C’è un nuovo trend ben specifico nel cinema italiano, attraversato da un fil rouge riconoscibile che identifica maestranze, interpreti e gusti: una fitta trama che collega tra loro i destini di opere come Lo Chiamavano Jeeg Robot e la serie Sky Christian, emblemi di un nuovo sottogenere che recupera i canoni di un cinema specifico, pop(olare), che ha consacrato in passato le stagioni più fiorenti della nostra industria audiovisiva (nel decennio ‘70-’80), senza però mai dimenticare le suggestioni provenienti dalla Hollywood mainstream incarnata da grandi cineasti come Spielberg, Lucas o Richard Donner.
E Denti da squalo, l’opera prima di Davide Gentile nata sotto l’egida di Gabriele Mainetti e della sua Goon Films – con la collaborazione di Lucky Red, Rai Cinema e Prime Video – rientra appieno in questo nuovo filone. Complice la sceneggiatura di Valerio Cilio (già co-sceneggiatore delle due stagioni di Christian) e Gianluca Leoncini oppure la produzione dello stesso Mainetti, anche molti volti noti ritornano in questo film: da Edoardo Pesce fino a Claudio Santamaria – entrambi protagonisti della serie Sky firmata da Stefano Lodovichi e, nel caso del secondo, sodale del regista romano (è stato anche tra i protagonisti della sua opera seconda, Freaks Out) – senza dimenticare le prestigiose “new entry” costituite da Virginia Raffaele e i giovanissimi Tiziano Menichelli e Stefano Rosci, protagonisti indiscussi del film.
Un’opera prima definita in partenza tanto un avventuroso coming of age quanto una “moderna favola del mare”, per riprendere le parole utilizzate dalla stessa Virginia Raffaele nel corso dell’incontro stampa per presentare il film:
«Sono approdata a Denti da squalo grazie alla Lucky Red, a Davide e a Gabriele Mainetti, che mi hanno contattato», ha commentato l’attrice. «Coinvolgendomi a tal punto da farmi mettere al servizio di questa favola moderna, sperimentando un ruolo per me diverso da quello che ho sempre portato in giro; ma tutto questo, in fondo, fa parte del mestiere dell’attore che è sempre pronto a calarsi in un ruolo. Non ci può essere un colore unico per descrivere un personaggio: c’è sempre un filo di ironia sottile che si annida anche nel dramma, creando un contrasto molto forte. Inoltre, il film di Davide è una storia molto reale che mi spingeva a prestare un sentimento specifico al mio personaggio, Rita.
Questo mestiere ti porta a metterti in gioco, ad avere coraggio e voglia di sperimentare; con una certa incoscienza, ho sempre cercato di portare mille sfaccettature in quello che facevo, dividendomi tra cinema, radio, tv e teatro. L’animo umano ha innumerevoli sfumature che appartengono spesso a tutte le parti più buie e nascoste di noi stessi e che spesso sono velate da un alone di malinconia che contamina anche le cose comiche che mi ritrovo a portare in giro: forse proprio per questo motivo Mainetti, dopo avermi vista in Lol 2, mi ha voluto coinvolgere nel film perché ha visto in me un potenziale drammatico in grado di restare fedele alla storia e alla tridimensionalità di Rita».
Nel film l’attrice comica interpreta, appunto, la madre del piccolo protagonista Walter (Tiziano Menichelli), pronto poi a vivere una lunga – e torrida – avventura estiva mentre rinsalda la sua amicizia con Carlo, nei cui panni si è calato il giovane Stefano Rosci. Due attori in erba quindi, giovanissimi e alle prese con un primo grande ruolo cinematografico che li ha portati a cimentarsi con la recitazione, pur provenendo da background abbastanza diversi tra loro: il piccolo Tiziano è stato notato da Davide per caso e senza di lui il regista ha dichiarato (candidamente) che “era pronto a spostare le riprese, fino a posticiparle: un vero dramma, se non fosse arrivato Tiziano, che è stato un vero segno del cielo”.
