La scelta di Anne – L’Événement è il titolo del nuovo film della regista Audrey Diwan che porta, sul grande schermo, un tema così caldo e difficile come quello del diritto all’aborto e degli aborti clandestini, diretta conseguenza di società – e governi – di tipo repressivo. Ad incarnare la protagonista Anne, diventata poi scrittrice (è la Annie Ernaux che ha scritto il romanzo da cui è tratto il film, L’Evento), troviamo l’attrice Anamaria Vartolomei, presente anche lei – insieme alla regista – alla conferenza stampa con cui hanno presentato il film, in uscita nelle sale il prossimo 4 novembre in un numero variabile tra le 100 e le 80 copie.
Il film, vincitore del Leone d’Oro durante la scorsa edizione della 78a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha catturato l’attenzione internazionale (e il prestigioso premio) un po’ a sorpresa, calamitando in tal modo i riflettori su una storia, una vicenda reale e un passato prossimo quanto mai vicini al nostro presente. «Quando ho scelto di dirigere La scelta di Anne, mi sono concentrata subito su un aspetto specifico: il corpo. Da lì nasce la scelta di selezionare quel tipo di ottica particolare, quell’inquadratura esatta per riuscire a concentrare l’attenzione dello spettatore sull’essenziale. Non volevo fare assolutamente un film che ricostruisse gli anni ’60 nel dettaglio, quanto piuttosto un film che li faccia provare come se fossero aggiornati ad oggi», afferma la regista, mostrando una delle molte scelte significative compiute durante il processo creativo.
La Diwan è stata subito attratta dalla crudele – e quanto mai reale – storia narrata dalla Ernaux nel suo libro autobiografico, che le fu suggerito da un’amica durante un momento particolare, e delicato, della sua vita: «Ho scoperto il libro L’Evento dopo aver abortito io stessa. Leggendolo, ho capito quanto si parlasse ancora poco di un tema delicato come l’aborto clandestino, un’esperienza dura e solitaria che implicava anche delle sfumature politiche. Io ho avuto la fortuna di poterlo fare in Francia, circondata da medici e non ricorrendo a dei ferri da calza. Mi interessava proprio riuscire a fondere l’aspetto politico con quello più intimo» conclude la regista.
E proprio quest’ultimo sembra essere il fil rouge invisibile capace di attraversare l’intero arco narrativo de La scelta di Anne, finendo per delineare i contorni di un film “militante” ma non in modo dichiarato, impegnato ma non retorico: questo perché la Diwan, con un taglio lucido tipico del giornalista, ha cercato di limitarsi a riportare i fatti nel modo più asciutto possibile, descrivendo la cronaca di una libertà mancata (e negata) attraverso un’opera popolata da piani lunghi e inquadrature capaci di inseguire la protagonista Anne/Anamaria, con una macchina da presa sempre presente con lei anche nei momenti più intimi, senza però mai eccedere cadendo nella provocazione delle immagini.
In tal modo, oltre alle inquadrature studiate e ai silenzi pronti a suggerire più informazioni dei dialoghi stessi, La scelta di Anne si configura come un film dalla forte valenza tanto artistica quanto politica, capace di riaccendere i riflettori – e l’attenzione internazionale – su un tema fondamentale che rischia di essere strumentalizzato o perfino messo a tacere, dimenticando invece il diritto fondamentale della donna (ma di ogni essere umano) di poter scegliere: «Il film sembra, in apparenza, incentrato solo sul rapporto tra le donne e la maternità» aggiunge la Diwan, «ma in realtà non c’è soltanto un’ottica focalizzata sul senso di maternità. Ci si interroga sul tema del corpo che appartiene al mondo femminile e, soprattutto, sulla libertà di scelta nelle donne, raccontando una storia (vera) ambientata nel 1963. Non ero intenzionata a ricostruire gli anni ’60 in modo manicheo: volevo solo che si oggettivassero questi anni, traghettandoci subito nell’oggi e nelle nostre contraddizioni. Il mio approccio è stato di tipo artistico e la reazione che ho suscitato è stata, invece, di tipo politico. È sempre interessante capire dove si parte nella narrazione e poi osservare le reazioni che si suscitano».
«In conclusione, La Scelta di Anne nasce dalla libertà di scelta – appunto – come missione politica: io ho difeso il percorso di Anne in ogni sua fase perché ne sono stata attratta soprattutto sul piano intellettuale, e volevo far condividere al pubblico un’esperienza capace di passare attraverso le idee, i sensi e una specifica scelta estetica trasformata in un’esperienza vissuta con il corpo, sul quale abbiamo lavorato molto insieme alla protagonista Anamaria. Non ho fatto questo film per le persone d’accordo con me ma per tutti coloro che sono pronti ad interrogarsi, ponendosi domande importanti.
Ecco perché La Scelta di Anne lancia un messaggio non politico ponendo però, allo stesso tempo, un interrogativo proprio politico. Non vuole dare risposte ma suscitare domande: da giornalista, sono sempre stata interessata alle storie intime che facciano eco l’un l’altra, partendo da me stessa per raccontarle fino ad andare incontro al mondo. Non ho mai pensato all’arte in termini politici ma alla politica che è nell’arte».