La splendida terrazza dell’Hotel Sofitel Rome Villa Borghese ha ospitato uno dei tanti incontri organizzati all’interno della cornice del Festival dedicato alla cinematografia d’oltralpe: Rendez-vous, nuovo cinema francese, giunto alla sua VII Edizione, torna a Roma dal 5 aprile al 7 maggio, ospitando registi e attori che contraddistinguono una delle industrie audiovisive più brillanti e dinamiche d’Europa. Ad aprire, letteralmente, le danze è il noir atipico firmato da Thomas Kruithof La Meccanica delle Ombre, con protagonisti François Cluzet (Quasi Amici) e la nostra Alba Rohrwacher, coinvolta nel suo primo ruolo in un film francese.
Grazie ad una piacevole chiacchierata con il regista e l’interprete (femminile), siamo riusciti ad approfondire alcuni aspetti legati al cuore oscuro, enigmatico ed espressionista di questo film, legato all’immaginario della suspense creato da altri registi come Alfred Hitchcock, Brian De Palma, Jean-Pierre Melville e Francis Ford Coppola.
Rendez-Vous Nuovo Cinema Francese: al via domani la settima edizione
Ad iniziare la nostra conversazione è stato il regista parigino Thomas Kruithof, che debutta con la sua opera prima.
Il titolo del film è, palesemente, un ossimoro: la meccanica evoca qualcosa di materiale, mentre le ombre evocano un concetto effimero. Qual era la finalità primaria, forse contrastare il concetto stesso di “potere occulto”, così inafferrabile ed invasivo per quanto riguarda l’ingerenza che ha nella vita stessa delle persone?
Thomas Kruithof: «Sicuramente. In originale il titolo, letterale, è La Meccanica dell’Ombra, ma corre davvero poca differenza tra questo e la traduzione italiana. La scelta è stata compiuta in base alla possibilità di non spiegare, fino in fondo, gli ossimori presenti anche alla base del film, rimanendo in bilico sul filo del confine tra ciò che è reale ma impalpabile allo stesso tempo.»
La Meccanica delle Ombre gioca con gli sguardi e i silenzi: come ha concepito le differenze tra i due protagonisti e perché ha scelto un’attrice italiana come Alba Rohrwacher?
Thomas Kruithof: «In realtà non avevo in mente un’attrice specifica; poi però mi sono letteralmente “innamorato” di Alba e della sua vasta filmografia: ho così scoperto la sua forte presenza cinegenica e che poteva essere un punto di enorme forza per il film dove il suo personaggio, Sara, ha un allure misterioso e inafferrabile. La sua provenienza non è mai definita, è inclassificabile e misteriosa, enigmatica e – appunto – inafferrabile. Per questa lunga serie di motivi i due personaggi che interpretano lei è Cluzet nel film si trovano nella loro intimità. Basti pensare che, entrambi, si riescono a riconoscere perfino nelle loro sagome: è stato interessante giocare sulle loro essenze maschili e femminili allo stesso tempo.»
La Meccanica delle Ombre è la tua opera prima. Quali difficoltà produttive hai incontrato lungo il tuo percorso?
Thomas Kruithof: «Per fortuna ho avuto subito dei produttori – Matthias Weber e Thibault Gast – che mi hanno accompagnato nel lungo processo di scrittura del film, durato ben sei anni.»
Il film ricorda molto cinema politico degli anni ’70, come quello di Coppola o di Pollack: sono questi i riferimenti di partenza oppure ce ne sono anche altri?
Thomas Kruithof: «Partendo dal presupposto che non ho mai frequentato una scuola di cinema, ho subito l’influenza di tanti film: mi piace come genere quello legato al “cinema del complotto” nel quale rientrano Alfred Hitchcock, Fritz Lang, Francesco Rosi, Elio Petri. Ma il mio intento sul set era un altro: volevo solo che tutti vedessero il film di Coppola La Conversazione per prenderne subito le distanze e fare qualcosa di totalmente diverso. La Meccanica delle Ombre ricorda quei film ma, partendo da lì, ne prende le distanze, scavando piuttosto nell’atmosfera del contesto attuale in cui viviamo. Sembra ingenuo, da parte mia, citare autori specifici come fonte d’ispirazione, perché chiunque – vedendo il film – potrebbe controbattere che non c’è traccia, nei 93’, di nessuno di loro; però non posso fare a meno di nominare, tra le fonti di partenza, anche lo scrittore John le Carré, con i suoi romanzi dalle atmosfere crepuscolari che si dipanano tra complotti e spionaggio.»