Una favola realistica ancorata all’innocenza
Ad affiancare i due giovanissimi protagonisti di Denti da squalo, oltre alla Raffaele, ci sono anche due navigati professionisti come Claudio Santamaria ed Edoardo Pesce: entrambi presenti in un cameo, nel caso del primo si è trattato di un suggerimento proveniente da Gabriele Mainetti, produttore del film con la sua Goon Films, legato all’attore da un inossidabile rapporto d’amicizia; l’attore romano ha così plasmato il personaggio di Antonio, padre del piccolo Walter, fino a creare una figura di padre complesso, vicino al mondo criminale ma portatore sano di valori giusti e genuini. Al contempo, è lo stesso Edoardo Pesce a raccontare la sua esperienza sul set:
«Il personaggio che interpreto, il Corsaro, è stato scritto su di me», ha ammesso l’attore. «Ormai sono una sorta di “Jessica Rabbit de’ noantri”: quando si tratta di interpretare un cattivo, vengo sempre interpellato! (Ride, NdR). Abbiamo costruito insieme agli sceneggiatori questo carattere e, per farlo, mi sono ispirato ad alcuni dettagli rubati letteralmente alla mia infanzia: ad esempio, gli zoccoli di legno che indosso sono un omaggio a mio padre che li portava negli anni ’80, come pure i motivetti che fischietto tratti dall’Isola del Tesoro, che quando ero bambino era un famoso sceneggiato tv nonché un cartone animato. Sono approdato a questo progetto molto volentieri, prendendo così parte a questa moderna favola del mare grazie soprattutto a Valerio Cilio e a Mattia Guerra, con i quali avevo già lavorato in Christian».
Denti da squalo è un coming of age atipico, che affonda le proprie radici semantiche (e drammaturgiche) nella creatività degli sceneggiatori Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, che hanno scritto la sceneggiatura ben nove anni fa: «dentro questo film c’è una vita, la nostra, e l’immaginario con il quale siamo cresciuti; abbiamo così concepito una favola realistica ma con un punto di vista ancorato nell’innocenza del protagonista, perfino quando rischia di perderla. Dentro ci abbiamo messo milioni di riferimenti, partendo da I Goonies fino a qualunque favola con cui siamo cresciuti. La nostra volontà era quella di raccontare un mostro, un totem diciamo e un bambino che incontra un drago… che, nel film, è letteralmente uno squalo. Il film è ambientato a Tor San Lorenzo ma il paesaggio non è così evidente: nello script avevamo scritto solo “litorale tirrenico” come unica annotazione, mentre abbiamo sempre pensato ad una dimensione più precisa dello spazio per costruire e immaginare dei personaggi concedendo loro una verità, smarcandoci in tal modo dai cliché – che ci sono, comunque, e fanno parte del racconto – per immaginare uno spazio specifico nel quale perdersi. La torre che si vede nel film, ad esempio, e che trionfa sul paesaggio della villa immersa nel parco è una rappresentazione dell’inconscio e della psiche di Walter».
Un film, quindi, composto da tante prime volte: attori che debuttano, che si calano in ruoli inediti mettendosi alla prova; registi alle prese con la loro opera prima (in grande stile) e sceneggiatori che recuperano idee nate anni fa ma pronte, solo adesso, ad irrompere sulla scena. Ma la vera novità riguarda, senza dubbio, l’utilizzo degli effetti speciali per creare lo squalo protagonista del film, come ha raccontato il regista Davide Gentile:
«Sì, abbiamo anche pensato ad uno squalo vero ma nessuno si fidava! (Ride, NdR). Ci siamo così affidati ad una tecnica mista, tra animatronic e poi con una post-produzione in CGI per tutti gli effetti visivi, sperimentando in tal modo tutti i problemi che riguardano una creatura mai fatta, a questo livello, in Italia. Abbiamo stampato in 3D lo squalo e poi ci siamo mossi tramite uno storyboard per dare credibilità ai rapporti. Si è trattato di un esperimento un po’ alla cieca per tutti, soprattutto per l’animatronic in acqua e per gli effetti della CGI sì preventivati, ma dagli effetti sempre inediti sul set».
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