrebbe essere. Sui Moschettieri non sono mai stati realizzati dei film italiani, ma sempre e solo internazionali. Mi piaceva l’idea di farlo mio e vicino alle cose che conoscono, questo Moschettieri del Re».

E all’ultima domanda, incentrata sul significato della figura dei Moschettieri oggi e del perché proprio loro sono i prescelti, è sempre Veronesi a fornire un’interessante chiave di lettura:

Giovanni Veronesi: «In realtà la vera domanda riguarda il periodo storico in cui si muovevano i Moschettieri, quindi non tanto “perché oggi?” ma un “perché allora?”: l’epoca in cui si muovevano era contrassegnata dalle guerre di religioni e da conflitti bellici; si parla degli Ugonotti, perseguitati per la loro fede, che venivano torturati e sacrificati perché non erano cattolici ma protestanti, e morivano spesso durante il viaggio verso le coste inglesi. La metafora è forte per chi sa leggerla tra le righe: noi oggi ci stupiamo, diamo consigli o giudizi, perché pensiamo di essere un popolo eletto rispetto a quelli dove ancora si consumano torture e barbarie. Ma dobbiamo ricordare come, meno di cinque secoli fa, anche il centro dell’Europa e della cultura faceva la stessa identica cosa: è solo una mia riflessione inserita in un contesto comico, dopotutto».

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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