Non avendo seguito un percorso musicale canonico all’interno di una scuola di cinema, i codici tradizionali dei film di genere quanto hanno influenzato l’estetica del tuo film?
Thomas Kruithof: «Per “narrare” il film sono partita da un’idea forte alla base e da una sceneggiatura ben costruita: il mio interesse si è poi spostato sul personaggio di Duval, interpretato da Cluzet, con l’intenzione di creare suspense e mistero attraverso una rappresentazione soggettiva della vicenda narrata. In tal modo le immagini e il sonoro sono strettamente legate tra loro e interconnesse e il film inizia in un modo per poi declinare verso il territorio del noir, sempre alla continua ricerca di un precario equilibrio tra ordine e caos, rappresentato da inquadrature ossessive e dal gusto “kafkiano” che si alternano tra loro, una dopo l’altra. Ovviamente, il film “appartiene” allo sguardo di un regista, ma quest’ultimo è sottomesso alla recitazione degli attori, davanti alla quale si trasforma in semplice spettatore. Posso avere una precisa idea estetica per quanto riguarda il modo attraverso il quale “raccontare” al meglio una scena, ma saranno gli attori alla fine a determinarla: le inquadrature cambiano in base ai loro sguardi, e proprio su quest’ultimi si basa la potenza visiva de La Meccanica delle Ombre.»
Alla luce di queste affermazioni, quanto ti ha aiutato quindi girare principalmente in ambienti chiusi, claustrofobici e alienanti?
Thomas Kruithof: «Gli ambienti nei quali si muovono i personaggi diventano progressivamente disumani ma soprattutto disumanizzanti; e le immagini quanto il sonoro rispettano la stessa regola, perdendo progressivamente ogni rumore esterno – che conferisce un tocco d’umanità al contesto mostrato – in favore di rumori meccanici e alienanti, appunto, come il rumore delle dita che si abbattono sulle tastiera. L’idea che deve emergere è quella di un mondo sotterraneo che fa da sfondo ad un film mentale, decontestualizzato dal contemporaneo.»
La Meccanica delle Ombre può essere letto come un film che si snoda lungo due piani distinti che si influenzano tra loro attraverso un gioco di rimandi, che passano anche attraverso la scelta di quattro attori principali presentati a coppie?
Thomas Kruithof: «Assolutamente sì. La mia intenzione era focalizzata sul presentare, fin da subito, la sfera personale e lavorativa di Duval, mostrandolo dall’inizio anche più disponibile sul piano sentimentale; successivamente subentrano dei personaggi manipolatori e questo non fa altro che aumentare la pressione che gravita sul suo personaggio.»
La Meccanica delle Ombre: trailer italiano con François Cluzet
Dopo Kruithof, tocca ad Alba Rohrwacher rispondere alle nostre domande.
Alba, vedendo La Meccanica delle Ombre emerge subito il lavoro compiuto dal regista Kruithof, che sembra incentrato principalmente sulla sottrazione, soprattutto nei confronti del tuo personaggio, Sara. Quale approccio hai seguito e adottato?
Alba Rohrwacher: «Una sceneggiatura così completa rendeva possibile seguire i movimenti del personaggio con assoluta tranquillità e parsimonia, perché già da sola riusciva ad innalzare il livello della tensione. Consensualmente con Kruithof non abbiamo lavorato sull’improvvisazione quanto, piuttosto, sul rendere tutto più credibile e misterioso: in fondo, Sara e Duval sono due grandi solitudini che si incontrano. Una, quella di lei, è grande ma eclettica, al contrario di quella di lui che si configura come blindata ed inespugnabile. Per Duval la presenza della donna costituisce una vera speranza, un appiglio. Ovviamente per arrivare a queste conclusioni mi ha aiutato moltissimo lavorare, fianco a fianco, con François Cluzet, un attore generoso e un vero professionista con il quale abbiamo instaurato una sintonia attraverso prove e letture preliminari rispetto all’inizio delle riprese.»
Cosa ti ha spinto a scegliere un ruolo in un film francese – visto che per te è la prima volta – e con che criteri selezioni i progetti ai quali partecipi?
Alba Rohrwacher: «A convincermi ad accettare un progetto non sono solo la qualità della sceneggiatura o la bellezza di un ruolo, la complessità con il quale è scritto e le infinite opportunità recitative che offre; spesso mi lascio convincere dalla visione del regista. Quando un regista ha un punto di vista molto forte – come, appunto, nel caso di Kruithof – sono convinta della sua determinazione, delle sue capacità e scelgo quel progetto. Se realizzare un film è una complessa crociata che si districa tra difficoltà ed ostacoli, perché non scegliere qualcuno determinato e convinto della bontà della propria opera?»
Di solito scegli sempre dei ruoli corposi, dove investi molto a livello emotivo e fisico: qui, invece, ti cali nei panni di un personaggio “minimal”, con poche informazioni a proposito. Cosa ti ha affascinato del personaggio di Sara?
Alba Rohrwacher: «Ho deciso di accettare la proposta di un film francese – lingua che non parlo – perché ho ricevuto e letto un’ottima sceneggiatura di genere. Il mio personaggio non è un ruolo centrale ma è anche, allo stesso tempo, l’unica donna presente ne La Meccanica delle Ombre. Kruithof, con abili capacità ed esperienza, mi ha convinto a prendere parte al progetto; se poi includiamo anche la possibilità di confrontarsi con un grande attore come Cluzet, ecco spiegata la perfetta alchimia che mi ha prima affascinato e poi convinto ad accettare. Inoltre il regista era alla ricerca di un personaggio – e quindi di un’attrice – palesemente non francese, dotata di un accento neutro e non meglio identificato; non si doveva sapere troppo del suo passato e della sua personalità, bisognava soltanto lasciarsi affascinare dal mistero che Sara porta in sé e dalla sua apparente fragilità. Nella dinamica del film, Sara si presenta con la ferrea volontà di applicare delle regole – soprattutto al rapporto con Duval – ma allo stesso tempo trova il modo di provocare l’uomo; forse perché il suo è l’unico personaggio veramente libero, che agisce d’istinto. Duval è, invece, kafkiano e afflitto da numerosi blocchi emotivi: è un uomo grigio e ordinario che si ritrova incastrato in una situazione complessa e decisamente più grande di lui. È l’umanità a cambiarlo, a spingerlo a rompere quegli schemi fissi dietro i quali si è trincerato.»
Quale legame c’è tra l’estetica dietro La Meccanica delle Ombre e il cinema di genere che lo ha influenzato, da Hitchcock a Coppola?
Alba Rohrwacher: «L’eleganza è sicuramente la costante del film, che è un’opera prima unica e molto affascinante; la sua estetica è dura, diretta, schietta e ruvida perché si ispira al cinema anni ’70 americano del già citato Coppola, ad esempio, ma anche a quello italiano di genere prodotto nello stesso periodo. La Meccanica delle Ombre è un prodotto attento alle scelte cromatiche specifiche e infatti sono sicura che costituirà una voce fuori dal coro rispetto al mercato europeo ed internazionale. Hitchcock, Melville, ma soprattutto Il Maratoneta – per quanto riguarda il protagonista Duval – sono le fonti primarie d’ispirazione, che determinano il forte legame tra il film di Kruithof e il noir. Ritengo che sia un genere atipico: è trasversalmente d’autore ma, allo stesso tempo, destinato al grande pubblico ed è in grado di raccontare meglio la realtà che viviamo.»
La Meccanica delle Ombre esce oggi 6 aprile nelle nostre sale grazie a Europictures.